I figli degli altri. Scatti d'autore sui nuovi torinesiLa seconda generazione di immigrati in città, simbolo del sogno torinese. Undici ragazzi fotografati da Ilara Turba nella "location" da loro stessi scelta. FOTO
di Luca Iaccarino
Che strano effetto fa, questa nuova mostra in piazza San Carlo. Lo spazio espositivo en plein air del Comune ci ha abituato alle foto di viaggio - le ultime sulle rotte del caffè - e a modo suo anche questa «Figli degli altri», inaugurata ieri e allestita fino al 21 settembre, è la storia di un percorso. Che da Torino però non parte. Ci arriva. La prole evocata dal titolo è infatti quella della seconde generazioni degli immigrati. Degli ultimi arrivati, va specificato, ché Torino è sempre stata sulle mappe dei sogni di tanti. A volerla è stata la Fondazione Agnelli che ha preferito raccontare ai torinesi vecchi quelli nuovi non attraverso pagine di istogrammi e statistiche ma tramite il lavoro della fotografa milanese Ilaria Turba. Davanti al suo obiettivo, uno per uno, l´autrice ha messo undici soggetti, undici ragazze e ragazzi i cui nomi parlano da soli: Abdenabi e Zakaria, Andres, Arbert, Caterina, Catalina, Elcka, Esmeralda, Iulian, Lorenzo, Siham. Per fotografarli, ha chiesto loro di scegliere le «location».
Ed ecco, quindi, nascere una serie di «ritratti torinesi» davvero lontanissimi da qualsiasi iconografia da depliant: la città è esplosa in frammenti di vie, palazzi, parchi, stanze irriconoscibili ed è abitata da questi cittadini sospesi, immortalati in un istante di transizione tra l´identità che fu e quella che è e sarà. È Torino e sono torinesi, ma potrebbe essere Berlino, Buenos Aires, Parigi, Barcellona, Tokyo. Una ragazza studia in biblioteca, una gioca in un museo, una passeggia lungo un muro su cui campeggia il graffito «No Tav», una beve, uno balla su un marciapiede, una legge un libro di Totò, uno s´affaccia da un ponticello in un giardino.
«Non ho voluto rappresentare solo la città che amano - racconta Turba - ma anche quella che vivono e i momenti interiori di fatica, di speranza, di tensione». Così, accanto agli scatti, ci sono frasi rubate ai «modelli» e ad altri mille ragazzi intervistati dalla Fondazione: «Ho un grande senso della giustizia, farò l´avvocato»; «Prenderò in gestione il negozio dei miei»; «Non so, sono pigro, non ho voglia di fare niente»; «Diventerò famosa»; «Quando sono entrata in un supermercato di qui è stata un´esperienza… sembrava di essere in mezzo a una quantità di beni illimitata». E un pannello, nel centro del labirinto espositivo, grida a grandi lettere una frase che è il senso di tutto. Uno su tre.
Uno su tre: la quota di neonati con almeno un genitore straniero. Uno su tre. Che significa che sono parte integrante del futuro italiano, piemontese. E che una certa, serpeggiante xenofobia è - prima di tutto - fuori da questi tempi. Un po´ come non guardare la luna, ma il dito che la indica. E volerne prendere l´impronta.(05 agosto 2008)
Fonte:
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