Prove di dialogo con i falchiNovembre 4, 2009 ·
Dopo mesi di scomuniche preventive e sbeffeggiamenti, che non ci hanno risparmiato neppure il nonnismo da caserma, il primo partito italiano ha finalmente battuto un colpo: il documento sulla cittadinanza presentato ieri dalla Fondazione Magna Carta (vicina a Quagliariello e Gasparri) è un segno che il Pdl è vivo e lotta insieme a noi. Oddio, proprio insieme non direi, perché il documento fa un’analisi dell’immigrazione profondamente diversa dalla nostra, e siccome nessun giornale oggi se ne è occupato seriamente, provo a spiegarvi io quali sono le differenze. In neretto i capitoli, in tondo le loro tesi, in corsivo i miei commenti.
Premessa. La cittadinanza, scrivono, “non può essere affrontata in modo strumentale nel tentativo di risolvere problemi di altra natura” e vanno evitate riforme “motivate da ragioni contingenti o di mera tattica politica”. Anche se non li nominano espressamente, ce l’hanno con Granata e con Fini: Fabio, perché ha firmato un testo proposto da un deputato dello schieramento avverso; il presidente della Camera, perché su quel testo si è sbilanciato pubblicamente in diverse occasioni.
Non è un diritto. Affermano che la cittadinanza è un patto, non un diritto, perché i diritti gli immigrati regolari ce li hanno comunque: l’unica differenza sta nel voto e nella libera circolazione, quindi in realtà facilitare la cittadinanza significa soltanto voler facilitare il voto degli immigrati. Non conoscono nessun italiano di seconda generazione che mentre cercava di aprire un’attività imprenditoriale a casa sua (l’Italia) si è sentito rispondere dalla questura di riprovare l’anno successivo, perché le quote per il lavoro autonomo erano finite. E potrei andare avanti, ma preferirei che si documentassero da soli, visto che loro sono un think tank e io no.
Stanziali o di passaggio? Siccome non ci si muove più con le navi ma con gli aerei, oggi non è più come una volta: i nostri padri andavano a cercare fortuna in America e ci rimanevano, mentre gli immigrati che vengono in Italia stanno qui solo per lavorare, perché poi vogliono tornare a casa loro. E nel frattempo, guardano sul satellite i programmi di casa loro, vanno sui siti internet di casa loro… Altro che integrazione: anziché pensare alla cittadinanza, basterebbero dei visti per motivi di lavoro. Qui è il rapporto Caritas, fresco di stampa, a smentire completamente l’analisi: gli immigrati in Italia oggi sono stanziali e tendono a mettere su famiglia. Se prendono l’aereo per andare nel Paese d’origine, comprano un biglietto di andata e ritorno della durata di un mese: il tempo delle ferie. La visione di Magna Carta ricalca esattamente quella della Germania anni ‘60: ne ho parlato così tante volte, su questo blog, che chi fosse rimasto indietro può cliccare qui. Oppure comprarsi due copie di un qualsiasi saggio di Massimo Livi Bacci: una per sé, l’altra da regalare agli amici falchi.
L’appartenenza alla Nazione. “Una Nazione – scrivono – cresce ed evolve sulla base di radici etno-culturali, e potrebbe cessare di essere democratica nel momento in cui si intaccassero i vincoli stessi che garantiscono l’unità della Nazione, e la sua struttura sociale, e quando venisse meno il senso di reciproca appartenenza storica”. Se sei figlio di genitori filippini ma ti senti italiano, insomma, rischi di intaccare l’identità nazionale; se invece sei figlio di genitori bresciani e ti senti padano, puoi anche stare al governo.
L’integrazione come premessa. “La cittadinanza presuppone il senso di appartenenza ad una comunità”, proseguono, citando alcune regole: padronanza della lingua, conoscenze dei fondamenti istituzionali e giuridici, fedina penale pulita, lavoro regolare. Premesso che trovare un italiano con percorso netto su tutti e quattro i punti sarebbe durissima, e che fra i concorrenti del Grande fratello sarebbe addirittura impossibile, su questi aspetti li avevamo già anticipati: i paletti della pdl Sarubbi-Granata sono un po’ meno pomposi, ma altrettanto efficaci.
Gli esempi stranieri. Ogni Paese – affermano – fa storia a sè: Francia e Gran Bretagna hanno leggi meno restrittive della nostra perché avevano le colonie, Ma poi prendono ad esempio la Spagna, perché prevede 10 anni di residenza. La Spagna ne prevede solo 2, in realtà, per chi viene dalle ex colonie: proporremo a Magna Carta di estendere la stessa regola, in Italia, agli immigrati provenienti da Eritrea, Somalia, Libia, Albania e dalle isole greche del Dodecaneso. Per non parlare dello ius soli, che in Spagna esiste.
Ius soli. Lo ius soli è un falso problema, spiegano gli esperti di Magna Carta, perché da noi esiste già: se uno è nato qui, a 18 anni può fare domanda e diventare cittadino italiano. A questa mi rifiuto di rispondere: invito i ragazzi della seconda generazione a mandare una mail a segreteria@magna-carta.it , raccontando ai pensatori del think tank come ci si sente ad essere cittadini del nulla per tutta l’adolescenza e come si vive fino ai 24-25 anni (quando va bene) da italiani con il permesso di soggiorno.
Qualità o quantità. Oggi la cittadinanza è legata ad un percorso burocratico, che tiene conto solo della quantità di tempo passata in Italia, mentre è importante anche la qualità, ossia il cammino di integrazione compiuto da ciascuno. Su questo non ribatto: evidentemente, hanno letto anche loro la Sarubbi-Granata. Ma allora, perché continuano a dire che il kamikaze fai-da-te di viale Jenner con la nostra legge sarebbe stato cittadino italiano? Perché non ci spiegano come mai Hina o Sanaa non potevano esserlo di diritto, pur essendolo di fatto?
Non so come finirà, davvero. Dico solo che dialogare con le colombe è più facile che con i falchi.
P.S. Su suggerimento di pinosp, vi lascio il link ad un botta e risposta sul Fatto quotidiano di oggi. Un lettore chiede come mai il Pd non stia insistendo più di tanto sulla proposta di legge bipartisan Sarubbi-Granata. E Furio Colombo, che oltre a scrivere sul Fatto è uno dei firmatari di quella pdl, risponde così.