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 Oggetto del messaggio: I super-doveri degli immigrati
MessaggioInviato: 08 feb 2010, 19:55 
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I super-doveri degli immigrati

GIOVANNA ZINCONE
La cittadinanza dell’Ue e quelle dei singoli Paesi membri seguono due logiche antitetiche. Il permesso di soggiorno a punti rischia di imitare quella sbagliata.
Vediamo perché. L’Ue, in quanto figlia non troppo degenere della Comunità economica, adotta una cittadinanza che segue la logica della libera circolazione: incentiva le persone a muoversi dove ci sono più opportunità. La cittadinanza nazionale segue la tradizionale logica dello stato-nazione: pretende comunanza di cultura e di lingua, incentiva le persone a radicarsi sul territorio. Per diventare cittadino europeo basta avere la nazionalità di uno dei Paesi membri, poi si va e si lavora dove si vuole. Non si chiede ai cittadini comunitari di conoscere la lingua, la cultura, le istituzioni dei paesi dell’Unione in cui emigrano. Al contrario, le singole cittadinanze nazionali chiedono assimilazione, vogliono e inducono stabilità. Per naturalizzarsi occorre essere lungo-residenti, oppure essere nati sul territorio, o avervi studiato per un po’ di anni. L’europeo è invitato ad andare negli altri Paesi dell’Unione senza vincoli, mentre il non comunitario che vuole diventare cittadino del singolo Paese deve restare fermo e assimilarsi.

La differenza è comprensibile. Per concedere un diritto che segna l’appartenenza ad una comunità civile lo Stato chiede garanzie. Non vuole dare un titolo importante a chi stia lì quasi per caso, deve capire se chi vuole entrare nel club fa sul serio, anche se alcuni segnali di questo «fare sul serio» variano. Oggi nell’Unione il requisito della residenza va dal minimo di 3 anni in Belgio al massimo di 12 in Grecia (ma quel governo intende ridurlo a 5 anni). Per gli altri segnali di integrazione stiamo assistendo, invece, ad un trend convergente. In quasi tutti i Paesi europei una certa conoscenza della lingua è sempre stata valutata quando si trattava di concedere la naturalizzazione, ma per lo più non si chiedevano prove formali. Da quando, nel 1999, la Germania ha inserito per legge la conoscenza del tedesco, molti Paesi hanno seguito il suo esempio. Poi sono arrivati i test di integrazione, introdotti in Gran Bretagna nel 2002. Anche i test hanno attecchito alla grande, e servono non solo a valutare la competenza linguistica, ma anche la conoscenza della cultura, della storia, della vita civile del Paese di immigrazione. Per fornire le conoscenze ritenute necessarie si sono allestiti corsi di integrazione: ad aprire la pista in questo caso è stata l’Olanda, e di lì i corsi si sono diffusi a macchia d’olio.

L’asticella da superare per diventare cittadino si è talvolta abbassata sui tempi, ma si è alzata per le prove di integrazione. Alcuni esperti considerano queste richieste eccessive e inutili: se un individuo se la cava a vivere e a lavorare senza conoscere bene una lingua, se la può cavare altrettanto bene a votare, una volta che sia stato promosso a cittadino. D’altronde i regimi democratici, con il suffragio universale, hanno concesso la cittadinanza politica anche agli analfabeti. Quanto al caso italiano, fin troppi commentatori hanno già osservato che si pretende dai nuovi cittadini una cultura pubblica che non dimostrano di avere neppure molti parlamentari. Ma questi argomenti funzionano solo se vogliamo continuare ad accontentarci di una democrazia scadente. Altrimenti, proprio dai requisiti che imponiamo agli immigrati perché vogliamo nuovi cittadini competenti, dovremmo prendere spunto per chiedere altrettanto ai nostri concittadini per diritto ereditario. Anziché abbassare l’asticella per gli stranieri, dovremmo saltare tutti un po’ più in alto. Questo implica prendere molto più sul serio l’educazione civica, proporre palinsesti radiotelevisivi appetibili ed eticamente intensi. L’esigente approccio nei confronti dei nuovi cittadini potrebbe offrire uno spunto per chiedere maggiore competenza ai candidati alle elezioni di ogni ordine e grado. Si tratterebbe sia di ristabilire un cursus honorum, una carriera basata sull’apprendimento graduale, sia di restituire ai partiti quella funzione di educatori civili che svolgevano utilmente in passato.

Ma se la severità nelle richieste che facciamo ai nuovi cittadini può essere utile per costruire una democrazia più adulta, non si capisce invece a cosa servano pretese di assimilazione rivolte a chi è qui solo per lavorare. È sensato imporre una buona conoscenza della cultura storica e civica, dei meccanismi del welfare del nostro Paese anche a chi non intende radicarsi e non vuole diventare cittadino? Lo si è già fatto con il pacchetto sicurezza per la concessione della carta di soggiorno, che si può ottenere dopo 5 anni di residenza regolare, adesso pare che lingua e cultura diventino una condizione per restare a lavorare in Italia dopo un tempo di residenza anche più breve. Ma se uno straniero investe tanto per imparare lingua e cultura del luogo, sarà poi riluttante a spostarsi altrove, a tornare in patria. Il suo progetto iniziale, magari a breve termine, si trasformerà in un progetto stanziale a lungo termine. Se si può accettare la sfasatura tra una cittadinanza europea mobile, concepita in una logica economica, e una cittadinanza nazionale stanziale, concepita in una logica da stato-nazione, non si capisce perché calare la cappa della logica statuale anche ai permessi di soggiorno per motivi di lavoro. Perché imporre ai lavoratori stranieri l’obbligo di assimilarsi? Non ci basta che rispettino le nostre leggi e i valori portanti delle nostre democrazie? Meraviglia che forze politiche convinte dei benefici di un’immigrazione circolare, fluida, si adoperino per spingere gli immigrati a diventare stanziali.


Articolo apparso su La Stampa del 08/02/2010

Fonte: http://www.migrantitorino.it/?p=5170#more-5170


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 Oggetto del messaggio: Re: I super-doveri degli immigrati
MessaggioInviato: 09 feb 2010, 15:50 
Clandestino
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Iscritto il: 05 mag 2008, 16:00
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Se fosse solo un problema di cultura generale e di lingua, si puo' star certi che l'avrei ottenuta anni or sono Immagine
ma tanto lo soppiamo che é solo una scusa imbottita di razzismo Immagine

"lasciate ogni speranza oh voi che entrate" Gentillini sciacquati la bocca analphabeta ("ecologia" non "economia") bruciator del tricolore, che senso ha citare la divina commedia di Dante (uno dei padri fondatori della lingua italiana, lingua volgare che contribui all'attuale unità italiana)Immagine
"Eliminiamo i banbini" sempre sto figlio di Immagine


ma nonostante cio' mi condurro in modo civile, e manifestero' il mio disappunto con il "massimo rispetto" Immagine


E dopo questo... Immagine

Bingo! Immagine
E vai! I piccoli piaceri, i buon momenti, un bel fine anno lol no way!Immagine


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 Oggetto del messaggio: Re: I super-doveri degli immigrati
MessaggioInviato: 09 feb 2010, 18:15 
G2 con doppia cittadinanza

Iscritto il: 01 lug 2006, 21:34
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Località: Roma
la zincone è una brava costituzionalista, forse dovremmo contattarla quando abbiamo bisogno di pareri da esperto, non so, magari fa anche parte dell'asgi.

_________________
Cinese fasullo


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 Oggetto del messaggio: Re: I super-doveri degli immigrati
MessaggioInviato: 09 feb 2010, 19:12 
Moderatore

Iscritto il: 07 dic 2008, 19:59
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oggi su "Il Fatto"

Cita:
Immigrazione: ecco il decalogo della persecuzione (istituzionale)
di Corrado Giustiniani

Tante molestie, una dietro l'altra, fanno una persecuzione. Ed è quella che gli immigrati di questo paese stanno subendo: regolari o no che siano. Di molestie ne elencheremo dieci, ma giusto per fare cifra tonda. L'ultima è quella del “permesso a punti”, di cui il governo sta per varare il regolamento attuativo. Un permesso a punti alla rovescia, rispetto all'esperienza consolidata del Canada e a quella più recente del Regno Unito: la classifica non serve, infatti, per poter entrare con regolare nullaosta nel nostro paese ma invece, una volta arrivati non è chiaro come e ottenuto dopo mille peripezie il permesso di soggiorno, per non esserne cacciati via. Così, tanto per vivere con ansia persino la propria condizione di immigrato regolare. Ci sono due anni di tempo, più uno supplementare, per superare i test di italiano e di educazione civica previsti dall'Accordo di integrazione, che verrà fatto firmare assieme al permesso di soggiorno, pena il non rinnovo e l'espulsione. Delle due l'una: o basta l'italiano che l'immigrato apprende lavorando e facendo la spesa, e allora è assurdo mettere in piedi una così complessa organizzazione, oppure la selezione sarà seria e allora il muratore ucraino Igor, che sta lavorando alla ricostruzione dell'Abruzzo terremotato, dovrà inchiodarsi in testa congiuntivi, condizionali e articoli della Costituzione che i suoi compagni di lavoro italiani magari ignorano. Se lo Stato volesse davvero integrare i nuovi arrivati, dovrebbe rilanciare le 150 ore di formazione un tempo offerte ai nostri lavoratori, e un piano di alfabetizzazione televisiva come fu lo straordinario Non è mai troppo tardi che negli anni '50 la Rai affidò al maestro Alberto Manzi. Ma l'intento, qui, è ideologico-elettoralistico: sottoporre ad esame gli immigrati regolari.

La seconda molestia consiste nei tempi lunghissimi impiegati dall'amministrazione per rinnovare i permessi di soggiorno: 291 giorni in media, cioè dieci mesi, quando il Testo unico dell'immigrazione dice che la procedura non deve durare più di 20 giorni. Si stima che almeno un milione di immigrati siano oggi in attesa. Rinnovare il permesso di soggiorno costa 70 euro. Sborsati in cambio di un servizio da Terzo mondo, ed è paradossale che uno Stato che non riesce a renderlo efficiente, carichi di nuovi compiti i suoi uffici con il “permesso a punti”. Costa invece 200 euro la domanda per ottenere la cittadinanza. É la terza molestia: ben dieci anni di residenza legale e altri tre-quattro di attesa media burocratica . La quarta è la negazione della cittadinanza ai bimbi stranieri nati in Italia, che possono ottenerla solo dopo 18 anni trascorsi ininterrottamente nel nostro paese. Nel bel libro di Giuseppe Caliceti Italiani per esempio, Vera, 11 anni, genitori albanesi, chiede al maestro: “Io sono nata in Italia, a Montecchio. Sono italiana o albanese? Sono immigrata o no?”. Quinta molestia, per i minori non accompagnati: un fenomeno purtroppo in forte crescita. La conversione del permesso di soggiorno, una volta raggiunti i 18 anni, non è ammessa se il minore non ha trascorso almeno tre anni in Italia. Se hai più di 15 anni al tuo arrivo nel paese, diventerai dunque irregolare. E ciò, osserva l'esperto Sergio Briguglio, rischia di incentivare la migrazione di minori di età inferiore. Sesta molestia: il non aver previsto tassativamente che, dal tetto del 30 per cento fissato dal ministro Gelmini per gli stranieri in classe, vengano esclusi almeno i bimbi nati in Italia. Il ministro l'ha promesso, ma nella circolare non c'è scritto e la Lombardia , per esempio, non farà eccezioni. Settimo atto persecutorio, ma ognuno scelga l'ordine di classifica che ritiene più adatto, il concedere appena sei mesi di tempo a un immigrato regolare che ha perso il lavoro per ottenerne un altro, pena la clandestinità e l'espulsione. Ottavo, aver approvato una regolarizzazione soltanto per le colf e le badanti, come se camerieri, operai, muratori, siano figli di un dio minore e non meritino di lavorare alla luce del sole. Nono, colpire gli illegali senza aver previsto una via d'ingresso legale per cercare lavoro nel nostro paese: gli immigrati vanno assunti direttamente nella nazione di origine. Decimo, la persecuzione ideologica: dire ad esempio, come ha fatto Silvio Berlusconi a Reggio Calabria, che con l'immigrazione aumenta la criminalità quando, come ha dimostrato Tito Boeri, dal 1990 al 2005 i permessi di soggiorno sono saliti del 500 per cento, mentre il numero di crimini per 100 mila abitanti è rimasto sostanzialmente invariato.


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