Mi scuso se sono stato frainteso e non volevo assolutamente mancare di rispetto a nessuno.
Premesso questo, ci tengo a sottolineare alcune questioni che ritengo molto importanti. Il “campo universitario” come Giulia hai definito il tuo ambito sta conducendo ricerche su questo argomento relativamente da poco, avendo considerato l’immigrazione come situazione emergenziale. Per la cronaca, si comincia a parlare di immigrazione già verso la metà degli anni 70. Nel 1975 appare sul prestigioso “Corriere della Sera” un’editoriale che ragiona su immigrazione e mondo del lavoro;editoriale firmato da Romano Prodi. Nello stesso anno il governo commissiona a DOXA un’indagine sul fenomeno dell’immigrazione nel mondo del lavoro. Sono passati più di 30 anni da allora e la società italiana, il legislatore, l’opinione pubblica, la classe politica, il mondo accademico, continuano a considerare l’immigrazione come un fenomeno emergente. Se è vero che gli immigrati esistono da più di 30 anni, è altrettanto vero che anche i loro figli sono sempre esistiti con loro. Alcuni sono venuti quando erano molto piccoli, moltissimi ci sono nati in questo bellissimo paese a forma di stivale. Addirittura i figli dei primi immigrati stanno mettendo su famiglia e nascono i loro figli, mentre noi scriviamo. Io non sono un’ esperto del settore linguistico anche se parte della mia formazione si è concentrato su questo settore. Ultimamente in Italia si fa largo l’idea di rendere uguali gli immigrati con i figli di immigrati. Sembra un gioco di parole ma in realtà dietro questa sottigliezza linguistica ci sono molte differenze. I figli di immigrati nati o cresciuti qui sono uguali ai loro coetanei italiani. Le variazioni che l’italiano ha subito in questi anni si rispecchiano anche in loro in tutto e per tutto, quindi non esistono delle differenze (almeno dimostrate fino ad oggi in modo scientifico) tra italiani nati da cittadini italiani in Italia e “nuovi italiani” nati da genitori non italiani in Italia. Qui faccio un’ inciso per sottolineare ancora una volta quanto la cittadinanza come intesa oggi in Italia è una questione del tutto burocratica e non indica assolutamente l’italianità o meno di qualcuno.
(un’ esempio significativo può essere:un cittadino brasiliano mai stato in Italia che scopre di avere avuto un bisnonno italiano e automaticamente prende il passaporto italiano e diventa cittadino a tutti gli effetti ; io nasco in Italia da genitori stranieri e per poter diventare cittadino italiano devo aspettare di compiere 18 anni senza mai lasciare l’Italia e solo allora posso fare richiesta per diventare cittadino).
Quindi l’Italia è il mio paese e non un paese straniero. Dicendo questo ovviamente si mina la base dalla quale la ricerca parte,cioè le difficoltà linguistiche che le seconde generazioni possono avere in un paese straniero.
Sarebbe molto interessante poter sapere che difficoltà linguistiche hanno i ragazzi che sono nati e cresciuti in Italia da genitori stranieri quando tornano nei paesi di origine dei genitori, e qui nel forum abbiamo illustri testimoni che ci possono dare delle delucidazioni su questo.
Ti prego di non prendere queste righe che ho scritto come una sorta di attacco ma semplicemente come un punto di vista di un diretto interessato e come spunti utili per fare un quadro più chiaro su questo argomento. E ovviamente noi siamo apertissimi al confronto su questi temi.