Ma come è possibile che un editorialista del corriere della sera possa essere così grullo da confondere la legge quadro sull'immigrazione con la legge sulla cittadinanza?
Ma studia prima di scrivere?
Mahhhhhhhh!
Per non parlare del parere dell'editorialista in questione che può anche scrivere (siamo in democrazia) ma che trovo semplicemente limitato. Forse è meglio che si occupi solo di Esteri perché quando va sugli Interni casca addirittura sui fondamentali (le leggi).
-------------------------------------------------------------------------------------
CORRIERE DELLA SERA 10.3.2008
IL REGNO DELLE DUE SICILIE E NOI
Che fare dell'immigrazione: la ricetta di Ferdinando I
P er definire il futuro modello d'integrazione degli immigrati in Italia, è certamente opportuno considerare una realtà giuridica del nostro passato. Si tratta di una legge emanata da Ferdinando I, re delle Due Sicilie, il 17 dicembre 1817 che regolamenta la concessione della cittadinanza agli stranieri. Il criterio fondamentale è che per poter acquisire la cittadinanza si deve essere concretamente utili al progresso e all'arricchimento dello Stato e in nessun caso si può essere un problema sociale o un peso economico per lo Stato. In altri termini si afferma la logica della «immigrazione scelta» anziché quella «subita». Nell'articolo I si precisa che «potranno essere ammessi al beneficio della naturalizzazione del nostro regno delle Due Sicilie», nell' ordine: 1. gli stranieri che hanno renduto, o che renderanno importanti servizi allo Stato; 2. quelli che porteranno dentro lo Stato de talenti distinti, delle invenzioni, o delle industrie utili; 3. quelli che avranno acquistato nel regno beni stabili, su i quali graviti un peso fondiario almeno di ducati cento all'anno. Al requisito indicato ne' suddetti numeri 1, 2, 3 debbe accoppiarsi l'altro del domicilio nel territorio del regno almeno per un anno consecutivo. 4. Quelli che abbiano avuta la residenza nel regno per dieci anni consecutivi, e che provino avere onesti mezzi di sussistenza; o che vi abbiano avuta la residenza per cinque anni consecutivi, avendo sposata una nazionale.
Quest'ultimo punto corrisponde sostanzialmente ai requisiti presenti nelle due ultime leggi sulla cittadinanza, la Turco-Napolitano (Legge 40 del 6 marzo 1998) e la Bossi-Fini (Legge 189 del 30 luglio 2002), evidenziando una singolare continuità circa la percezione del tempo necessario per maturare il diritto alla cittadinanza. Ciò che invece contrasta totalmente è la semplicità della legge sulla cittadinanza di Ferdinando I che si esaurisce in 3 articoli, e la complessità di quelle attuali che arrivano a 49 articoli nel caso della Turco- Napolitano e a 38 articoli nel caso della Bossi-Fini. Certamente era un mondo diverso, la globalizzazione si esauriva nell'area euro- mediterranea e la consistenza degli stranieri era più limitata. Ma la differenza vera è che, a dispetto del fatto che si trattasse di una monarchia assoluta, lo Stato era meno interventista rispetto alla nostra Repubblica e conteneva il suo ruolo nella definizione degli orientamenti generali della strategia politica. Nella sostanza una volta affermato che la concessione della cittadinanza è prerogativa di coloro che tramite il loro operato servono al benessere dello Stato o che in ogni caso non rappresentano un onere finanziario allo Stato, non serve in effetti aggiungere altro. Per contro oggi non si parte dal primato dell'interesse nazionale bensì dall'accettazione aprioristica delle istanze individuali degli immigrati. Ed è così che in un contesto dove l'insieme della classe politica ritiene che non si debba neppure sanzionare come reato l'ingresso clandestino in Italia, si finisce per concedere diritti su diritti a tutti, compresi i clandestini che risiedono illegalmente sul territorio nazionale, mentre si è estremamente restii a esigere l'ottemperanza dei doveri che gravano sugli autoctoni, per la paura di essere tacciati per razzisti. Le strategie di integrazione degli immigrati stanno cambiando attorno a noi, sia nei Paesi che si erano infatuati dell'ideologia relativista e buonista del multiculturalismo quali la Gran Bretagna e l'Olanda, sia di quelli che hanno tentato di imporre l'assimilazionismo quale la Francia. Ovunque la parola d'ordine è di assicurare un'«immigrazione scelta » e di porre fine alle conseguenze deleterie dell'«immigrazione subita». Stiamo tornando in qualche modo ai principi ispiratori della legge di Ferdinando I. Se anche noi vi aderissimo, sarebbe una riscoperta del nostro passato e una rivalorizzazione di un'esperienza che ci appartiene. Una «via italiana » all'integrazione che faccia prevalere l'interesse nazionale dell'Italia su qualsiasi altra considerazione. Sarebbe veramente bello ma dubito assai che Berlusconi o Veltroni siano pronti al grande salto dalla politica per il consenso alla politica per lo Stato.
http://www.corriere.it/allam http://www.magdiallam.it