Cita:
G-2 / 4
L’Italia del futuro.
«Questo paese è la nostra casa»
di Tonia Garofano
«Ma perché una delle prime domande fatte dai media alle seconde generazioni deve essere sempre: ma tu sei integrato? Ti senti integrato? E i giornalisti scrivono di noi, della Rete G2, che siamo delle seconde generazioni perfettamente integrate. Ma cosa cavolo vuol dire? Ultimamente, quando mi viene rivolta la domandina preconfezionata, la tentazione spontanea è di rispondere chiedendo a mia volta all’intervistatore: e tu? Sei riuscito a integrarti? Come se noi seconde generazioni fossimo dei corpi estranei alla società italiana. Noi siamo già società italiana. (…) In realtà la domanda che viene spontanea a me quando parlo con altri, giovani e meno giovani, figli di italiani o figli di immigrati è invece: sei felice? Perché sta tutto là l’interesse per chi ti circonda, per chi fa parte di questa società, di amici o parenti, di conoscenti, di altri cittadini, di sconosciuti che incroci sull’autobus o mentre fai la fila alla posta. Vivi bene? Sorridi oppure hai gli incubi tutte le notti? Insomma… Chiedimi se sono felice».
È stato certamente questo il post del blog delle Rete G2 che più ci ha colpito. Che ci ha costretto a fermarci e riflettere. Forse perché ci ha colto in fallo. Forse perché durante le interviste che costituiscono il seguito di questo lavoro, abbiamo più volte riproposto la domanda: «Ti senti integrato?». Una domanda ripetuta nella convinzione che fosse una domanda giusta, sacrosanta, necessaria. Una domanda da fare per comprendere, per conoscere e inquadrare colui o colei che avevamo di fronte. Per capire come proseguire, le risposte da cercare. Senza che mai ci sfiorasse minimamente l’idea che colui o colei che avevamo davanti potesse sentirsi italiano quanto noi, amare l’Italia quanto noi.
Un post che ci ha fatto pensare molto. Che ha condizionato lo spirito col quale abbiamo affrontato questo lavoro e il viaggio alla scoperta della Rete G2. La Rete G2-Seconde Generazioni è un’organizzazione nazionale apartitica fondata e composta da giovani che si definiscono “figli di immigrati” e non “immigrati”: «I nati in Italia – spiega il post “Chi Siamo” del blog - non hanno compiuto alcuna migrazione, e chi è nato all’estero ma cresciuto in Italia non è emigrato volontariamente, ma è stato portato in Italia da genitori o altri parenti. “G2” quindi non sta “per seconde generazioni di immigrati” ma per “seconde generazioni dell’immigrazione”, intendendo l’immigrazione come un processo che trasforma l’Italia, di generazione in generazione».
G2 è un network, nato a Roma nel 2005, di “cittadini del mondo”, originari di Asia, Africa, Europa e America Latina, uniti intorno a due problemi, due questioni di attuale e decisiva importanza: la cittadinanza e l’identità. Due gli obiettivi che la Rete G2 si pone: la riforma della legge per la concessione della cittadinanza italiana, perché sia più aperta nei confronti delle seconde generazioni, e la trasformazione culturale della società italiana, perché sia più consapevole e si riconosca in tutti i suoi figli, indipendentemente dalle loro origini. Tutto ciò attraverso un dialogo diretto, senza intermediari, con le istituzioni e la società italiane: una voce, frutto di tante voci; una istanza, frutto di tante testimonianze.
Un’associazione che in pochi anni di vita ha visto crescere in modo esponenziale il proprio appeal, che si è manifestata al grande pubblico, provando a concretizzare, tramite iniziative artistiche, sociali e politiche, il proprio sogno, il sogno dei propri componenti: non essere percepiti come “diversi”, non essere additati come “stranieri”, essere riconosciuti come “italiani”.
La G2 si è fatta promotrice di svariate iniziative: video, spot audiovisivi, cd, fotoromanzi, collaborazioni con giornali e riviste, partecipazioni a programmi radiofonici. Un “bombardamento” artistico a 360°.
Il video G2 ad alta voce: Forte e Chiaro, girato con l’artista Maria Rosa Jijon, ha vinto il “Premio Mostafà Souhir per la multiculturalità nei media”, dedicato alla memoria di un giornalista e attivista di origine marocchina scomparso prematuramente, per «l’originalità dello spunto, la spontaneità e la freschezza e per essere espressione riuscita del protagonismo nel mondo della comunicazione da parte delle giovani generazioni di immigrati». «Vogliamo urlare quello che pensiamo! Soprattutto le frustrazioni quotidiane trascinate per anni. Le file al commissariato, le bocciature alle nostre richieste di cittadinanza. Le umiliazioni dei nostri genitori, le nostre umiliazioni. E quanti di noi si sono sentiti rivolgere lo sguardo di totale meraviglia quando un G2 ha dichiarato "sono italiano, ho il passaporto italiano, parlo italiano, incredibile mangio anche la pasta!". E quante volte avrete ascoltato "ma come parli bene l’italiano!". «Quando la maggioranza si renderà conto di quanto siamo normali?», urla un membro della G2 sul blog.
Strumenti artistici per farsi conoscere. «Per farci sentire non basta la parola: per noi è molto importante trovare le forme migliori per arrivare a un pubblico più vasto» spiega sul blog Maya Llaguno Ciani, membro di G2 e ideatrice del Fotoromanzo Apparenze -. E così stiamo provando strumenti di comunicazione efficaci, accessibili e chiari, per veicolare contenuti che per noi sono molto importanti». «In questa occasione ci siamo divertiti a posare con autoironia come se fossimo degli attori, rappresentando alcuni episodi comuni delle nostre vite di tutti i giorni - racconta Lucia Ghebreghiorges, una delle protagoniste del fotoromanzo – . Ma abbiamo giocato tenendo sempre ben presente l’obiettivo di G2: quello di sensibilizzare sulla necessità di una riforma della legge sulla cittadinanza italiana che sia più aperta verso i figli degli immigrati».
Un impegno sociale e artistico vasto ed esaustivo, che comprende anche la partecipazione alla trasmissione Toubab su Popolare Network con OndeG2. Due anni intensi, che hanno permesso di sviscerare tematiche complesse, problemi contingenti: dalla cittadinanza agli aneddoti e ricordi di situazioni imbarazzanti, dall’identità all’amore, dalla storia della patria allo sport tricolore, dal cinema alla musica, dal razzismo al bullismo, dal futuro delle G2 e dell’Italia all’emozione di chi, finalmente, è riuscito ad ottenere la tanto agognata, desiderata cittadinanza.
Ma l’impegno della Rete non si è esaurito qua: i giovani “figli di immigrati” si sono cimentati con la musica, col cd Straniero a chi? Tracce e parole dei figli dell’immigrazione - contenente 13 brani realizzati da gruppi musicali composti anche da figli di immigrati o da singoli artisti di origini straniere di età compresa tra i 20 e i 30 anni - e col giornalismo, collaborando con il mensile giovanile Topgirl, e realizzando una pagina Secondi a nessuno, «interamente curata dalla rete nazionale di figli di immigrati dove le seconde generazioni si raccontano in prima persona, dalla Babele linguistica delle loro case alle avventure tipiche degli “italiani col permesso di soggiorno”, dai dilemmi identitari alle difficoltà di vivere senza pieni diritti nel paese in cui si è cresciuti». «Un nuovo strumento come altoparlante delle loro vite per raggiungere i coetanei. Storie, pensieri, emozioni e curiosità di un’Italia che cambia dalle scuole alle università, dai luoghi di aggregazione ai posti di lavoro. Giovani che non vogliono essere considerati degli estranei o cittadini di serie B nel loro stesso mondo, la società italiana». Appunto “secondi a nessuno”.
«Mi chiamo Ian, ho 18 anni, sono uno dei tanti pendolari che la mattina si attarda nel dribblare altri pendolari. Chi vive a Roma, in questa mia grande città, può capire cosa intendo. Una spietata lotta per ritagliarsi quel centimetro cubo di spazio che ti permetterà di stare stretto nella metro come le acciughe in un barattolo. E poi scuola, amici, professori, insomma la mia vita. Anzi, una parte della mia vita. Torno a casa assieme a mia sorella, e sento mia madre parlare al telefono: “Hello? Who is speaking?”, poi subito “Sì, te la passo”. E si rivolge in luganda a mia sorella dicendole a mezza voce “È simù yò (è per te)”. Ecco, questa è casa mia. Un crocevia delle lingue più diverse. Dentro quelle quattro mura i miei genitori mischiano il luganda, la lingua principale del mio paese, l’Uganda, il lusoga, uno dei dialetti, oltre ovviamente all’italiano. Quel paese l’avrò visto due volte in vita mia. Non so la lingua di laggiù. So capire un po’ di tutto, ma a parlare nemmeno per sogno. So solo l’italiano e rispondo ai miei genitori sempre in italiano. Non perché lo abbia voluto. È una casualità, tutto qua. Potrei fare confusione, insomma le lingue sono tante. Ma una cosa è certa. Sento qualcosa che mi lega all’Uganda nel profondo, anche se qualcuno potrebbe non capirlo fino in fondo…».
Esperienze artistiche e umane. Tentativi di aprirsi alla società italiana. Speranze di essere capiti, accolti, accettati, riconosciuti come “uguali”. Ragazzi con gli stessi problemi dei giovani italiani da generazioni e generazioni; adolescenti che hanno a che fare con le pene di cuore e le speranze di diventare qualcuno. Giovani come noi. «Innanzitutto più che figli di stranieri o figli di nessuno direi: dobbiamo considerarci figli di tutti. Facciamo parte della società, siamo il risultato di una società composta da tutti. (…) Siamo il presente e futuro dell’intera società, non solo delle nostre famiglie naturali», si legge ancora sul blog G2.
Giovani che vivono le nostre ansie e le nostre frustrazioni, le nostre gioie e le nostre speranze: «I miei occhi hanno continuato a posarsi su di te e ogni giorno notavano sempre nuove cose e dettagli…, ti ho visto da diverse angolazioni e ti ho rivisto ancora e ancora senza che mi stancassi mai. … Amor mia non mi illudo, ho come l’impressione che non farò mai parte di te. … Ma un augurio di buon viaggio rimanga fra te "amoR" e me, uno sconosciuto che ti ha conosciuto. Amor mia sei proprio tu, mia Roma».
Ma giovani che spesso si trovano ad affrontare situazioni imbarazzanti, dolorose, offensive: «È solo verso i 21 anni che ho cominciato a comprendere il senso delle parole che mia nonna mi ripeteva da bambina: "Cerca di diventare qualcosa per non essere né carne né pesce". Per una qualsiasi altra bambina italiana queste parole non avrebbero avuto un significato particolare se non quello di diventare grande. Per me, invece, divisa tra una natalità italiana e una faccia scura, che parlava di una terra lontana, la frase da lei pronunciata voleva dire molto di più. (…) Essere un figlio di immigrati, nella società italiana, e per di più "di colore", non è né facile né difficile. È semplicemente una realtà nuova e indefinibile. Siamo italiani, ma le nostre fattezze si presentano ancor prima delle parole, smentendo a primo impatto, qualsiasi appartenenza a questo paese. Allo stesso tempo, quando ci affacciamo alle comunità di origine, la conoscenza frammentaria della cultura e della lingua ci allontana anche da loro. (…) Nasce l’esigenza di una legittimazione di questi nuovi figli d’Italia, con problematiche ed esigenze del tutto nuove. Soggetti fuori da quell’estenuante dialettica è/non è che li vorrebbe per sempre degli ibridi», scrive Lucia sul blog della Rete G2.
Giovani che spesso sono costretti a trovarsi una casa accogliente in un mondo fantastico, in un’Italia da sogno, in una rete in internet: «Con G2 non ho bisogno di affrontare questo problema, il problema non sussiste. I percorsi di vita di ognuno, ciascuno con le proprie peculiarità, sono in sintonia, sappiamo cosa vuol dire crescere in un luogo dove tu ti senti a casa, ma gli altri ti considerano un forestiero. Per questo voglio bene a G2», dichiara un membro sul blog.
Giovani italiani, che non accettano la definizione di “nuovi italiani” ma che affermano con forza e convinzione la loro “novità”: «Mi chiedo – afferma un giovane ragazzo sul blog - se non sarebbe meglio usare…"novità" per il paese, per l’Italia. Una nuova stagione che riguarda tutti/e qui, una stagione che poi cederà il passo a qualcosa di altro, come la primavera cede il passo all’estate». Giovani italiani, che sentono e vivono la nostra italianità: «L’italianità siamo noi, i nostri sentimenti, il modo in cui la nostra testa e il nostro cuore reagiscono agli stimoli esterni. L´italianità è un insieme di ricordi, di sensazioni, di odori, di colori e di sapori. L´italianità è il sentirsi a casa in Italia, perché è questo che l'Italia per noi rappresenta: casa».
5 gennaio 2009
Fonte:
http://www.ffwebmagazine.it/ffw/page.as ... te_Arti=46