Forum della Rete G2 – Seconde Generazioni

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L'Italia del futuro: quale identità
per i figli degli immigrati?


di Tonia Garofano

L’Italia è multietnica. Lo è perché vede da anni la compresenza e convivenza di persone di origine, nazionalità, religione, culture, lingue, tradizioni differenti. Lo è. È un dato di fatto che né i fautori di un anacronistico ritorno al passato né gli xenofobi spacciati per tutori-della-sicurezza-nazionale possono sovvertire. Ciò che resta da affrontare, quindi, non è la questione vogliamo-o-non-vogliamo-essere-multiculturali. Lo siamo già. Il problema da risolvere, per quanto arduo, tanto da sembrare insormontabile, è la gestione della compresenza e convivenza di persone di origine, nazionalità, religione, culture, lingue, tradizioni differenti.

E tale problema non può essere risolto non affrontando la questione complessa dell’identità. Del significato e del valore che a tale termine vogliamo dare. Dice bene Valentina Cardinale su Ffewebmagazine: «L’identità non è un concetto monolitico, ma un fattore mobile. Lo dimostra la stessa difficoltà che il gruppo etnico italiano virtualmente omogeneo presenta nella definizione di una “identità nazionale”. O lo dimostrano le stesse seconde generazioni di immigrati in Italia, che stanno plasmando un’identità diversa da quella dei propri genitori. L’identità, infatti, si forma, non si acquisisce anagraficamente. Rientrano nel concetto di identità sia il modo in cui l'individuo considera e definisce se stesso come membro di determinati entità o gruppi sociali (nazione, classe sociale, livello culturale, etnia, genere, professione, e così via); sia il modo in cui le norme di quei gruppi consentono a ciascun individuo di pensarsi, muoversi, collocarsi e relazionarsi rispetto a sé stesso, agli altri, al gruppo a cui afferisce e ai gruppi esterni. I processi di formazione delle identità sono ampi e complessi, e dal momento che ogni soggetto riveste in società più ruoli, ognuno presenta un'identità multipla, definita come identità sociale. Si tratta di un processo che avviene anche all’interno di una popolazione etnicamente omogenea».

E parlando di “seconde generazioni” di immigrati, il processo di formazione di una identità appare più ostico. I figli degli immigrati non sono parte del paese di origine del padre o della madre, né, tantomeno, lo sono totalmente del territorio di accoglienza. Sono una generazione in bilico: tra due mondi, tra due modi essere, tra due modi di pensare, tra due modi di vivere. Spesso addirittura tra loro contrapposti. Costituiscono una frontiera, un ponte. La loro è una situazione difficile: se i genitori riescono più agevolmente a trovar un appagamento nella condizione che il paese ospitante offre loro – a maggior ragione se paragonata alla situazione del Paese d’origine -, i giovani di “seconda generazione” costruiscono aspettative di vita, desideri conformi alla società che li ha accolti, lottando maggiormente per definire una propria identità e, spesso, nelle numerose situazioni di scarsa possibilità di ascesa sociale, soffrendo per un divario che si apre tra aspettative di vita e reali e oggettive condizioni quotidiane.

A ciò si aggiunge che i giovani di “seconda generazione”, nella gran parte dei casi, non hanno deciso di emigrare, ma hanno le scelte dei propri genitori sulle loro spalle. «Io come moltissime ragazze musulmane di seconda generazione nate o cresciute in Italia, siamo qui, non per una libera scelta, ma per un destino che i nostri genitori scelsero anche al posto nostro, per migliorare la loro vita e il nostro futuro. Lasciando il loro paese di origine, i loro affetti e tradizioni, per dare inizio ad una nuovo e luminoso cammino, in un paese lontano e diverso, un paese occidentale», afferma su Il Sole 24 ore del 17 settembre 2009 Karima Moual, giornalista e responsabile dell’associazione Genemaghrebina.

Tale condizione di disequilibrio, unita alle difficoltà e ostruzioni che i giovani di “seconda generazione” incontrano nella quotidianità, possono diventare un mix letale, capace di minare pericolosamente quella fase adolescenziale della vita che, già complicata per ogni essere umano, può diventare, per i figli di immigrati, davvero impossibile. Basti pensare alle difficoltà d’acquisizione della cittadinanza per i figli di stranieri dovuta allo ius sanguinis ancora vigente in Italia: i figli d’immigrati possono richiedere la cittadinanza solo dopo aver vissuto nel nostro paese per diciotto anni consecutivi, per non parlare di come si complica la situazione nel caso di nascita dell’individuo fuori dei confini italiani.Forse deriva da tale condizione di ambiguità, da tale sensazione di frontiera la propensione delle “seconde generazioni” a volersi dare un nome, una definizione, una struttura. Come se volessero tentare, tramite la costituzione di associazioni e gruppi, la realizzazione di giornali e blog, di affermare con forza la propria esistenza e la propria identità. Urlarle al mondo. E costruirle mentre le urlano. Come se l’essere uniti, l’essere tanti significasse essere qualcuno. Significasse essere più forti. Come se per farsi conoscere, per porre i problemi, le proprie istanze a questa Italia sorda e miope bisognasse urlare con una sola voce fatta di tante e differenti voci.

Forse, al di là delle singole motivazioni e degli svariati obiettivi che hanno portato alla loro costituzione, a questo tendono la Rete G2, Genemaghrebina, i Giovani Musulmani d’Italia… Tutti esempi di associazioni di giovani di “seconda generazione”; tutte associazioni attive a livello sociale, tutte portatrici di richieste ed appelli.

La Rete G2, sicuramente la più impegnata a livello politico nella discussione sulla riforma della legge sulla cittadinanza, è riuscita a far ascoltare la propria voce anche in Parlamento, presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera. Un’associazione di giovani che ha ricevuto il plauso del presidente della Repubblica Napolitano che, in occasione della celebrazione della Giornata per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (20/11/07), ha accolto in Quirinale una delegazione della Rete. Nella lettera indirizzata al Presidente, i giovani della Rete G2 denunciavano la loro condizione di “invisibilità”, chiedendo “pari opportunità di partenza” per giovani che sono “italiani con il permesso di soggiorno”. La risposta del presidente è stato un pubblico impegno a sollecitare la riforma della legge sulla cittadinanza.

Ideatrice di svariate iniziative editoriali, la Rete G2 è entrata a far parte nel 2007 della Consulta nazionale “per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie” e della Consulta dell’Osservatorio per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale presso il Ministero della Pubblica Istruzione.
Di impostazione più confessionale, Giovani musulmani d’Italia è l’associazione fondata a Milano nel 2001, con l’intento dichiarato di fornire ai giovani gli strumenti per formare un’identità islamica italiana in grado di conciliare i principi religiosi con la società e la cultura del paese dove si vive. Giovani musulmani d’Italia, che già nel nome precisa l’identità principale alla quale vuol fare riferimento, organizza raduni regionali e due meeting nazionali, attività di promozione interreligiosa e interculturale.

Sicuramente meno confessionale è Genemaghrebina, presieduta dalla giornalista Karima Moual. L’associazione è il frutto dell’idea di ragazzi di seconda generazione, che si sono posti l’obiettivo di far conoscere la cultura maghrebina in Italia, portando avanti un vero e proprio interscambio culturale. Aperta anche a italiani “autoctoni”, allo scopo di avversare qualsiasi tipo di ghettizzazione, Genemaghrebina promuove la conoscenza e il dialogo tra culture attraverso l’organizzazione di eventi e manifestazioni culturali, artistiche e letterarie e la realizzazione di attività educative e formative rivolte ad un pubblico non solo marocchino.Sono queste associazioni, i ragazzi che le hanno costituite, quelli che le animano, i giovani figli di migranti che a esse danno volto e anima, i nostri compagni di viaggio. Sarà dalla loro voce che ascolteremo le loro istanze, dai loro occhi che comprenderemo il loro disagio, dal loro vissuto che capiremo la loro voglia di esserci in questa Italia, la loro volontà di costruirla, insieme, questa Italia del futuro.

29 dicembre 2009


Fonte: http://www.ffwebmagazine.it/ffw/page.as ... Tipo=&Tag=


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L'Italia del futuro:
precisazioni di rito


di Tonia Garofano

Un viaggio alla scoperta delle “seconde generazioni” necessita di qualche preliminare precisazione accademica. A partire dal termine “seconde generazioni”. O meglio, dal concetto di “seconde generazioni”. L’espressione si è diffusa in Italia, nella terminologia politica e giornalistica, soprattutto grazie all’utilizzo che ne hanno fatto le associazioni e i gruppi di figli di migranti. Di derivazione sociologica - precisamente di sociologia delle migrazioni - il concetto di “seconde generazioni” è nato per descrive e spiegare un episodio di migrazione verificatosi in un contesto diverso e remoto da quello italiano: è infatti nella Chicago di un secolo fa, a cavallo tra Ottocento e Novecento, che si verificò uno stravolgimento di vita e composizione sociale tale da trasformare la città americana un vero e proprio laboratorio vivente di integrazione.
La nozione di “seconda generazione” fu adoperata originariamente dalla cosiddetta “Scuola di Chicago” nelle ricerche volte a dimostrare che sarebbero stati appunto gli immigrati di “seconda generazione” a compiere quel salto del ponte, dello stato transitorio nel quale si trovavano, diventando così pienamente americani.

Oggi, in Italia, la definizione di “seconda generazione” è una sorta di compromesso. Essa sta a indicare “figli di immigrati” e non “immigrati”, poiché coloro che nascono in Italia da genitori immigrati non hanno compiuto alcuna migrazione, e coloro che sono nati all’estero, ma cresciuti in Italia, non hanno deciso volontariamente di emigrare, ma sono stati portati qui dalle proprie famiglie.

Uno dei problemi che, affrontando tale questione, ci si trova davanti, è quello dell’individuazione dei soggetti da includere nella vasta area delle “seconde generazioni”. Il Consiglio d’Europa considera «migranti della seconda generazione i bambini che sono nati nel paese d’accoglienza di genitori stranieri immigrati, ve li hanno accompagnati, oppure li hanno raggiunti a titolo di ricongiungimento familiare e che vi hanno compiuto una parte della loro scolarizzazione o della loro formazione professionale». Si potrebbero quindi individuare più categorie: minori nati in Italia; minori ricongiunti; minori rifugiati (i cosiddetti “bambini della guerra”); minori arrivati per adozione internazionale; figli di coppie miste…

Ma, ovviamente, il nostro scopo non è quello di realizzare un lavoro di etnologia o antropologia; ci limiteremo, quindi, a quell’insieme già tanto vasto dei figli degli immigrati presenti in Italia, qui nati o che qui hanno effettuato almeno una parte della loro scolarizzazione o formazione professionale.

A delimitare ancora meglio i nostri compagni di viaggio, intervengono i numeri del Dossier statistico immigrazione 2009 elaborato dalla Caritas/Migrantes, che ci dicono che più di un quinto della popolazione straniera è costituito da minori (862.453), 5 punti percentuali in più rispetto a quanto avviene tra gli italiani (22% contro 16,7%). I nuovi nati da entrambi i genitori stranieri (72.472) hanno inciso nel 2008 per il 12,6% sulle nascite totali registrate in Italia, ma il loro apporto è pari a un sesto se si considerano anche i figli di un solo genitore straniero. A essi si sono aggiunti altri 40.000 minori venuti a seguito di ricongiungimento. Nel 2008, i minori, per la prima volta, sono aumentati di oltre 100 mila unità. L’età media degli stranieri è di 31 anni, contro i 43 degli italiani. Anche nelle scuole i numeri della presenza di stranieri aumentano. Gli alunni figli di genitori stranieri, nell’anno scolastico 2008/2009, sono saliti a 628.937 su un totale di 8.943.796 iscritti, per un’incidenza del 7%, con un aumento annuale pari a circa il 10%.

Ovviamente parliamo di “stranieri” per modo di dire, perché quasi 4 su 10 (37%) sono nati in Italia e di questo paese si considerano cittadini; e il rapporto sale a ben 7 su 10 tra gli iscritti alla scuola dell’infanzia.
La “seconda generazione” dell’immigrazione italiana è raddoppiata negli ultimi cinque anni, raggiungendo il numero di 767.060 abitanti. Secondo il quinto Rapporto dell’Osservatorio Romano sulle Migrazioni del febbraio 2009, il 56% di loro è nato in Italia e rappresenta circa il 10% della popolazione del paese tra 0 e 25 anni. Precisazioni d’obbligo, che servono a capire e delimitare l’oggetto dell’indagare. Premesse di rito, per poi passare al racconto vero e proprio. L’approfondimento di un universo così vasto comporta un piano. Un viaggio tanto avventuroso richiede un itinerario di massima, per non perdersi. E così abbiamo fatto.
Abbiamo studiato l’itinerario. Cosa significa fare un reportage sulle “seconde generazioni”? Abbiamo deciso di partire dalle maggiori associazioni di figli di immigrati presenti in Italia, dall’approfondimento delle strutture che le compongono, dallo studio delle istanze che avanzano, dal pensiero dei giovani figli di immigrati che le presiedono. Ma ciò non bastava. Abbiamo allora pensato di intervistare i protagonisti, i giovani di “seconda generazione” che vivono in Italia, di chiedere loro cosa vogliono, cosa sperano, di cosa hanno paura. Per sapere cosa significa per loro essere italiani, ottenere la cittadinanza italiana. Per domandare come l’Italia li ha accolti, come li tratta, se li ama. Per sapere cosa pensano dell’integrazione, quale ricetta propongono. Ma non bastava ancora. Abbiamo allora proseguito con l’analisi delle loro iniziative editoriali, le loro opere, le loro manifestazioni artistiche. E per concludere, con le interviste a esperti e studiosi. Il viaggio ora può avere inizio. Ed ecco la nostra percezione, le nostre considerazioni, le nostre impressioni.

22 dicembre 2009

Fonte: http://www.ffwebmagazine.it/ffw/page.as ... te_Arti=24


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Il futuro dell'Italia: viaggio
nella "seconda generazione"


di Tonia Garofano

Perché un reportage sulle “seconde generazioni”? La genesi di questo lavoro non è lineare, diretta. Nel senso che tutti gli approfondimenti, le interviste, le impressioni che seguiranno non sono frutto di un’idea immediata, totalmente limpida. O meglio, non lo sono stati fin dall’inizio. L’intenzione originaria riguardava la realizzazione di un reportage sulle donne islamiche in Italia, sulla loro condizione, sulle loro vite, sulle loro speranze, sulle loro paure. Descriverle nella quotidianità: donne che lavorano, donne che studiano, donne che cucinano, donne che escono, donne che pregano, donne che crescono i propri figli. Donne di religione islamica sì, ma donne comuni, religiose osservanti o meno. Donne come noi donne italiane, cattoliche osservanti o meno, donne che gioiscono e soffrono, piangono e ridono.

L’idea di partenza era questa. Sull’onda emotiva dell’ennesimo caso di cronaca nera che vedeva come protagonista una giovanissima islamica uccisa dal padre perché voleva vivere all’occidentale, un reportage su queste immigrate costrette spesso a sopportare situazioni difficili, tragiche sembrava quasi un imperativo morale. Al racconto di tali strazi si sarebbe aggiunta una fotografia veritiera e reale di vita di altre donne musulmane, islamiche che hanno la fortuna di non dover affrontare tali difficoltà, che non hanno mariti o padri dispotici, misogini e maschilisti che le costringono alla reclusione e alla segregazione. Di donne musulmane, islamiche che vivono la loro vita come vogliono e come sognano, all’occidentale o all’islamica che sia.

Cosa avrebbe rappresentato di innovativo? A quale utile scopo sarebbe servito questo lavoro? I reportage sulla condizione delle donne islamiche nel nostro paese abbondano. Le storie di donne maltrattate e abusate, idem. L’ampliamento del quadro a donne “normali”, “comuni”, avrebbe forse consentito di fare un passo in avanti. E questo era e resta l’obiettivo primario. Fare un passo avanti, sulla strada della conoscenza, sulla strada dell’integrazione vera. Per quanto utile e necessaria, la denuncia spesso resta fine a se stessa. Una pietra buttata in un lago che crea cerchi concentrici che piano piano, lentamente scompaiono dalla superficie dello specchio d’acqua. Quello che ci proponevamo e mi proponiamo di fare è cercare, o meglio, provare a cercare una soluzione su quella strada della conoscenza, dell’integrazione vera. Perché solo partendo dalla conoscenza, dalla comprensione di quegli ostacoli che culture, leggi o religioni differenti e lontane dalla nostra interpongono, si può sperare di compiere quel passo in avanti, verso l’integrazione che non sia semplice e sterile assimilazione.

È stato a questo punto, con le prime indagini avviate, con i primi contatti presi che ci siamo resi conto della necessità di modificare l’oggetto del nostro indagare. E ci siamo chiesti: qual è il punto dal quale partire per provare a modificare le cose?. Qual è il futuro dell’integrazione? È sul quel futuro che bisogna incidere. È da lì che bisogna partire, lì bisogna insistere. Insistere per capire e per farci capire. Insistere per provare a cambiare le cose. A cambiare il nostro domani.

Il futuro dell’integrazione sono le “seconde generazioni”, quei figli di immigrati nati o cresciuti in Italia, che si sentono italiani al 100%, che frequentano le nostre scuole, che escono coi nostri giovani, che hanno le nostre inflessioni dialettali, che tifano per le nostre squadre di calcio, che ascoltano la nostra musica, che mangiano i nostri piatti. Che hanno i nostri stessi sogni e le nostre stesse speranze. Giovani che spesso non conoscono la propria terra di origine, che credono nei nostri valori e nella nostra storia. Che vivono la nostra italianità, che sentono la nostra italianità fino in fondo. Del resto, poi, anche il problema delle donne musulmane maltrattate o picchiate o uccise rientra nel vasto universo sconfinato delle “seconde generazioni”: nella quasi totalità dei casi le donne maltrattate o picchiate o uccise sono adolescenti o poco più, che vivono sulla propria pelle quel conflitto generazionale che, presente in tutte le culture compresa la nostra, nella cultura islamica raggiunge l’apice della sua manifestazione.

Queste convinzioni ci hanno mossi, queste speranze ci hanno convinti. Privi di presunzione e preconcetti, abbiamo intrapreso un viaggio all’interno dell’Italia del futuro, dell’Italia delle “seconde generazioni”, con un occhio particolare a quelle “seconde generazioni” di immigrati islamici, che forse più di altri vivono le difficoltà dell’integrarsi in una società spesso tanto diversa e lontana da quella originaria dei propri genitori.
Con l’obiettivo e la speranza di fare la nostra parte, di contribuire, nel nostro piccolo, all’individuazione della chiave di volta, del segreto che porta all’integrazione autentica. Alla costruzione dell’Italia di domani. Partendo dalla conoscenza, perché senza conoscenza non può esserci integrazione.

Quello che segue è il racconto di questo viaggio. Non privo di lenti di ingrandimento, di chiavi di lettura personali e forse parziali, faziose. Riferiremo ciò che abbiamo visto, ciò che ci hanno raccontato gli interessati, restituendo tutto con onestà e precisione. Ma l’imparzialità, la totale obiettività no, non sono garantite. «Ciò non piacerà ai cultori del giornalismo obiettivo per i quali il giudizio è mancanza di obiettività. Quel che essi chiamano obiettività non esiste. L’obiettività è ipocrisia, presunzione: poiché parte dal presupposto che chi fornisce una notizia o un ritratto abbia scoperto il vero del Vero». È questa una citazione di Oriana Fallaci che, in premessa, dichiariamo di sposare in pieno. Garantendo totale onestà, non abbiamo la presunzione di aver capito obiettivamente questo mare multiculturale e variopinto, questo universo sconfinato di culture, religioni e tradizioni. Ci limiteremo alla nostra percezione, alle nostre considerazioni, alle nostre impressioni.

16 dicembre 2009


Fonte: http://www.ffwebmagazine.it/ffw/page.as ... te_Arti=24


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Un bel lavoro. non c'è che dire.

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già, infatti; mi piacerebbe scrivere all'autrice per ringraziarla di questo suo bel lavoro


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L’Italia del futuro.
«Questo paese è la nostra casa»


di Tonia Garofano

«Ma perché una delle prime domande fatte dai media alle seconde generazioni deve essere sempre: ma tu sei integrato? Ti senti integrato? E i giornalisti scrivono di noi, della Rete G2, che siamo delle seconde generazioni perfettamente integrate. Ma cosa cavolo vuol dire? Ultimamente, quando mi viene rivolta la domandina preconfezionata, la tentazione spontanea è di rispondere chiedendo a mia volta all’intervistatore: e tu? Sei riuscito a integrarti? Come se noi seconde generazioni fossimo dei corpi estranei alla società italiana. Noi siamo già società italiana. (…) In realtà la domanda che viene spontanea a me quando parlo con altri, giovani e meno giovani, figli di italiani o figli di immigrati è invece: sei felice? Perché sta tutto là l’interesse per chi ti circonda, per chi fa parte di questa società, di amici o parenti, di conoscenti, di altri cittadini, di sconosciuti che incroci sull’autobus o mentre fai la fila alla posta. Vivi bene? Sorridi oppure hai gli incubi tutte le notti? Insomma… Chiedimi se sono felice».
È stato certamente questo il post del blog delle Rete G2 che più ci ha colpito. Che ci ha costretto a fermarci e riflettere. Forse perché ci ha colto in fallo. Forse perché durante le interviste che costituiscono il seguito di questo lavoro, abbiamo più volte riproposto la domanda: «Ti senti integrato?». Una domanda ripetuta nella convinzione che fosse una domanda giusta, sacrosanta, necessaria. Una domanda da fare per comprendere, per conoscere e inquadrare colui o colei che avevamo di fronte. Per capire come proseguire, le risposte da cercare. Senza che mai ci sfiorasse minimamente l’idea che colui o colei che avevamo davanti potesse sentirsi italiano quanto noi, amare l’Italia quanto noi.
Un post che ci ha fatto pensare molto. Che ha condizionato lo spirito col quale abbiamo affrontato questo lavoro e il viaggio alla scoperta della Rete G2. La Rete G2-Seconde Generazioni è un’organizzazione nazionale apartitica fondata e composta da giovani che si definiscono “figli di immigrati” e non “immigrati”: «I nati in Italia – spiega il post “Chi Siamo” del blog - non hanno compiuto alcuna migrazione, e chi è nato all’estero ma cresciuto in Italia non è emigrato volontariamente, ma è stato portato in Italia da genitori o altri parenti. “G2” quindi non sta “per seconde generazioni di immigrati” ma per “seconde generazioni dell’immigrazione”, intendendo l’immigrazione come un processo che trasforma l’Italia, di generazione in generazione».

G2 è un network, nato a Roma nel 2005, di “cittadini del mondo”, originari di Asia, Africa, Europa e America Latina, uniti intorno a due problemi, due questioni di attuale e decisiva importanza: la cittadinanza e l’identità. Due gli obiettivi che la Rete G2 si pone: la riforma della legge per la concessione della cittadinanza italiana, perché sia più aperta nei confronti delle seconde generazioni, e la trasformazione culturale della società italiana, perché sia più consapevole e si riconosca in tutti i suoi figli, indipendentemente dalle loro origini. Tutto ciò attraverso un dialogo diretto, senza intermediari, con le istituzioni e la società italiane: una voce, frutto di tante voci; una istanza, frutto di tante testimonianze.
Un’associazione che in pochi anni di vita ha visto crescere in modo esponenziale il proprio appeal, che si è manifestata al grande pubblico, provando a concretizzare, tramite iniziative artistiche, sociali e politiche, il proprio sogno, il sogno dei propri componenti: non essere percepiti come “diversi”, non essere additati come “stranieri”, essere riconosciuti come “italiani”.

La G2 si è fatta promotrice di svariate iniziative: video, spot audiovisivi, cd, fotoromanzi, collaborazioni con giornali e riviste, partecipazioni a programmi radiofonici. Un “bombardamento” artistico a 360°.
Il video G2 ad alta voce: Forte e Chiaro, girato con l’artista Maria Rosa Jijon, ha vinto il “Premio Mostafà Souhir per la multiculturalità nei media”, dedicato alla memoria di un giornalista e attivista di origine marocchina scomparso prematuramente, per «l’originalità dello spunto, la spontaneità e la freschezza e per essere espressione riuscita del protagonismo nel mondo della comunicazione da parte delle giovani generazioni di immigrati». «Vogliamo urlare quello che pensiamo! Soprattutto le frustrazioni quotidiane trascinate per anni. Le file al commissariato, le bocciature alle nostre richieste di cittadinanza. Le umiliazioni dei nostri genitori, le nostre umiliazioni. E quanti di noi si sono sentiti rivolgere lo sguardo di totale meraviglia quando un G2 ha dichiarato "sono italiano, ho il passaporto italiano, parlo italiano, incredibile mangio anche la pasta!". E quante volte avrete ascoltato "ma come parli bene l’italiano!". «Quando la maggioranza si renderà conto di quanto siamo normali?», urla un membro della G2 sul blog.

Strumenti artistici per farsi conoscere. «Per farci sentire non basta la parola: per noi è molto importante trovare le forme migliori per arrivare a un pubblico più vasto» spiega sul blog Maya Llaguno Ciani, membro di G2 e ideatrice del Fotoromanzo Apparenze -. E così stiamo provando strumenti di comunicazione efficaci, accessibili e chiari, per veicolare contenuti che per noi sono molto importanti». «In questa occasione ci siamo divertiti a posare con autoironia come se fossimo degli attori, rappresentando alcuni episodi comuni delle nostre vite di tutti i giorni - racconta Lucia Ghebreghiorges, una delle protagoniste del fotoromanzo – . Ma abbiamo giocato tenendo sempre ben presente l’obiettivo di G2: quello di sensibilizzare sulla necessità di una riforma della legge sulla cittadinanza italiana che sia più aperta verso i figli degli immigrati».
Un impegno sociale e artistico vasto ed esaustivo, che comprende anche la partecipazione alla trasmissione Toubab su Popolare Network con OndeG2. Due anni intensi, che hanno permesso di sviscerare tematiche complesse, problemi contingenti: dalla cittadinanza agli aneddoti e ricordi di situazioni imbarazzanti, dall’identità all’amore, dalla storia della patria allo sport tricolore, dal cinema alla musica, dal razzismo al bullismo, dal futuro delle G2 e dell’Italia all’emozione di chi, finalmente, è riuscito ad ottenere la tanto agognata, desiderata cittadinanza.

Ma l’impegno della Rete non si è esaurito qua: i giovani “figli di immigrati” si sono cimentati con la musica, col cd Straniero a chi? Tracce e parole dei figli dell’immigrazione - contenente 13 brani realizzati da gruppi musicali composti anche da figli di immigrati o da singoli artisti di origini straniere di età compresa tra i 20 e i 30 anni - e col giornalismo, collaborando con il mensile giovanile Topgirl, e realizzando una pagina Secondi a nessuno, «interamente curata dalla rete nazionale di figli di immigrati dove le seconde generazioni si raccontano in prima persona, dalla Babele linguistica delle loro case alle avventure tipiche degli “italiani col permesso di soggiorno”, dai dilemmi identitari alle difficoltà di vivere senza pieni diritti nel paese in cui si è cresciuti». «Un nuovo strumento come altoparlante delle loro vite per raggiungere i coetanei. Storie, pensieri, emozioni e curiosità di un’Italia che cambia dalle scuole alle università, dai luoghi di aggregazione ai posti di lavoro. Giovani che non vogliono essere considerati degli estranei o cittadini di serie B nel loro stesso mondo, la società italiana». Appunto “secondi a nessuno”.

«Mi chiamo Ian, ho 18 anni, sono uno dei tanti pendolari che la mattina si attarda nel dribblare altri pendolari. Chi vive a Roma, in questa mia grande città, può capire cosa intendo. Una spietata lotta per ritagliarsi quel centimetro cubo di spazio che ti permetterà di stare stretto nella metro come le acciughe in un barattolo. E poi scuola, amici, professori, insomma la mia vita. Anzi, una parte della mia vita. Torno a casa assieme a mia sorella, e sento mia madre parlare al telefono: “Hello? Who is speaking?”, poi subito “Sì, te la passo”. E si rivolge in luganda a mia sorella dicendole a mezza voce “È simù yò (è per te)”. Ecco, questa è casa mia. Un crocevia delle lingue più diverse. Dentro quelle quattro mura i miei genitori mischiano il luganda, la lingua principale del mio paese, l’Uganda, il lusoga, uno dei dialetti, oltre ovviamente all’italiano. Quel paese l’avrò visto due volte in vita mia. Non so la lingua di laggiù. So capire un po’ di tutto, ma a parlare nemmeno per sogno. So solo l’italiano e rispondo ai miei genitori sempre in italiano. Non perché lo abbia voluto. È una casualità, tutto qua. Potrei fare confusione, insomma le lingue sono tante. Ma una cosa è certa. Sento qualcosa che mi lega all’Uganda nel profondo, anche se qualcuno potrebbe non capirlo fino in fondo…».

Esperienze artistiche e umane. Tentativi di aprirsi alla società italiana. Speranze di essere capiti, accolti, accettati, riconosciuti come “uguali”. Ragazzi con gli stessi problemi dei giovani italiani da generazioni e generazioni; adolescenti che hanno a che fare con le pene di cuore e le speranze di diventare qualcuno. Giovani come noi. «Innanzitutto più che figli di stranieri o figli di nessuno direi: dobbiamo considerarci figli di tutti. Facciamo parte della società, siamo il risultato di una società composta da tutti. (…) Siamo il presente e futuro dell’intera società, non solo delle nostre famiglie naturali», si legge ancora sul blog G2.

Giovani che vivono le nostre ansie e le nostre frustrazioni, le nostre gioie e le nostre speranze: «I miei occhi hanno continuato a posarsi su di te e ogni giorno notavano sempre nuove cose e dettagli…, ti ho visto da diverse angolazioni e ti ho rivisto ancora e ancora senza che mi stancassi mai. … Amor mia non mi illudo, ho come l’impressione che non farò mai parte di te. … Ma un augurio di buon viaggio rimanga fra te "amoR" e me, uno sconosciuto che ti ha conosciuto. Amor mia sei proprio tu, mia Roma».

Ma giovani che spesso si trovano ad affrontare situazioni imbarazzanti, dolorose, offensive: «È solo verso i 21 anni che ho cominciato a comprendere il senso delle parole che mia nonna mi ripeteva da bambina: "Cerca di diventare qualcosa per non essere né carne né pesce". Per una qualsiasi altra bambina italiana queste parole non avrebbero avuto un significato particolare se non quello di diventare grande. Per me, invece, divisa tra una natalità italiana e una faccia scura, che parlava di una terra lontana, la frase da lei pronunciata voleva dire molto di più. (…) Essere un figlio di immigrati, nella società italiana, e per di più "di colore", non è né facile né difficile. È semplicemente una realtà nuova e indefinibile. Siamo italiani, ma le nostre fattezze si presentano ancor prima delle parole, smentendo a primo impatto, qualsiasi appartenenza a questo paese. Allo stesso tempo, quando ci affacciamo alle comunità di origine, la conoscenza frammentaria della cultura e della lingua ci allontana anche da loro. (…) Nasce l’esigenza di una legittimazione di questi nuovi figli d’Italia, con problematiche ed esigenze del tutto nuove. Soggetti fuori da quell’estenuante dialettica è/non è che li vorrebbe per sempre degli ibridi», scrive Lucia sul blog della Rete G2.

Giovani che spesso sono costretti a trovarsi una casa accogliente in un mondo fantastico, in un’Italia da sogno, in una rete in internet: «Con G2 non ho bisogno di affrontare questo problema, il problema non sussiste. I percorsi di vita di ognuno, ciascuno con le proprie peculiarità, sono in sintonia, sappiamo cosa vuol dire crescere in un luogo dove tu ti senti a casa, ma gli altri ti considerano un forestiero. Per questo voglio bene a G2», dichiara un membro sul blog.

Giovani italiani, che non accettano la definizione di “nuovi italiani” ma che affermano con forza e convinzione la loro “novità”: «Mi chiedo – afferma un giovane ragazzo sul blog - se non sarebbe meglio usare…"novità" per il paese, per l’Italia. Una nuova stagione che riguarda tutti/e qui, una stagione che poi cederà il passo a qualcosa di altro, come la primavera cede il passo all’estate». Giovani italiani, che sentono e vivono la nostra italianità: «L’italianità siamo noi, i nostri sentimenti, il modo in cui la nostra testa e il nostro cuore reagiscono agli stimoli esterni. L´italianità è un insieme di ricordi, di sensazioni, di odori, di colori e di sapori. L´italianità è il sentirsi a casa in Italia, perché è questo che l'Italia per noi rappresenta: casa».
5 gennaio 2009


Fonte: http://www.ffwebmagazine.it/ffw/page.as ... te_Arti=46


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