Ciao Medhin, innanzittutto mi scuso per il ritardo con cui rispondo e ti ringrazio per la tua preziosa collaborazione.
Riguardo alle parole che mi hai scritto ci tenevo a dirti che sono davvero significative e rappresentano il senso della mia tesi.
Quello che ho definito ruolo di “mediatore” non si riferisce ovviamente alla professione di mediatore, che implica delle competenze che un bambino non può avere.
Mediatori professionisti non ci si improvvisa..Il mio intento è quello, invece, di mettere in luce una realtà che esiste, ma è invisibile agli occhi della società.
Nelle istituzioni (almeno da me) non si riccorre quasi mai al mediatore professionista e questo non fa altro che ostacolare l'accesso alle risorse per le famiglie immigrate, le quali si ritrovano, a dover puntare sui loro figli (questo ovviamente è il mio discutibile pensiero)!
A me piacerebbe capire cosa provano bambini e adolescenti quando percepiscono che i genitori dipendono da loro in molte circostanze della vita di tutti i giorni (a partire dal guardare la tv, passando per fare la spesa fino ad arrivare negli ospedali). Io credo che un bambino debba essere tenuto fuori da certe preoccupazioni che appartengono al mondo degli adulti perchè potrebbe risentirne sul piano dello sviluppo emotivo e cognitivo. Ma non è detto che sia così.
Io credo solo che sia il caso che la società potenzi i servizi di mediazione affinchè i genitori di origine straniera davanti all'ostacolo della lingua non debbano “scomodare” sempre i propri figli con le conseguenze potenzialmente negative che ne possano derivare!
Grazie per gli spunti di riflessione
Maria Cristina!