Credevo che l'Università Bocconi fosse rinomata per la sua serietà e capacità di aggiornamento nella ricerca. Come si fa a usare l'acronimo dell'organizzazione e associazione "G2" che tra l'altro è ormai abbastanza nota a livello mediatico, per indicare "Gli immigrati G2"?! Lo abbiamo scritto dappertutto che G2 è una organizzazione di figli di immigrati o giovani di origine straniera cresciuti tutti in Italia. Come si può dire che sono "immigrati" RAGAZZI/E NATO E/O CRESCIUTI IN ITALIA?! Con seconde generazioni NON SI INTENDE UNA SECONDA ONDATA MIGRATORIA!
Forse all'Università Bocconi interessa più parlare solo di appetibili mercati costituiti da immigrati e dai loro figli piuttosoto che di termini esatti o ERRATI?
Ci sarebbe proprio da scrivere alla Bocconi.
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http://www.stampa.unibocconi.it/Immigrati, come affrontare un mercato da 30 miliardi
In Italia, con 200 nazionalità presenti, non ha senso la segmentazione etnica. Le seconde generazioni acquistano musica in inglese, cibo italiano, pc e mp3 come i coetanei italiani, secondo una ricerca sul campo dell’Università Bocconi di Milano.
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Roma, 15 marzo 2008 - Con 3,7 milioni di immigrati regolari (un milione dei quali di seconda generazione), l’Italia ha superato Gran Bretagna e Francia per numero di immigrati. Tale presenza si traduce in un mercato del valore di almeno 30 miliardi di euro l’anno, ma solo alcuni settori (tlc, editoria specializzata, servizi bancari e finanziari, gdo) iniziano a sviluppare strategie ad hoc per questo target. Gli approcci di segmentazione a base puramente nazionale che derivano dall’esperienza di paesi a immigrazione più antica non sono applicabili a una realtà come quella italiana, con immigrati da più di 200 paesi e tre sole comunità (albanesi, marocchini e rumeni) che si avvicinano al 10% del totale, affermano Luca Massimiliano Visconti dell’Università Bocconi e Enzo Mario Napolitano di Etnica.biz nel paper Nuovi italiani, nuovi marketing: approcci emergenti per la conquista del mercato etnico nazionale, presentato questa mattina in Università a un incontro organizzato dal Customer & service science lab della Bocconi. Gli immigrati si caratterizzano per la giovane età (34 anni in media), la prevalenza maschile (57,1%), l’alta scolarità (12,1% di laureati) e la forte mobilità territoriale. Con un reddito medio stimato intorno agli 850 euro al mese, hanno una certa propensione al risparmio (in media il 15-16% delle entrate) e trasferiscono in patria meno di quanto comunemente si ritenga (il 14% del reddito). La relazione prezzo/qualità è senz’altro il più potente driver d’acquisto, ma non esclude consumi importanti. Secondo rilevazioni recenti il 46,7% degli stranieri possiede un’automobile, il 32,3% un impianto satellitare (gli italiani sono al 21,4%), il 49% un lettore dvd, il 93,6% un cellulare, il 29,4% un personal computer, mentre il 50,5% ha un conto corrente in banca o in posta. “L’interesse per le diverse opzioni di segmentazione del mercato etnico si lega alle ricadute sociali che tali decisioni hanno rispetto all’integrazione degli stranieri”, scrivono Visconti e Napolitano. “La segmentazione concorre a rafforzare o, viceversa, a contestare le rappresentazioni stereotipiche sugli stranieri già presenti nella retorica collettiva”. Gli autori chiariscono perciò la loro preferenza per una segmentazione che non si basi sull’appartenenza etnica, ma sugli stili di vita o sull’integrazione socio-culturale e propongono una segmentazione originale su base generazionale, derivante da un progetto di ricerca sul campo condotto sulle seconde generazioni di immigrati a Biella, Milano e Torino. Gli immigrati G2 (di seconda generazione) si riconoscono nella definizione di cittadini del mondo (tra il 25,75 e il 38% a seconda della città) e, a differenza dei propri genitori, non limitano le proprie amicizie alla rete etnica (25%). Analogamente ai coetanei italiani ascoltano prevalentemente musica in inglese (tra il 68% e il 73%), guardano la televisione italiana (75-78,4%), sono iscritti alla scuola italiana (91,7-94%). Nei riguardi della pubblicità mostrano maggiore avversione dei propri coetanei per l’uso della violenza (58,7-62%), del nudo (23,9-35%) e dell’ambiguità sessuale (30,3-32%). Come i loro genitori, scelgono in base al rapporto prezzo/qualità, ma dimostrano una maggiore sensibilità al brand (49-62,4%). L’integrazione con i gusti dei coetanei italiani è evidenziata dalla prevalenza di consumo di prodotti alimentari italiani e dallo stile di abbigliamento, mentre la loro propensione alla tecnologia è superiore a quella dei genitori, con una larghissima diffusione di dvd (78-87,2%), pc (73-77,1%) e lettori mp3 (71,6-78%). Con loro, concludono Visconti e Napolitano, “un eccesso di etnicizzazione della comunicazione e dei sistemi di offerta delle imprese potrebbe funzionare persino in modo controproducente”. L’orizzonte su cui lavorare non è perciò il marketing etnico, ma quello interculturale, con strategie atte a lavorare sugli elementi condivisi tra più gruppi etnico-nazionali. Chi riesce a posizionarsi come impresa che valorizza le differenze riesce ad aprire le porte alle minoranze, senza alienarsi il mercato mainstream