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Roma - Mancano solo gli allibratori. Gli onorevoli si guardano l’uno con l’altro per capire chi sta con chi. È uno strano clima quello che si respira in Transatlantico, questo nobile corridoio dove i deputati fanno salotto. Dentro, in aula, si vota. Qui si chiacchiera. Tutti quanti sospirano, dicendo: aspettiamo, vediamo che succede. I più goliardici si danno alle scommesse. Il tema è sempre lo stesso, il fuori onda finiano lo ha reso solo più concreto, come se le paure avessero ora uno spessore di carne e verità. Nella maggioranza ci sarà, dovrebbe esserci, una resa dei conti. Il casus belli che certifica il divorzio: Fini da una parte, il mondo dall’altra. I più buoni o i più ottimisti dissimulano: non è detto. Molti aspettano. I più smaliziati fanno le puntate sul calendario parlamentare. Quelli davvero cinici giocano sull’ora, sull’orologio mai casuale delle procure. Quando, allora? Attenti ai giorni di Natale. Magari il 21 o il 22.
Il presidente della Camera, cioè Gianfranco Fini, ha deciso di mettere in calendario il dibattito sulla cittadinanza proprio in quei giorni. È andato veloce e con una procedura un po’ anomala. I testi delle varie proposte di legge non sono stati esaminati in commissione Affari costituzionali. Sono tredici e sono tanti. Perché portarli subito alla votazione in Aula? Michele Vietti, vice capogruppo dell’Udc e Giorgio Stracquadanio erano piuttosto stupiti di questa mossa. Di solito in commissione si lima, si sintetizza, testi simili vengono accorpati, si smussano gli angoli più duri. Nulla di tutto questo. Sulla cittadinanza si va a ranghi sparsi e il dibattito sarà lungo e difficile. Il clima ideale per surriscaldare le polemiche su una questione come la cittadinanza. Può accadere di tutto.
I conflitti nascondono ragioni di soldi e potere, ma scoppiano sempre sui valori. È quasi una legge della storia. Il caso più indicativo è la guerra di secessione americana. Nord e Sud erano decenni che litigavano sui chi doveva guidare la nazione, sui dazi e sul libero commercio, sull’industria e sull’agricoltura, ma hanno cominciato a spararsi davvero sul fronte della schiavitù. Lì non c’era più margine di mediazione. C’era solo un sì o un no. È chiaro, in questo caso non si sta parlando di guerra civile. È una disfida molto più piccola, ma abbastanza seria da far esplodere tutte le contraddizioni della maggioranza. La fronda finiana troverebbe un motivo alto e nobile, i diritti degli immigrati, per lasciare a testa alta il berlusconismo. Una cosa del tipo: non vado via per il fuori onda o per ingratitudine, ma per coerenza con i miei principi morali e i miei valori. Sarà davvero così? Difficile (lo strappo rischia di arrivare troppo presto), ma non impossibile con l’aria che tira.
Queste le ipotesi, lo scenario. Di certo c’è questo. Alla vigilia di Natale arriva a Montecitorio la proposta di Fabio Granata, fedelissimo di Fini, scritta e firmata con il deputato Pd Andrea Sarubbi. È una legge bipartisan, con tre aspetti fondamentali. Bastano cinque anni, e non più dieci, per diventare cittadino italiano. Gli immigrati devono dimostrare stabilità di reddito e conoscenza della lingua. È riconosciuta la piena cittadinanza al minore nato in Italia da genitori stranieri, a chi ha completato un ciclo di studi e, infine, allo straniero sposato con un cittadino italiano da almeno due anni. È il famoso principio della «cittadinanza di qualità». La Lega su questo punto è pronta a fare le barricate e ci sono molte perplessità anche nel Pdl. Ma a Montecitorio verranno messi sul piatto della discussione altri 12 progetti di legge. A Granata e Sarubbi risponde il leghista Cota: 10 anni di residenza legale e un esame di lingua italiana e locale, educazione civica, storia, cultura, tradizioni e istituzioni nazionali. Una sorta di laurea breve. Sono i due estremi. Ai finiani arriva in soccorso, da sinistra, Roberto Zaccaria. Mantini e Tassone (Udc) indicano i sei anni. La Sbai propone di revocare la cittadinanza a chi è condannato per terrorismo, De Corato a chi è contiguo. E poi via via tutti gli altri. Non resta che dire: buon Natale.
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http://www.ilgiornale.it/interni/lo_sco ... comments=1