Approfondimenti
Cita:
Diritti di cittadinanza e immigrazione: alcuni aspetti rilevanti
(di Marco Poledrini, L’altro diritto)
Il capitolo del Trattato C.E. relativo alla "cittadinanza dell'Unione" definisce la cittadinanza europea prevedendo l'attribuzione ai cittadini di alcuni diritti, fra cui la capacità elettorale, attiva e passiva, sia alle elezioni locali che quelle europee. La nuova disciplina mette in discussione aspetti importanti della sovranità nazionale in relazione sopratutto alle attuali dimensioni e significato del diritto di cittadinanza. Da sempre collegato al concetto di sovranità, infatti, lo status di cittadino è stato inteso storicamente come attribuzione esclusiva di diritti opponibili a chiunque abbia una diversa nazionalità, secondo un modello statalista teso a privilegiare le singole identità nazionali. Accanto a questa definizione, tuttavia, vi è sempre stata un'interpretazione parallela per la quale ogni cittadino è titolare di diritti universali. Questa seconda concezione, definita modello societario, identifica la cittadinanza con la partecipazione dell'individuo al destino della comunità in cui vive. In questa prospettiva gli stranieri possono vedere attenuate le differenze tra la loro condizione e quella dei cittadini formali, ottenendo pari opportunità e il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali. La legge che disciplina l'attribuzione della cittadinanza in Italia è la nº 91 del 1992 che ha riformato la precedente normativa in vigore dal lontano 1912. Pur non essendo trascorsi molti anni dalla sua pubblicazione, questa legge risulta già inadeguata e deficitaria. La sua nascita è difatti legata ad una visione parziale e per nulla lungimirante del fenomeno migratorio, in linea con quanto aveva espresso la legge Martelli, approvata solo qualche anno prima. Agli inizi degli anni 90, non era stato affatto compreso come la crescita della presenza straniera e la sua stabilizzazione nel contesto demografico italiano fosse un dato inevitabile. La legge riafferma infatti il principio dello ius sanguinis come unico mezzo di acquisto della cittadinanza a seguito della nascita, efficace sia da parte del padre che da quella della madre. Come nella normativa precedente l'acquisto automatico della cittadinanza iure soli continua a rimanere limitato ai figli di ignoti, di apolidi, o ai figli che non seguono la cittadinanza dei genitori. Viene inoltre confermata la comunicazione reciproca tra i coniugi della propria cittadinanza, recepita già dalla legge nº 123 del 1983 e viene introdotta la possibilità di possedere la doppia cittadinanza. L'acquisto della cittadinanza per beneficio di legge avviene tanto attraverso ius sanguinis che ius soli, in ambedue i casi ai due principi deve unirsi la volontà della persona interessata. L'art. 4 richiede infatti la manifestazione di volontà sia nell'ipotesi di acquisto da parte di persone nate all'estero ma figli di cittadini, sia da parte di persone nate in Italia ma figli a loro volta di non cittadini. L'ipotesi della nascita del territorio è però sottoposta a condizioni più rigorose rispetto alla legge del 1912, soprattutto in tema di residenza legale che deve essere ininterrotta fino al raggiungimento della maggiore età. Un più stretto rigore rispetto al passato caratterizza anche la norma relativa alla naturalizzazione ordinaria, per la quale l'art. 9 richiede allo straniero extracomunitario una residenza di ben dieci anni a differenza dei cinque prima previsti. Il principio dello ius sanguinis, rafforzato in questa legge, è stato ereditato direttamente dalla legislazione civile dell'Italia preunitaria e poi riaffermato dalla prima legge organica sulla cittadinanza che era appunto quella del 1912. Esso è storicamente collegato al principio di nazionalità e costituiva uno strumento di conservazione dell'identità nazionale in uno Stato che, a causa della sua difficile condizione economica, vedeva un considerevole numero di cittadini lasciare il paese per emigrare all'estero. Il principio dello ius soli è stato invece adottato più che altro dai paesi luoghi di destinazione dei flussi migratori. Queste nazioni, caratterizzate da ampi territori e da una popolazione insufficiente per garantire lo sviluppo economico, avevano bisogno di vedere aumentato il numero dei loro cittadini e il ricorso a questo principio parve una soluzione ottimale. Nell'Italia di adesso, le mutate condizioni economiche e la invertita evoluzione dei processi migratori rendono sempre meno opportuna la preminenza dello ius sanguinis sullo ius soli. La natura di questa legge, fortemente sbilanciata nella protezione della discendenza, non trova più ragione nella tutela degli emigranti nostrani e risulta invece ostile all'integrazione degli stranieri oggi presenti, oltre che in contrasto con i principi emersi dalle normative degli altri paesi U.E. La sua stessa presenza all'interno dello ordinamento italiano appare sempre più estranea. La riforma della condizione dello straniero, seguita alle direttive comunitarie in materia, riconosce, almeno per lo straniero lungo residente, la parità dei diritti. La legge 40\98, in particolare, prevede attraverso la carta di soggiorno, un percorso di progressivo ampliamento delle capacità giuridiche che dovrebbe culminare con la concessione del voto. Questo iter è sempre più spesso indicato dai rappresentanti del Governo come 'riconoscimento dei diritti di cittadinanza' ed anche se il termine è usato con un accezione più socio-politica che tecnica, lascia intendere la necessità di una profonda riforma della disciplina sulla materia. Sembra essersi creata infatti una disarmonia tra le norme che indirizzano dall'alto le politiche di immigrazione e le norme che dal basso, definiscono l'appartenenza o l'esclusione della singola persona da quell'"ultimo privilegio di status rimasto nel diritto moderno" che è appunto la cittadinanza. Considerare gli stranieri dei non cittadini indebolisce, quando non vanifica, il riconoscimento dei diritti che le politiche di immigrazione hanno nel tempo concesso fino all'attuale parità di trattamento in ambito civile e in parte in quello sociale. La mancata revisione della legge 91\92 inoltre protrae l'esistenza di una fascia sempre più estesa di contribuenti (cittadini sostanziali) che si trovano, almeno da un punto di vista formale, in un gradino inferiore nonostante le politiche ad essi relative cerchino di avvicinarli agli occupanti del gradino superiore (cittadini formali). Non è difficile sostenere come le difficoltà attraverso cui in Italia, si accede alla cittadinanza e la conseguente esiguità dei naturalizzati sia fra le causa della difficile attuazione che stanno incontrando le politiche rivolte agli immigrati e ciò anche nei confronti di quelli che, ipotizzando una revisione della legge, non avrebbero comunque titolo alla cittadinanza. La differente ispirazione tra la normativa sull'immigrazione e la normativa sulla cittadinanza ha infatti soffocato e sminuito alcuni aspetti fondamentali della prima. In un paese in cui già un buon numero di cittadini (formali) siano di origine straniera e rappresentino quindi le esigenze di questa parte di popolazione i processi di integrazione non solo risulterebbero agevolati ma riceverebbero anche maggiore attenzione da parte dello Stato e della società civile. Si poteva ipotizzare ad esempio, una diversa conclusione riguardo al diritto di voto se già un ampio numero di cittadini naturalizzati vi fosse stato ammesso. Lo stesso in ambito sociale, se vi fosse stata una richiesta da parte di cittadini italiani naturalizzati all'insegnamento della religione islamica, gli stranieri presenti in Italia avrebbero avuto più chance di vedere accolta una istanza di tal genere. Gli effetti di una immigrazione senza concessione della cittadinanza o con una concessione limitata (democrazia mutilata secondo Zincone), si possono analizzare nella esperienza tedesca. In Germania nonostante in alcune città gli stranieri superassero il 30%, fino all'anno scorso la cittadinanza era legata ancora alla discendenza e per la naturalizzazione il percorso era talmente tortuoso, costoso e discrezionale, da rendere minima la percentuale di naturalizzati. In questa nazione una rilevante quantità di persone è stata sottoposta per lungo tempo a decisioni che non hanno contribuito ad elaborare; i risultati in tema di conflittualità sociale sono stati pessimi e in alcuni zone la convivenza è apparsa impossibile tanto che i quartieri 'ghetto' delle città tedesche sono fra i più chiusi e degradati (Kreuzeberg su tutti, quartiere di Berlino chiamato la piccola Istanbul).
Cittadinanza ed immigrazione devono essere correlate, indipendentemente dalla funzionalità o rigidità degli ingressi. Una democrazia può essere più o meno ospitale e più o meno interessata ma una volta che decide di accogliere lo deve fare secondo i principi che la sostengono. Così si esprimeva Walzer nel 1981 . Il processo di autodeterminazione attraverso il quale uno stato democratico dirige la propria vita deve essere aperto: ugualmente aperto a tutti quegli uomini e quelle donne che vivono nel suo territorio lavorano nell'economia del posto e sono sottoposti alla legge del posto. Quindi la seconda ammissione (naturalizzazione) dipende dalla prima ammissione (immigrazione) ed il passaggio è sorretto da vincoli di tempo e ad altri requisiti ma non può essere improntato a criteri di chiusura. La cittadinanza è lo strumento che conferisce all'individuo la capacità soggettiva nei confronti dello stato in cui vive, la sua dipendenza dallo ius sanguinis e da criteri normativi di rigida chiusura non è più opportuna né utile in un paese come quello italiano in cui la presenza straniera risulta sempre più estesa. Le stesse normative sulla cittadinanza degli altri Stati U.E., in questi ultimi anni, hanno stabilito condizioni più favorevoli per gli stranieri nati nel paese e ridotto le difficoltà per la naturalizzazione. Alcuni paesi hanno adottato il principio dell'attribuzione automatica della cittadinanza nel caso del doppio ius soli. Altri hanno previsto forme di naturalizzazione facilitata per i nati nel territorio; in Inghilterra si consente ad esempio, l'acquisizione della cittadinanza al momento della nascita, qualora i genitori siano titolari di un permesso di soggiorno permanente o in ogni caso residenti da dieci anni. Un meccanismo simile è presente nella legislazione portoghese. In Francia, i genitori possono chiedere la cittadinanza per il figlio quando raggiunge l'età di tredici anni, dopo una residenza effettiva di cinque. In Germania, con la recente riforma, la cittadinanza è ottenuta alla nascita se almeno un genitore è residente da otto anni. In Italia la normativa contrasta, come detto, con l'apertura delle altre legislazioni europee. La cittadinanza per il figlio di stranieri nato nel territorio è concessa, per beneficio di legge, solo al raggiungimento della maggiore età ed è subordinata a vari requisiti fra cui la prova di una residenza continuata ed effettiva. È previsto inoltre il tempo massimo di un anno per la presentazione della domanda trascorso il quale si decade dal diritto. Anche il dato inerente alle naturalizzazioni è in controtendenza nella nostra nazione. In Europa si è ormai affermata una politica diretta ad agevolare le procedure ed a limitare la discrezionalità nella decisione. La naturalizzazione si distingue infatti dalle altre acquisizioni perché non costituisce un diritto ma è concessa attraverso un provvedimento amministrativo; insieme alla soddisfazione di determinati requisiti deve intervenire dunque anche il potere discrezionale dello Stato. La condizione principale per la domanda, comune a tutte le normative europee, è ovviamente quella di una residenza legale. Il periodo della residenza è diverso da paese a paese, ma dal dopoguerra ad oggi ogni nazione ha più o meno ridotto le sue pretese temporali, solo in Italia con la legge del '92 gli anni sono passati inspiegabilmente da cinque a dieci. Molti paesi hanno inoltre accorciato i tempi di attesa burocratica, in Olanda ad esempio, sono gli uffici dell'anagrafe ad occuparsi dell'intera pratica. In Italia nella procedura vengono interessati, la Prefettura, la Questura, Ministero dell'Interno, Capo dello Stato, Ufficiale di Stato Civile e, fino alla riforma Bassanini, anche il Consiglio di Stato che doveva emanare un parere dilatando oltremisura i tempi di attesa. Anche la documentazione necessaria annovera una quantità di voci da far impallidire; in particolare vengono richiesti dei certificati del paese di origine che in alcuni casi risulta impossibile ottenere. Inoltre, insieme, alla già citata residenza legale di dieci anni, la legge italiana pretende l'assenza di precedenti penali, l'ottemperanza agli obblighi fiscali e l'autosufficienza economica. Non viene invece richiesto alcun elemento che possa testimoniare un qualche legame o affinità culturale con il nostro paese.