Io posso parlarti sola della mia esperienza particolare.
Io varco il "confine" ogni mattina quando esco di casa, saluto mia mamma in italiano o in punjabi (lingua dell'India settentrionale), ogni tanto saluto a mani giunte davanti all'effige dei nostri Guru, ed esco. A quel punto sono in Italia. E sono Italiano. La mia lingua è l'italiano, i miei discorsi sono più o meno quelli di un italiano della mia età (ma ad eccezione di questi io non parlo e non mi interesso mai di calcio, e non sfoglio la gazzetta dello sport, piuttosto Repubblica o Internazionale), i miei desideri sono quelli di un italiano, i miei sogni sono quelli di un italiano ma forse si spostano un pò più in là e un pò più sù rispetto ai confini tradizionali, anch'io, come qualsiasi coetaneo italiano, ogni tanto esclamo "i cinesi ci stanno invadendo!"

, però adoro guardare i volti di questi "stranieri" che non si pongono il minimo problema sull'esserlo o meno, mi piace ascoltare i loro accenti, dal cinese al marocchino, dall'albanese al rumeno.
In Italia sono italiano, se non quando mi viene chiesto "di dove sei?"; vorrei rispondere "sono ci Città di C..." ma non è questo che vogliono sentirsi dire, e allora sommessamente rispondo "sono indiano". Sono italiano se non quando faccio la fila assieme ad altri "stranieri" davanti alla questura; quando all'aereoporto italiano la mia fila non è quella per gli "Italian citizens" ma quella dei "Foreigners". Quanto seguo attentamente tutta la campagna elettorale ma non posso andare ad esprimere il mio voto. Quando le mie possibilità di lavoro, carriera, spostamento sono condizionate alla mia nazionalità. Ed in poche altre occasioni come queste.
Comunque, il mio rapporto con la comunità di appartenenza dei miei genitori, ovvero quella dei Punjabi, è quasi nulla.
Purtroppo, o per fortuna, viviamo in un luogo dove questa comunità è pressochè assente. I miei genitori sono quasi il mio unico rapporto con le mie origini. Ed è un rapporto flebile, basato sulla lingua, sul cibo e su poche altre cose. Con loro sò che di certe cose non si può parlare, e altre cose loro non le possono capire (limiti linguistici miei e loro, cultura, interessi, ecc. ).
Io non sò cosa mi rende diverso da un italiano e probabilmente non lo sà neanche un italiano cosa lo rende diverso o "straniero" rispetto ad un altro italiano o rispetto ad uno "straniero".
Viviamo talmente atomizzati in questa società (il vivere fuori dalla loro comunità, equivale per i miei genitori a non aver rapporti con il mondo, dato che i rapporti con i loro amici/colleghi italiani sono inesistenti per il non sentito bisogno di crearli, da ambo le parti) che non sappiamo neanche che vita fanno i nostri vicini di casa, che problemi abbiano o cosa pensino di noi.
Siamo tutti "stranieri" in occidente, ma per le istituzioni siamo stranieri a livelli diversi: le caste le fanno le istituzioni, perchè se qualcuno deve stare meglio qualcun'altro deve stare peggio, se qualcuno deve avere più diritti qualcun'altro ne deve avere di meno.....
se è vero che nulla si crea o si distrugge.
PS: c'avete capito qualcosa di quello che ho detto?