Dal Blog I NUOVI ITALIANI di Corrado GiustinianiCita:
Festa triste per 900 mila: restano fratellastri d'Italia
pubblicato il 18-03-2011 alle 11:23
Sarebbe stato bello che il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia fosse arrivato con un annuncio: il Parlamento ha finalmente approvato la legge che rende di diritto italiani i bambini e i ragazzi che lo sono di fatto. Perché sono nati da noi, anche se da genitori stranieri, o perché sono arrivati piccolini e in Italia stanno studiando. Perché parlano italiano, perché hanno amici italiani, perché tifano per le squadre italiane e per la Nazionale, perché nella loro testa e nei loro sogni non ci sono altri paesi. Perché, in definitiva, l'Italia è la loro patria. Sarebbe stato bello, ma quel progetto di riforma della famigerata legge 91 del 1992 sulla cittadinanza, giace in un cassetto di qualche commissione parlamentare, e nessuno lo tira fuori.
Sono oltre 900 mila, ormai, i minori figli di immigrati, più di mezzo milione dei quali nati in Italia. Soltanto nel 2010, secondo dati ancora provvisori, le culle sono state 100 mila. Le seconde generazioni cercano di far arrivare la loro voce attraverso la Rete G2, animano un vivacissimo sito Internet e per celebrare il 17 marzo hanno organizzato una lettura pubblica dei Promessi Sposi, in piazza di Pietra a Roma, illuminata di bianco, rosso e verde. In 52 si sono alternati al microfono, per declamare i passi più significativi del romanzo italiano per antonomasia. Il matrimonio che non s'ha da fare, qui, è quello tra loro e lo Stato italiano, si direbbe.
Ci sono brani che si prestano a una straordinaria doppia lettura. Vale per ciascuno di loro quello che Lucia confessa: «Io non sono andata a cercare i guai, sono loro che sono venuti a cercare me». Così, l'ammonimento di padre Cristoforo, che precede il famoso “Addio monti sorgenti”, al capitolo 8: «Vedete bene che ora questo paese non è sicuro per voi. E' il vostro, ci siete nati, non avete fatto del male a nessuno, ma Dio vuol così». Non Dio ma un dio minore, in questo caso: lo sfaccendato parlamento della Repubblica italiana.
Come abbiamo ricordato tante volte, secondo la legge 91 (votata, ahinoi, all'unanimità dalle forze politiche nel 1992) un bimbo nato in Italia da genitori stranieri potrà richiedere la cittadinanza italiana solo al diciottesimo anno di età, e sempre che abbia trascorso ininterrottamente tutto questo periodo nel nostro paese. Un buco di un anno, perché ha dovuto seguire il padre trasferito per lavoro in Svizzera e tutto cade. Inoltre al 18° anno ha solo dodici mesi per fare domanda, altrimenti perde l'occasione e, a conti fatti, rischia di diventare un clandestino da espellere.
Le soluzioni per porre fine a questo obbrobrio sono diverse. Qualcuno propugna lo jus soli integrale. Sei nato in Italia, sei italiano. Soluzione che non mi convince: venne adottata in Irlanda, e molte donne extracomunitarie andavano a partorire in quel paese per avere figli europei. Molto meglio questa formulazione: un bimbo è italiano se nasce da genitori stranieri che hanno il permesso di soggiorno da almeno quattro o cinque anni (e sono dunque sufficientemente integrati nel nostro paese). Oppure diventa italiano quando i genitori, raggiungono materialmente gli anni di integrazione previsti.
Nel 2010 Gianfranco Fini ha proposto questa soluzione che rappresenta la base per un compromesso convincente. Nessuna cittadinanza alla nascita: il ragazzino diventa italiano quando frequenta un ciclo di studi nel nostro paese. Alla fine delle elementari, oppure delle scuole medie se in Italia non è nato, ma è vi è giunto piccolissimo. Non si comprendono bene le ragioni di chi si oppone anche a questa soluzione. Dobbiamo infatti integrare le seconde generazioni di immigrati, non farne un corpo separato, pericoloso per la nostra stessa sicurezza.
Fonte:
http://www.ilmessaggero.it/home_blog.ph ... 0&idaut=11