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Hermanitos https://www.secondegenerazioni.it:80/forum/viewtopic.php?f=5&t=850 |
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Autore: | l123 [ 13 feb 2008, 18:47 ] |
Oggetto del messaggio: | Hermanitos |
Vita e politica della strada dei giovani latinos in Italia |
Autore: | helly [ 13 feb 2008, 21:07 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: Hermanitos |
(ora faccio un po' di casino) in Notizie e Segnalazioni: "Giovani migranti nelle città globali - Culture identità appartenenza" è il titolo di un incontro che si è svolto a Genova il 17-18 gennaio. Avevo scritto che ci sarei andata il 18/01 e che ne avrei parlato. E' passato un po' di tempo, ho avuto modo di carburare e ho pensato di postare qui, perchè è un post più recente e perchè la complessità argomento trattata dal libro "hermanitos" può forse essere compresa meglio leggendo il "dicono di noi", il pensiero della ricerca, nazionale e internazionale che affronto nelle prossime mille righe. L'ho detto e mo' vi bekkate questo. Ai più coraggiosi, quelli che arrivano fino alla fine: fatemi sapere che ne pensate, ok? Scusate dall'inizio se l'italiano è poco ortodosso, alcuni interventi erano in inglese, tradotti in italiano, impensabile quando si tratta di un linguaggio specifico come questo. Avviso che è stato un incontro accademico, ricco anche se a volte fin troppo tecnico, questo rappresenta solo un estratto. La giornata è stata divisa in due parti: Global gangs e culture transnazionali giovanili; e Politiche locali e organizzazioni della strada. Tra gli interventi più interessanti vorrei segnalare: I parte: Global gangs e culture transnazionali giovanili Simon Hallsworth (London Metropolitan University ) che ha discusso del “gang talk” (il discorso mediatico sulle gang) che si sta sviluppando nel Regno Unito. Q: Se esiste una crescita del fenomeno delle gang? E qual è il loro reale impatto? L’ipotesi, secondo il ricercatore, è che sia un fenomeno mediatico, non vi sono infatti statistiche o ricerche empiriche (tranne negli Usa) su cui si possa basare il “gang talk” Esiste invece una forte percezione di un aumento dei fenomeni violenti, che vengono legate alle gang che spesso senza motivazioni fondate. Le ricerche sociali constatano che la realtà nelle aree deprivate è più complessa di quando possa apparire. Vi sono forme di “sub-culture violente”, ricollegabili al tessuto culturale, ma non all’esistenza delle gang. Q: Allora perché il “gang talk” si è fatto più forte? Simon Hallsworth lo definisce “panico morale”, un circolo vizioso alimentato dai mass media, che ha a che fare con “l’industria del controllo”, cioè alla dinamica seguirebbe questo percorso: 1. l’evento (violento) 2. la diffusione dei mass media 3. la crescita del panico (morale) 4. la generazione della necessità di ricerche (e il relativo stanziamento di generosi fondi) 5. il sostenimento di politiche e azioni da parte del governi per “combattere” il fenomeno. Questo circolo viene definito anche come “male trascendentale” della società a cui “bisogna dare un nome” che è stato caricato di significato e che nel Regno Unito viene “etnicizzato”, a cui si assegna dunque una connotazione etnica (il nero, il latinoamericano, ecc). Ciò viene fatto per esternare ciò che è un problema della società, come in Uk, dell’aumento della violenza. Che di conseguenza giustifica il “sistema di controllo” attuato nei confronti della società nel suo insieme e, in questo caso particolare, verso la realtà delle gang. Nel caso dell’uragano katrina (Usa, 2005) il “gang talk” è arrivato all’eccesso. La crisi umanitaria si è trasformata rapidamente in crisi politica per effetto dell’attenzione mediatica. La rappresentazione non era quella di emergenza umanitaria verso le fasce più povere maggiormente colpite (gli afro-americani), ma della violenza esplosa in seguito all’ emergenza, che è stata così soppressa dalle autorità e giustificata come atto violento da parte delle gang. Carles Flexia (Universitat de Leida) interviene a una domanda sulle periferie europee. Sostiene che quest’ultime stanno regredendo alle condizioni di 10 anni fa (peggiori?). Si sono modificati gli equilibri socio-economici, ma vi sono buone speranze di miglioramento, che passano proprio da un “rinnovamento” delle periferie. Ciò consiste nella “riproduzione delle organizzazioni sociali” che deve andare di pari passo con il lavoro delle istituzioni, perché la “globalizzazione passa soprattutto dalle periferie”. David Brotherton, criminologo (Cuny New York) ha sicuramente fatto un discorso interessante ma di difficile comprensione (sebbene fosse supportato da una traduzione simultanea in italiano). Descrive le differenze tra criminologia culturale e criminologia ortodossa (es. city planning). Le bande rappresentano secondo lui l’“effetto sociale della trasgressione alle norme della borghesia”. Definisce le bande come una subcultura chiamata “nazione” raggruppate in “famiglie” , dove le frontiere territoriali non esistono, ovunque loro siano. A differenza delle altre gang, quelle latine “rifiutano il concetto di territorio”, le città diventano delle “Spanish Harlem” (es. New York: Est NY, South Bronx, ecc). Hanno sovvertito la definizione di “gruppo disorganizzato” della scuola di Chigaco, e in realtà erano un gruppo transnazionale organizzato: un flusso di capitale umano e sociale con il proprio “ethnoscape”. Costituiscono un esempio di “infra-politics” o di “politics of resistance”, una struttura dove le classi sociali esistono e si esprimono in pratiche di restistenza verso l’economia e la politica formale, il tutto contaminato da politiche/regole della strada. Ma l’infra-politics è politics? L’azione di questi gruppi negli anni novanta hanno sottolineato l’impatto positivo negli ambiti formali di politica nella lotta all’aids, dello status quo nelle scuole americane, del voto agli immigrati. Svetlana Stephenson(London Metropolitan University) ha presentato gli “street groups” russi, bianchi, nazionalisti a Kazan ( 800km da Mosca, terza città per valore di ricchezza in Russia). Durante gli anni novanta, questi gruppi di lotta locale arriva a scardinare il governo e il controllo locale. Con un’azione “dal basso”, si trasforma “ street group” in “community institution”. Tutto parte dagli anni 70, quando inizia la crisi del modello russo comunista, che alimenta l’economia informale, legale e illegale, e genera una produzione “in nero”. Al tempo i gruppi erano suddivisi territorialmente in modo tale che questa redistribuzione potesse essere utile a risolvere le dispute locali. L’inefficienza della presenza dello Stato, causa in questi anni l’emergere di violenza diffusa e giustizia informale (“fai-da-te”). Attualmente lo Stato ha ripreso il potere, e si è assistito a una progressiva “regressione” delle bande allo stato di gruppi parzialmente organizzati, gruppi “di pari” che svolgono attività legali e illegali (una “normalizzazione” del fenomeno). Un intervento di un abitante del quartiera Sampierdarena-Genova da 30 anni su Gangs, giovani e precariato. R: David Brotherton, parla di un processo di esclusione di questa classe sociale (immigrata), che è bassa, è impegnata a mantenere il benessere della classe media-borghese (servizi, pulizie, ecc). Ciò ha generato l’idea che le gang siano necessarie a questi giovani per guadagnare una “dignità” nella società in cui vivono (in un contesto organizzato, fatto di regole, ecc). “A differenza delle gang in Italia, le gang in America sono generate da un società razzista”. Dario Melossi, criminolgo dell’Università di Bologna, presenta i risultati della ricerca “La seconda generazione si confessa?” (Melossi, De Giorgi, Massa). Attraverso il metodo della devianza autorilevata (criterio per cui l’intervistato “denuncia la commissione di atti violenti”), i ricercatori hanno sottoposto un questionario a 4mila studenti , italiani o meno, di 4 scuole dell’Emilia-Romangna, con l’obiettivo di indagare sull’esistenza di una correlazione tra devianza e “seconde generazioni”. Dopo aver analizzato diverse variabili socio-demografiche, l’unica che ha avuto una qualche correlazione con la devianza, così com’è definita dai ricercatori, è stata la variabile “legami familiari”, dove il rapporto genitore-figlio è stato “autorilevato” dal giovane come carente e conflittuale, questo a prescindere dall’appartenenza o meno al gruppo “seconde generazioni”. II parte: Politiche locali e organizzazioni della strada Francesca Lagomarsino, sociologa, co-autrice del libro “Hermanitos. Vita e politica di strada tra i giovani latinos in Italia” , ha parlato del processo di esclusione sociale generato dalle bande. Questo è differente da quello di etnicizzazione, o di chiusura della comunità. L’accesso ai diritti di cittadinanza, come spiega la Lagormarsino, anche verso i figli ricongiunti degli immigrati producono diversi benefici: favorisce l’accesso all’identità nazionale, permette uscire dall’ “invisibiltà” e parifica il confronto con i coetanei italiani. Questa necessità costituisce un punto comune a tutte le organizzazioni di strada. In queste realtà è auspicabile l’incremento del capitale sociale, che è limitato attualmente nelle bande in Italia (non sono d’accordo), che si amplia anche grazie all’apertura verso gli educatori e a tutti gli interlocutori della società che non fanno parte della comunità nazionale di appartenenza. Le istituzioni locali di Genova non sono state in grado di prendere in carico (per tempo) la realtà delle organizzazioni di strada nel lungo periodo e, solo 2 anni fa, sull’onda dell’emergenza, hanno cominciato ad agire. Matteo Jade, del Centro Sociale Zapata di Genova, parla delle esigenze della comunità genovese di dare a questi giovani. Esigenze frutto del lavoro portato avanti dall’inizio del 2006 della collaborazione tra questi e l’università e i ricercatori. 1. uno spazio pubblico all’aperto, per favorire punti d’incontro diversi dagli (sterili), centri commerciali; 2. uno spazio che sia autogestito ( o co-gestito come nel caso della collaborazione tra CS Zapata e Latin Kings & Queens), per favorire l’espressione la voglia di protagonismo di queste giovani generazioni; 3. La necessità di non collegare il tema della sicurezza a quello dell’immigrazione (v. caso delle ronde a genova). La condizione dei giovani delle bande latine è di forte deprivazione nei diritti nel quotidiano. Molti sono irregolari (a differenza dei “clandestini”, loro avevano un permesso di soggiorno che poi non è stato possibile rinnovare), e lavorano in nero, sottopagati o non pagati del tutto da datori italiani. Questo disagio è nella maggior parte dei casi la causa degli eventi violenti. Massimiliano Morettini, Assessore alle politiche giovanili di Genova, mostra alcuni dati sull’immigrazione nel comune di Genova (v. ultimo rapporto): il 30% hanno meno di 21anni, il 50% tra i 25 e i 44 anni, il 21% dei nuovi nati ha almeno un genitore di nazionalità straniera. Quindi l’81% del totale degli immigrati è da considerarsi fascia “giovane”. Secondo Morettini, il problema è culturale, di diverse appartenenze nazionali. Le segnalazioni da parte della cittadinanza riguardano: l’uso degli spazi pubblici all’aperto, dei parchi e della musica la domenica mattina (niente di anormale, no?!). Citando Galimberti, parla di “ mancanza di un futuro come promessa” per i giovani, con particolare riferimento alla legge attuale sulla cittadinanza (il 53% dei figli di stranieri sono nati in Italia). Attualmente l’assessorato alle politiche giovanili sta portando avanti progetti nei quartieri più disagiati (Cornigliano?) e la presa in carico dei minori non accompagnati e i richiedenti asilo. helly, pensieri. Sensazioni sul contesto in Italia. In breve, dato che chi è arrivato fin qua potrebbe essere confuso e/o annoiato: esclusione sociale-nessun modello esplicito e unitario di integrazione, dove non esiste mobilità sociale, il familismo composto da reti parentali e amicali che regolano le principali istituzioni della società. Risultato: I giovani latini sono spesso giunti in Italia tramite ricongiungimento familiare dove il contesto genitorialeè poco presente. Appartenere ad una gang, restituisce dignità (come detto da David) ai/alle giovani e alle loro famiglie (in altri paesi il modello di appartenenza alle gang è a trasmissione familiare). Ma come trasformare questa appartenza, legata spesso alla violenza, in un processo positivo di partecipazione civica e sociale? (v. esperienze in atto a milano/genova/roma?) sono alla ricerca di una risposta o tante risposte. |
Autore: | helly [ 19 feb 2008, 21:42 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: Hermanitos |
ehi l123, dici che ho spaventato i miei cari g2ini con questo muro di parole? cemento armato sullo stomaco? so sorry, scusa se ho chiuso le porte alla discussione.. ci tenevo venisse fuori qualcosa di più dato che gli hermanitos sono qualcosa di più di un organizzazione socio-culturale... |
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