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Cittadinanza ai migranti Tutto rinviato al dopo voto

di Natalia Lombardo

Portata in aula alla Camera con la formale apertura della discussione generale il 22 dicembre scorso, della legge sulla cittadinanza per gli immigrati residenti in Italia e i figli nati nel nostro Paese, se ne riparlerà a fine marzo. Dopo le elezioni regionali. Un tema troppo rischioso per la coesione della maggioranza, per il solo fatto che se ne discuta in Parlamento dopo tante sollecitazioni da parte di Gianfranco Fini. Sono da considerare almeno due opposizioni, infatti: quella parlamentare e quella che impegna gli uomini del presidente della Camera col resto del Pdl e la Lega.

Le barricate del Carroccio
Si alzeranno in aula e adesso la Lega sfrutterà il tema delle restrizioni per l’integrazione degli immigrati come slogan per la campagna elettorale. Dario Franceschini, capogruppo Pd, nella discussione in aula ha denunciato la gravità di rinviare la discussione di una legge a dopo le elezioni perché «potrebbe spostare in termini di consenso e di voto?». Già a fine anno il ministro dell’Interno Maroni, parlando dell’allarme terrorismo ha detto che «le norme sulla cittadinanza «non vanno allargate, semmai si dovrebbe fare il contrario». Il capogruppo leghista a Montecitorio, Cota, ha declamato che tale legge «non è nel programma» delle elezioni 2008 e minaccia di voler «stringere la maglie, facendo entrare chi ha un lavoro». (cosa che non c’entra nulla). Il testo del Pdl è in effetti è più restrittivo, mette bastoni fra le ruote a chi vuole ottenere la cittadinanza. La legge attuale, la numero 91 del 1992 (peggiore di quella del 1912, secondo il Pd), prevede che siano passati dieci anni e che i minori abbiano raggiunto i diciotto anni; si basa sul vincolo di sangue, lo ius sanguinis . La proposta Bertolini tende a dissuadere dal richiedere la cittadinanza: non solo mantiene quei tempi ma aggiunge un «percorso di cittadinanza», come la frequenza di un «corso annuale sulla storia e cultura italiana e europea» (non è quantificata né la spesa né accertata la copertura) e vari test di integrazione sociale di cui non si afferra quale sia il metro di valutazione, oltre agli esami di lingua italiana già imposti dal pacchetto sicurezza. Per i minori, inoltre, resta la scadenza dei diciotto anni, ma devono essere vissuti senza interruzioni in Italia (quindi senza poter tornare al proprio paese per un periodo lungo). Per Gianfranco Fini quello della cittadinanza è un’arma nella battaglia di contrasto alla «monarchia» berlusconiana. Più volte, pubblicamente, oltre al voto per gli immigrati il presidente della Camera ha indicato la necessità di ridurre a cinque anni i tempi per diventare cittadino italiano. E di introdurre lo ius soli , ovvero che i figli di immigrati nati in Italia ottengano la cittadinanza anche a prescindere dalla nazionalità dei genitori alla fine del primo ciclo di studi.

La guerra fra colonnelli
Se la Lega alza i muri, ad essere spaccato non solo è il Pdl ma anche il fronte degli ex «colonnelli» di An: Gasparri, capogruppo al Senato, avverte che servono norme più restrittive e mette in guardia da proposte «sbagliate» (quelle di Fini e finiani); Ignazio La Russa, che non ha rotto del tutto il filo con l’ex segretario di An, è possibilista sulla domanda per i minori dopo il primo ciclo di studi. La discussione è aperta, le indicazioni di Fini le ha messe nero su bianco il deputato Granata, che ha presentato un disegno di legge bipartisan insieme al Pd Sarubbi. I distinguo sono anche fra i capigruppo Pdl: il «falco» Cicchitto sposa la linea dura del restringimento, mentre il suo vice, il finiano Bocchino, è più ambiguo e alla fine auspica lo ius soli . Temperato. Il tema è caldo, troppo per arrivare a un voto magari a sorpresa prima del voto per le regionali. Meglio usare il tema immigrazione come arma «propria» ad ogni componente del centrodestra.

03 gennaio 2010


Fonte: http://www.unita.it/news/immigrazione/9 ... _dopo_voto


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