Cita:
Bertolini: "E' l'immigrazione la sfida, altro che la cittadinanza"
Lunedì 24 Maggio 2010 11:46
Isabella Bertolini, deputato Pdl, una storia liberale confluita in Forza Italia annuncia in questa intervista a il Predellino l'avvio di una iniziativa parlamentare da parte di un gruppo di deputati e senatori del Pdl che sul tema dell'immigrazione e della cittadinanza allo straniero lanciano una sfida alla sinistra e a certi settori del centrodestra.
di Andrea Camaiora
Onorevole Bertolini, Le piace il regolamento sull'immigrazione a punti realizzato dal ministro Scacconi?
Certo! Meno male che, secondo l’opposizione, il nostro è un governo che non fa nulla. Ma si rende conto? In appena due anni abbiamo approvato prima il pacchetto sicurezza e adesso facciamo un ulteriore salto di qualità con questo provvedimento.
Non esageriamo. È pur sempre un regolamento attuativo.
Sì, ma porta in sé una rivoluzione culturale perfettamente coerente con lo spirito della legge Bossi-Fini. È il coronamento politico di quel percorso. Stiamo lavorando ad un sistema nel quale l’immigrato non solo sia regolare, ma anche integrato e lo facciamo in linea con le legislazioni più avanzate al mondo, penso all’Australia e al Canada. Il cambio di approccio impresso dal governo su sollecitazione, mi piace sottolinearlo, di un eccellente ministro Pdl come Maurizio Sacconi, ha provocato una reazione indispettita della sinistra e dei parlamentari che dicono di fare riferimento alle posizioni di Gianfranco Fini.
E secondo lei perché ciò accade?
L’opposizione, anche facendosi del male da sé, ha il diritto di dire ciò che vuole. Ma stiamo parlando – come le ho già detto – di una rivoluzione culturale, non sono sfumature o dettagli che ci dividono. Abbiamo introdotto un sistema premiale per dare certezza e serenità all’Italia di domani. Se c’è qualcuno in maggioranza che contesta un simile approccio, che è perfettamente in linea con la legislazione del 2001-2006 e con ciò che abbiamo sempre detto, deve probabilmente chiedersi cosa sta a fare in questo partito, il Pdl, e in maggioranza. Se si governa assieme, se si condivide un cammino politico, occorre prima di tutto andare d’accordo. Anche perché questo è un ulteriore passo di una strada ancora lunga da percorrere.
Scusi Bertolini, in che senso?
Il primo passo di questo percorso legislativo è stata la legge Bossi-Fini, la prima svolta politica dopo decenni di ideologia della “accoglienza”, una ideologia secondo la quale la porta di casa tua deve stare per forza aperta per lasciare entrare chi gli pare. Peccato che la porta di casa degli “accoglienti” fosse ben sprangata e quella aperta fosse la porta degli italiani che hanno meno. A Torino hanno creato i ghetti in città, mica sulle colline. Con la Bossi-Fini abbiamo iniziato a mettere ordine e in questa legislatura, con l'introduzione del reato di immigrazione clandestina abbiamo fatto nostro un principio giuridico su cui si fonda la Repubblica: la sovranità sul proprio territorio.
Eppure c'è chi dice si tratti di un reato che va contro la Costituzione. Alla Consulta pende un giudizio di Costituzionalità. Cosa risponde?
Per rispondere faccio mie le tesi esposte sul Corriere della Sera da Angelo Panebianco. Cito testualmente. “Che cosa è il reato di clandestinità? Nient’altro che la rivendicazione da parte di uno Stato del suo diritto sovrano al pieno controllo del territorio e dei suoi confini, della sua prerogativa a decidere chi può starci legalmente sopra e chi no. Se risultasse che una legge, regolarmente votata dal Parlamento, che stabilisce il reato di clandestinità, è incostituzionale, ne conseguirebbe che la Costituzione repubblicana nega allo Stato italiano il tratto fondante della statualità: la prerogativa del controllo territoriale”. E aggiungo da parte mia che questa tesi sottende una verità apparentemente paradossale...
Quale sarebbe?
Chi si è battuto più di ogni altro per introdurre il reato di immigrazione clandestina? La Lega Nord e la grandissima maggioranza del Popolo della Libertà. Il che vuole dire che questi due partiti sono quelli che difendono la Repubblica Italiana come entità statuale, quindi come nazione unitaria. Altro che la retorica delle celebrazioni dei centocinquant'anni dell'unità di Italia. Uno Stato è tale se difende i suoi confini e oggi a difendere i confini dello Stato dall'attacco criminale dei trafficanti di uomini sono le navi che pattugliano le coste meridionali. Ha capito: me-ri-dio-na-li. Altro che partiti del nord ricco contro il sud povero. I retori sono quelli che hanno consentito il vergognoso lager di Rosarno, che non è altro che il risultato della retorica ideologica che si nutre della bontà caramellosa di parole come “accoglienza e solidarietà”.
C'è chi dice che i respingimenti violano il diritto internazionale e la Costituzione perché impediscono il diritto d'asilo. Lo ha sostenuto anche Laura Boldrini, la portavoce dell'organizzazione per i rifugiati dell'Onu.
È stato proprio Il Predellino qualche mese fa a scrivere che “per parlare di asilo occorre andare a scuola” riferendosi alla scuola di diritto costituzionale italiana. Le cito cosa ha scritto il professor Alessandro Pace, presidente dell'Associazione dei costituzionalisti italiani e professore di diritto costituzionale all'Università “La Sapienza” di Roma: “Non tutti quelli che vorrebbero entrare nel nostro Paese godono del diritto di asilo e non è nemmeno possibile che i migranti, una volta trasferiti sulle navi militari italiane per essere riportati in Libia, possano fare a bordo domanda di asilo. Le navi da guerra godono dell'immunità diplomatica ma non sono territorio italiano”. Mentre l'articolo 10 della Costituzione, al comma 3, prevede, invece, che lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzionale italiana abbia diritto all'asilo nel territorio della Repubblica e secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Ad essere garantito è, quindi, il solo asilo territoriale e non quello extraterritoriale in sedi di missioni diplomatiche, nei consolati, a bordo di navi da guerra oppure in quelle che esercitano una potestà pubblica. Ed è necessario che chi richiede l'asilo entri nel territorio dello Stato. Per la Costituzione italiana non è possibile invocare dall'estero il diritto d'asilo. E anche se una persona vive nelle condizioni previste dalla Costituzione (lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana) se non si trova sul territorio della Repubblica non può invocare il diritto di asilo”.
E se lo dice il Professor Pace – che non può essere certo considerato vicino alle posizioni del governo Berlusconi, visto che ha rappresentato la procura della Repubblica di Milano nel giudizio di costituzionalità sul Lodo Alfano – anche a sinistra potrebbero convincersene.
Eppure vi accusano di volere negare i diritti degli stranieri. Anche il presidente della Camera disse addirittura una parolaccia in una visita ad una scuola parlando a giovani studenti di colore, figli di immigrati....
Le opposizioni e una parte del Pdl sembrano interessarsi esclusivamente ai “diritti” degli stranieri come se fossimo all'anno zero dell'immigrazione. Secondo lei agli stranieri l'Italia non riconosce diritti e opportunità? Chi viene da Stati tirannici trova in Italia innanzitutto la libertà, il più importante diritto della persona. Tutti gli immigrati, anche se non sono in regola con la legge, godono di una completa assistenza sanitaria nelle stesse identiche forme che la Costituzione assicura ai cittadini italiani. Ha mai avuto notizia di cure non prestate a qualche cittadino straniero da parte del Servizio Sanitario Nazionale? Provi ad andare di notte nel pronto soccorso degli ospedali delle grandi città e vedrà. Così come all'immigrato regolare sono riconosciuti tutti i diritti sindacali e del lavoro e, ancora i Comuni riconoscono agli immigrati tutte le forme di assistenza previste per gli italiani tanto da aver prodotto una “guerra tra poveri” nell'assegnazione delle case popolari, visto che gli immigrati di regola hanno famiglie numerose e quindi sono avvantaggiati rispetto ai nostri anziani che vivono da soli o al massimo in coppia. Dunque l'Italia è tra le nazioni più ospitali verso gli stranieri.
E allora perché tanto parlare di integrazione e cittadinanza?
La cittadinanza è un'altra cosa, non è uno strumento di integrazione. È piuttosto la conclusione di un percorso di integrazione che avviene prima. È per questo motivo che il governo ha introdotto un regolamento che premia chi vuole integrarsi in Italia e penalizza chi l'integrazione rifiuta. È dunque il primo passo per scegliere e non subire l’immigrazione.
Cosa intende?
Ogni nazione degna di questo nome sceglie i propri immigrati, non li subisce. Non aspetta che entrino irregolarmente per poi renderli “regolari” attraverso le sanatorie, ma seleziona i propri immigrati. Noi possiamo, anzi dobbiamo, farlo determinando attraverso le quote e i flussi – che si decidono annualmente secondo la legge Bossi-Fini – per portare in Italia immigrati che possano più facilmente integrarsi e che rispondano alle esigenze del mercato del lavoro. È più facile integrare persone con qualche titolo di studio, che abbiano già un qualche mestiere. E che provengano da nazioni di civilizzazione più vicina alla nostra. Gli immigrati, che che ne dica la cattiva propaganda egualitaria, non sono mica tutti uguali.
Come? Ma la Costituzione non dice che siamo tutti uguali?
La Costituzione prescrive giustamente l'uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Ma non c'è Costituzione al mondo che faccia diventare uguale ciò che è diverso. Provi a pensare cosa accade con gli immigrati di fede islamica. Non ha letto di padri che uccidono le figlie perché queste hanno assimilato i costumi e gli stili di vita europei? Ed è solo la punta dell'iceberg che emerge. Noi non sappiamo quante siano le donne provenienti dal mondo musulmano che in Italia sono prigioniere nelle loro case perché i loro mariti le considerano proprietà, non persone.
In effetti, a dirlo non è solo lei...
Le cito ancora cosa ha scritto sul Corriere della Sera, Angelo Panebianco: ‹‹in tutti i Paesi europei, quale che sia la politica verso i musulmani, si constata sempre la stessa situazione: ci sono, da un lato, i musulmani integrati, che vivono quietamente la loro fede, e non rappresentano per noi alcun pericolo ma ci sono anche, dall'altro, i tradizionalisti militanti, rumorosi e assai numerosi, più interessati ad occupare spazi territoriali per l'islam nella versione chiusa e oscurantista che a una qualsiasi forma di integrazione. E lascio qui deliberatamente da parte i jihadisti e i loro simpatizzanti. Salvo osservare che i confini che separano i tradizionalisti militanti contrari all'uso della violenza e i simpatizzanti del jihadismo sono fluidi, incerti e, probabilmente, attraversati spesso nei due sensi. Negare il problema è, francamente, da irresponsabili››.
Chi studia seriamente il problema giunge alla stessa identi conclusione. Perché si tratta di un dato oggettivo. Che deriva da abitudini di vita quotidiana radicalmente differenti, che si tramandano di generazione in generazione. Tanto è vero che le più recenti esperienze europee dimostrano, numeri alla mano, che gli integralismi più violenti hanno trovato terreno di coltura proprio in quelle comunità di seconda o terza generazione, nati e vissuti in Occidente, che hanno frequentato le nostre scuole, che hanno letto i nostri libri, guardato i nostri programmi televisivi, quelli che dovrebbero essere più che integrati e invece reagiscono contro l'Occidente perché la loro religiosità integralista viene messa in discussione dalla nostra libertà.
E allora?
Allora è indispensabile favorire gli immigrati che abbiano una cultura più vicina alla nostra: un indiano di civilizzazione britannica e un filippino di cultura cattolica si integrano meglio di un iraniano e di un siriano. L’Australia, ad esempio, si è già mossa in questa direzione: le loro leggi prevedono addirittura incentivi economici per chi provenga da nazioni occidentali, come ad esempio l'Italia, e voglia stabilirsi là. Evidentemente noi italiani siamo considerati buoni immigrati, non crede? E realizzare questa selezione all'ingresso è più semplice di quanto non si creda: basta lavorare sull’esempio australiano attraverso la stipula di rapporti bilaterali tra l'Italia e le nazioni che consideriamo fonte di buona immigrazione, immigrazione di qualità.
Vuole dire che la cittadinanza non è il il mezzo con cui realizzare l’integrazione degli stranieri? Cosa risponde ai firmatari della legge Granata – Sarubbi?
È evidente che la cittadinanza non è strumento di integrazione, ma – lo ripeto – è il coronamento di un percorso. E per noi ciò significa che uno straniero per ottenere la cittadinanza deve essere talmente integrato da aderire ad una nuova comunità nazionale, accettandone quindi anche i doveri conseguenti. Penso, ad esempio, alla difesa della patria. E le aggiungo che, per quanto riguarda noi che veniamo da una cultura liberale che è vissuta in Forza Italia e che vorrei prevalesse anche nel Pdl, la cittadinanza è una opportunità per lo straniero, non un obbligo. Sarebbe liberale quello Stato che imponesse in modo automatico al figlio dello straniero una cittadinanza diversa da quella dei suoi genitori? Avremmo mai accettato negli anni 50 dello scorso secolo – quando non esisteva ancora l'Europa senza frontiere e gli italiani andavano a cercare lavoro in Germania, in Belgio e in Svizzera – che i loro figli nascessero tedeschi, svizzeri o belgi e non italiani? Ci saremmo ribellati a questa imposizione, rifiutando di essere considerati uomini di seconda serie.
Ecco cosa non comprendono quelli che condividono la legge Granata – Sarubbi, a partire dal principale sostenitore, il Presidente della Camera: per loro la cittadinanza non è integrazione, ma assimilazione. Noi siamo liberali, non condividiamo il nazionalismo annessionista degli anni trenta dello scorso secolo . Quella filosofia – che trova eco in questa idea della cittadinanza come strumento di integrazione - per giunta, si scontra con la Costituzione vigente e con norme volute proprio dalla destra di Gianfranco Fini.
Quali sarebbero?
Pensi al voto degli Italiani all’estero, garantito per jus sanguinis. Tutto il nostro ordinamento si regge su questo. Non è allora questione di “diritti” come recita la solita cantilena sinistrorsa: non ci sono diversi diritti civili, economici e sociali tra un cittadino italiano e un immigrato regolare. La sola cosa che li distingue sono i diritti politici, diritti che, peraltro, non sono riconosciuti nemmeno agli italiani che non hanno raggiunto la maggiore età. E che, invece, alcuni vorrebbero garantire allo straniero sin dal momento della nascita, come se così si diventasse più “uguali” di ora: è francamente un principio insostenibile.
La crisi economica determina disoccupazione anche tra gli immigrati...
Il governo sta garantendo la coesione sociale. Ma è evidente che, se la crisi economica fa perdere lavoro agli immigrati prima impiegati, diventa difficile accoglierne altri senza che il sistema collassi. La Spagna, dove la disoccupazione è cresciuta molto più rapidamente che da noi e ha raggiunto livelli record in Europa, ha deciso di dare incentivi economici agli immigrati disoccupati perché tornino nel Paese d'origine, piuttosto che gravare a tempo indeterminato sul welfare spagnolo. E il governo Zapatero è socialista, non di centrodestra. È una misura che vorrei fosse presa in considerazione anche da noi e prima che la crisi morda ulteriormente.
In ogni caso al governo italiano non manca la visione d’insieme, prova ne sia che il ministro Gelmini ha affrontato bene la questione dei tetti per regolare la convivenza scolastica. E a un governo che opera bene è opportuno che la maggioranza parlamentare offra nuove idee, nuove proposte. Come ad esempio “l'immigrazione a rotazione”.
Di che si tratta?
Non tutti gli stranieri che vengono a lavorare in Italia vogliono trascorrere tutta la loro vita qui. Anzi, molti ambiscono a ritornare nei loro paesi d’origine dopo aver accumulato una somma che là vale molto di più Le faccio un esempio che conosco: in India una casa a tre piani costa 30mila euro. Molti indiani riescono, con il loro lavoro in Italia, ad accumulare anche di più, perché sono specializzati in alcune attività. Conosco un imprenditore che fa selciati stradali in porfido che ha solo operai indiani, perché sono i migliori al mondo. La sua azienda ha una rotazione naturale con un ciclo quinquennale. L'indiano sta in Italia cinque anni e poi torna in India, magari facendosi sostituire da un parente o da un amico.
È necessario, allora, costruire un sistema di welfare che accompagni questi immigrati nella loro permanenza in Italia, senza che ne risulti un gravame eccessivo sul nostro sistema di servizi sociali e sanitari. Dobbiamo anzi prevedere aiuti e incentivi che favoriscano i rientri volontari. Non sono strade facili da percorrere. I controlli sugli accordi non saranno semplici, ma si tratta di riforme che guardano lontano, che cercano di anticipare i problemi invece di rincorrere le emergenze.
Anche Lei vuole Fare Futuro....
Per carità. L'Italia ha l'opportunità di fare tesoro degli errori commessi in mezza Europa, quelli che gli amici di FareFuturo ci propongono di fare a nostra volta. E mentre Gran Bretagna, Olanda, Spagna, Germania hanno capito che certe soluzioni polically correct sono state fallimentari, i FareFuturisti sono in realtà un po' indietro con le loro letture.
24 maggio 2010
Fonte:
http://www.ilpredellino.it/online/compo ... tadinanzaq