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Sono di origini albanesi e vivo da otto anni in Italia. Ho un marito e una famiglia. Nel mio paese ero ricercatrice di chimica. Mi sono laureata anche in Italia, dove lavoro come mediatrice culturale. Qualche giorno fa, ero su un autobus al ritorno dal lavoro. Presa da una discussione con un collega, ho completamente dimenticato di timbrare il biglietto. Ho cercato di scusarmi per la brutta figura con il controllore, per evitare un' ammenda che, pur legittima, era dovuta non al tentativo di fare la furba, ma ad una sciocca distrazione. Fin qui l' episodio è simile a tanti altri. I miei tentativi di opposizione e protesta di fronte agli altri passeggeri avevano però il torto di essere pronunciata con l' accento straniero. Dal fondo dell' autobus iniziano a montare in modo veemente le urla: "Andatevene", "fatele la multa", "questi vengono qui e vogliono tutto" e così via. Qualcuno ha detto anche: "diamo un biglietto a questa poveraccia". Il controllore, una persona fortunatamente per bene e garbata, subiva la pressione di quella folla, che ha trasformato una banale questione, in un odio che non so descrivere. Sono caduta dalle nuvole. Ho improvvisamente capito come la parola "straniero" oggi, in questo Paese, inizi a significare qualcosa di complesso, che può svelarsi a volte in modi sgradevoli e forse anche umilianti.
Marsida Leka Bisceglie (BA)
Repubblica — 09 agosto 2008 pagina 32 sezione: COMMENTI
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L'indifferenza è la peggior malattia dell'UOMO.
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