Ius soli sportivo: ecco cosa può fare il mondo del calcio, oltre ad aspettare il Parlamento

Dopo un’estate difficile, sembra scoppiato l’amore tra i nostri dirigenti e lo ius soli, dal presidente di Lega Beretta al numero uno della Lazio, Lotito. Anche Tavecchio è favorevole. Tutti, però, chiedono l’intervento della politica: ma il calcio può fare il primo passo, concedendo la cittadinanza sportiva a chi è nato in Italia da genitori stranieri. Una norma di civiltà, una scommessa sulle seconde generazioni italiane

Roma – 3 settembre 2014 – Messa alle spalle un’estate quanto meno complicata, da Brasile 2014 alle scivolate sul tema del razzismo, nel mondo del calcio italiano sembra scoppiata una grande passione per lo ius soli, che non manca di essere citato in ogni dichiarazione programmatica su come far rinascere il nostro movimento, dopo il fallimento al Mondiale sudamericano. L’ultimo in ordine di tempo a parlarne è stato il presidente della Lazio, Claudio Lotito, che alla “Domenica Sportiva” ha detto: “Il calcio deve essere portatore di ius soli”. La cosa non deve stupirci più di tanto visto che di “ius soli” parlava anche lo stesso Carlo Tavecchio, nel programma con cui si era candidato alla presidenza della Figc, che ora guida. Ne parlava anche l’altro candidato Demetrio Albertini. Così come lo ha fatto anche il neo vicepresidente della Federcalcio e presidente della Lega di Serie A, Maurizio Beretta, che, in un’intervista ad Affaritaliani.it, ha affermato: “Bisogna riconoscere lo ius soli per attribuire la cittadinanza italiana dal punto di vista sportivo agli atleti di origine straniera nati nel nostro Paese”. Tutte dichiarazioni che almeno in teoria non possono che trovarci d’accordo. Ma che, nella sostanza, purtroppo significano molto poco, perché non fanno altro che rimandare la palla nel campo del Parlamento, in attesa di una modifica della legge sulla cittadinanza. Oltre ad aspettare, come tutti noi, buone nuove dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera, che a breve riprenderà le audizioni per la riforma della 91/92, il mondo del calcio potrebbe fare intanto un importantissimo passo in avanti. E cioè riconoscere la cittadinanza sportiva a quei ragazzi nati in Italia da genitori stranieri; in questo modo si permetterebbe a tutti questi giovani calciatori, soprattutto a coloro che sono originari dei paesi extra-Ue (che poi sono quelli che incontrano le maggiori difficoltà) di poter competere alla pari con i loro coetanei, senza dover ogni anno presentare una miriade di documenti, spesso difficilmente reperibili, e dover sottostare ai limiti sui calciatori extracomunitari in campo (problema sentito soprattutto a livello giovanile, ma anche, ad esempio, in Lega Pro). Non si tratta di una proposta poi così irrealizzabile, visto che lo ius soli sportivo vige in diverse  altre federazioni italiane, la Fidal su tutte. Senza dimenticare che su questo tema è arrivata una proposta di legge in Commissione Cultura e Sport della Camera, ma ciò che si chiede al calcio è proprio di saper anticipare, per quanto possibile, i lunghi tempi della politica. Certo su un punto non si potrà fare nulla: i giocatori, fino a quando non avranno la cittadinanza, non saranno selezionabili per le varie nazionali italiane giovanili, un tema sui cui la Federazione è ovviamente molto sensibile. Si tratterebbe dunque di puntare con decisione sulle seconde generazioni italiane: permettere a tutti i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, ma ancora privi di cittadinanza, di poter partecipare alla pari con gli altri, convinti che una volta che ne avranno la possibilità, se ovviamente saranno all’altezza, sceglieranno di giocare nella Nazionale del paese che sentono proprio, l’Italia. Che possa essere così, lo dimostrano anche i tanti ragazzi che, pur privi di cittadinanza, hanno avuto la possibilità di partecipare (e vincere) ai campionati italiani di atletica leggera, grazie alle norme introdotte dalla Fidal: una volta ottenuta la cittadinanza, quegli stessi ragazzi hanno poi scelto di gareggiare per i colori azzurri. Per il mondo del calcio si tratterebbe dunque sì di una scommessa, ma con ottime chance di passare all’incasso, oltre, ovviamente, ad avere il merito di varare una norma di civiltà e di grande valore per le seconde generazioni italiane.

Isaac Tesfaye – G2 Parlamenta

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