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 Oggetto del messaggio: Immigrati paria e sindaci nordisti
MessaggioInviato: 05 dic 2007, 12:24 
Sanatoria
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Iscritto il: 14 set 2006, 15:41
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Località: Roma
Vi propongo questo interessante articolo di gad lerner dalla repubblica di ieri, offre molti spunti di riflessione sul clima xenofobo che sta montando in italia, e che non mancherà di avere ripercussioni su tutti noi, G1, G2, G3 ecc.. :

Dall’ordinanza contro i lavavetri del sindaco di Firenze, all’ordinanza antisbandati del sindaco di Cittadella, il passo era purtroppo fatale e prevedibile. Non poteva bastare a impedirlo, nei due mesi che le separano, il decreto governativo che autorizza i prefetti a espellere gli immigrati di riconosciuta pericolosità sociale. Approvato, come è noto, sull’onda dello sdegno popolare per l’omicidio di Giovanna Reggiani commesso da un rom. Siccome poi gli effettivi accompagnamenti alla frontiera si contano nell’ordine delle centinaia e non delle migliaia, com’era inevitabile a meno di organizzare incivili deportazioni di massa, l’allarme sociale ne risulta enfatizzato a prescindere dalle statistiche sulla criminalità straniera.
Così ora tocca fare i conti con il movimentismo di decine di sindaci del lombardo-veneto, scatenati nella gara a chi s’inventa il provvedimento più spettacolare contro gli stranieri. Ha un sapore antico il loro prodigarsi nella costruzione di una solida diga della rispettabilità, tale da separare i cives dagli infames. Da una parte il popolo titolare della dignità civica, dall’altra gli estranei che la insidiano. Adopero non a caso il linguaggio del diritto medievale riproposto dallo storico Giacomo Todeschini in un libro dai richiami purtroppo attuali: “Visibilmente crudeli. Malviventi, persone sospette e gente qualunque dal Medioevo all’età moderna” (Il Mulino). Ha fatto scuola Massimo Bitonci, sindaco di Cittadella, con l’ordinanza che prescrive un reddito minimo di residenza. Vale la pena di ricordarne i termini: iscrizione all’anagrafe comunale vietata per chi non dimostri un’entrata minima di cinquemila euro l’anno; obbligo di esibire un’assicurazione sanitaria; sopralluogo dei vigili per verificare che l’abitazione sia decorosa; creazione di un’apposita commissione municipale per accertare che non sussistano sospetti di pericolosità sociale.
Quando poi la Procura della repubblica di Padova ha avviato un’indagine per verificare che non sussista un’usurpazione di funzioni competenti ad altri organi dello Stato –come il prefetto o il questore- è scattata la solidarietà degli altri primi cittadini: “10, 100, 1000… Bitonci”, si leggeva sullo striscione esibito domenica 25 novembre nella piazza di Cittadella. E già quaranta sindaci veneti hanno seguito l’esempio di Bitonci, appigliandosi alla direttiva 38 dell’Unione europea segnalata sui giornali italiani dal commissario Franco Frattini con un’enfasi distorsiva tale che gli è valsa, il 15 novembre scorso, una mozione di censura del Parlamento di Strasburgo. Tale direttiva afferma, all’articolo 7, che il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro è previsto a condizione di disporre “di risorse economiche sufficienti”. Può bastare tale richiamo a cancellare un iritto fondamentale come la libera circolazione dei cittadini dell’Ue? Il diritto può essere limitato sulla base del censo?
Sono domande che appaiono oziose ai sindaci di centrodestra del lombardo-veneto. E poco importa loro che Gianantonio Stella segnali come un’ordinanza stile Bitonci avrebbe impedito lo sbarco in America di centinaia di migliaia di poveri emigranti dalle tre Venezie.
Scatta infatti tra i loro concittadini impauriti un paradossale rovesciamento di ruoli che Julia Kristeva descrive efficacemente a partire dall’antica dialettica fra lo schiavo e il padrone. Benché l’immigrato sia povero e giunga fra noi sospinto dal bisogno –disponibile a farsi carico di attività subalterne e mal retribuite- è pur sempre il vecchio abitante di quel territorio a sentirsi indebolito dal suo arrivo. Ha bisogno della manodopera immigrata, ma nello stesso tempo prova il rimpianto sintetizzato nello slogan leghista: non mi sento più padrone in casa mia. Spiega la Kristeva che quel “sentirsi stranieri” nella relazione col nuovo venuto “fa sorgere nell’indigeno soprattutto un sospetto: sono veramente a casa mia? sono proprio me stesso? non sono forse loro padroni dell’avvenire?”.
Risultato: “Il ‘padrone’ si trasforma così in schiavo che caccia il suo conquistatore”. Fa impressione rileggere in questa luce l’esortazione scritta sabato scorso dal sindaco di Montegrotto Terme, rinomata e prospera località del turismo sanitario, sui display municipali: “Cittadini, emigrate! Vivrete meglio da immigrati in un’altra nazione che da cittadini nel vostro paese”. Un invito che ovviamente nessun montegrottese raccoglierà, ma che alimenta la percezione di un’Italia troppo generosa con gli stranieri. Poco importa che si tratti di un rovesciamento della realtà, visti i nostri clamorosi ritardi nell’integrazione dignitosa e nel riconoscimento di cittadinanza agli immigrati che lavorano fra noi da molti anni.
Così l’offensiva antistranieri scatenata dai sindaci non si limita a individuare i clandestini come bersaglio. E’ il caso del primo cittadino di Caravaggio che d’ora in poi rifiuterà di officiare matrimoni in assenza di permesso di soggiorno, benché la normativa vigente lo consenta per favorire le regolarizzazioni e combattere la clandestinità. Certo, vi sono nazioni che hanno saputo trasformare anche l’immigrazione illegale in motore della crescita economica. Come gli Stati Uniti, che erigono una forte barriera all’ingresso. Ma, una volta che il clandestino sia riuscito ad aggirarla, gli viene consentito di conseguire la patente di guida e alcune banche gli forniscono pure speciali carte di credito.
La sindrome da invasione, alimentata dagli imprenditori politici della paura, da noi si manifesta viceversa in vero e proprio accanimento nei confronti degli stessi stranieri regolarizzati. Retrocessi nelle graduatorie per le case popolari, là dove la Lega è al governo della regione. Discriminati nei giorni scorsi a Romano d’Ezzelino (Vicenza) nell’assegnazione dei bonus istruzione, quand’anche risultassero meritevoli, dopo che già gli erano negati gli assegni per i nuovi nati: bell’incoraggiamento all’integrazione! La rivendicazione identitaria si manifesta –in mancanza di meglio- escogitando rituali patriottici, padani o tricolori. Come a Loria, nel revigiano, dove il sindaco farà cantare l’inno di Mameli prima delle sedute del consiglio comunale.
E’ un progetto culturale che, combinandosi con la selezione sulla base del censo e con la discriminazione nazionale, mira a ristabilire nei confronti degli immigrati una sorta di gerarchia etnica. Prospettando loro un futuro circoscritto nella condizione dei paria. Ospiti forse necessari, ma ingrati. Costretti a sentirsi sempre provvisori. Minacciati di espulsione. Minoranza ghettizzata, indegna di contrarre matrimonio con i nativi: il sindaco di Morazzone (Varese) ha deciso due mesi fa di segnalare alla polizia tutte le pubblicazioni di nozze fra italiani e stranieri.
Rassicurati dalla constatazione che in Italia i partiti xenofobi hanno raccolto finora consensi inferiori ad altri paesi europei, forse ci siamo lasciati cullare dall’illusione. La politica si è accontentata di inseguire le paure dei cittadini con sgomberi e retate scarsamente efficaci. E ha derogato invece a uno dei suoi compiti fondamentali: affermare i valori di civiltà e le regole inderogabili della convivenza anche di fronte alle circostanze più drammatiche. Col risultato che la deriva razzista ha tracimato dalle pagine dei giornali ai provvedimenti discriminatori degli amministratori, tra gli applausi di una cittadinanza esacerbata.
Il governo di centrosinistra rischia di pagare a caro prezzo la titubanza rivelata in questa battaglia culturale che l’avrebbe costretta a sfidare l’impopolarità.
Da questione di ordine pubblico, la necessaria repressione della criminalità straniera sta degenerando in Veneto e Lombardia sotto forma di politiche locali discriminatorie, legittimate da una difusa ideologia xenofoba. La corsa per conquistare il consenso dei cittadini si è trasformata in gara a chi mostra la faccia più feroce agli immigrati.
E allora serve poco recriminare sulle politiche dissennate del passato: dall’incapacità di selezionare qualitativamente i flussi migratori in base al fabbisogno, agli ostacoli burocratici opposti all’integrazione e alle naturalizzazioni, fino alla sanatoria resa indispensabile da una legge ideologica come la Bossi-Fini. Di fronte al movimento antistranieri capitanato dai sindaci nordisti bisogna assumere finalmente la priorità dell’allarme razzismo, se vogliamo preservare una civile convivenza sul nostro territorio.
Altrimenti la riduzione a paria dello straniero rischia di produrre esiti drammatici, già anticipati dalla corrente di violenza sotterranea non più solo verbale- che serpeggia nella nostra società.

Gad Lerner, repubblica 4-12-07

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MessaggioInviato: 06 dic 2007, 01:20 
Pds in rinnovo

Iscritto il: 08 mag 2007, 21:22
Messaggi: 173
sull'attivismo dei sindaci andrebbe contrapposto un attivismo di quanti sono sensibili al problema non solo a livello nazionale ma anche a livello locale.
Nel caso di G2, per esempio, credo che la battaglia per la cittadinanza, tema a livello nazionale, vada scomposta anche in attività di sensibilizzazione a livello locale.
Per quanto riguarda il provvedimento di richiesta del PDS per il matrimonio, questo è un altro esempio di come i sindaci riempiano un vuoto politico che esiste a livello nazionale per i problemi che l'attuale governo ha.
Forse tali sindaci dovrebbero osservare che così facendo Tom Cruise e Kate Holmes, cittadini stranieri extracomunitari senza pds, non avrebbero mai potuto sposarsi a Bracciano e portare fior di dollaroni alle casse di detto comune, e David Bowie non avrebbe potuto impalmare la modella Iman a Firenze perchè, sebbene lui cittadino straniero comunitario, lei essendo somala sarebbe stata considerata extracomunitaria e in quanto tale portata via dai carabinieri come minacciato dal sindaco di Morazzone.
Senza contare altri moltissimi esempi di stranieri che decidono, sulla base dell'amore per il nostro paese, di venire a sposarsi nelle nostre città d'arte.


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MessaggioInviato: 07 dic 2007, 11:21 
Lavoratore a nero

Iscritto il: 10 lug 2007, 07:17
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Località: roma
segnalo che il Comune di Certaldo ("patria" del Boccaccio e per questo assai noto all'estero) e molri altri (fra cui Roma mi pare anche Venezia) hanno agenzie apposite per PROMUOVERE le nozze nel Comune da parte di stranieri come forma di...turismo; dunque ci sono stranieri di serie A, di cui si promuovono le nozze in Italia peché portano soldi, e stranieri di serie B, C, Z, utili solo ome forza-lavoro a poco prezzo, a cui si nega il diritto al matrimonio nel'Italia del Family Day e dove essere conviventi é una disgrazia, grazie alle discriminazioni legali valide per tutti i cittadini e gl stranieri in quella condizione!

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MessaggioInviato: 07 dic 2007, 14:26 
Clandestino

Iscritto il: 04 feb 2007, 12:11
Messaggi: 29
Località: Verona
afroitaliani/e ha scritto:
Di fronte al movimento antistranieri capitanato dai sindaci nordisti bisogna assumere finalmente la priorità dell’allarme razzismo, se vogliamo preservare una civile convivenza sul nostro territorio.
Altrimenti la riduzione a paria dello straniero rischia di produrre esiti drammatici, già anticipati dalla corrente di violenza sotterranea non più solo verbale- che serpeggia nella nostra società.

Gad Lerner, repubblica 4-12-07



Perfettamente d'accordo. In questi utlimi tempi si leggono sui giornali e si sentono discorsi che per me sono a dir poco sconcertanti. I primi ad alzare troppo il livello di violenza verbale sono quei politici che, per cultura o almeno per il ruolo che ricoprono, dovrebbero cercare di essere mediatori dei problemi sociali. Io vivo in terra leghista, è stato da poco eletto un sindaco leghista e molto, molto razzista. La lega, a mio parere, sta alzando troppo il tiro. L'ultma bestialità letta sul giornale di quel sindaco che ha riproposto lo slogan razzista-nazista nei confronti degli immigrati. Ma quello che mi sconcerta ancora di più è che, a detta loro, quelle frasi non contengono un pensiero razzista, sono frutto del rigore e della voglia di legalità. E Questo mi spaventa ,e non poco!


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MessaggioInviato: 13 dic 2007, 19:07 
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GIOVEDÌ, 13 DICEMBRE 2007
La Repubblica
DOVE NASCE LA NUOVA XENOFOBIA
RENZO GUOLO

Da dove nasce la xenofobia che dilaga nel Nordest, in particolare in Veneto? Cosa ha trasformato quest´area in incubatrice di tensioni che hanno come oggetto lo straniero e di azioni e concezioni del mondo che sono condivise da pezzi consistenti della società locale? Un fenomeno poco comprensibile per chi non vive nella metropoli diffusa che ha rapidamente consumato il paesaggio fisico e ha visto mutare quello sociale. Qui il prezzo del tardivo, ma capillare, miracolo economico che ha fatto di quella nordestina una società opulenta, è stato molto alto. La rivoluzione molecolare operata da una società di imprenditori di massa ha fatto uscire molti dalla povertà ma l´incessante lavorio ha mutato tutto troppo rapidamente: natura, uomini, legami sociali. Il paesaggio è stato sconvolto. Lo sguardo dall´alto mostra una terra ferita, lacerata per sempre. E registra l´assenza di vuoto, la presenza di un pieno troppo pieno. Laddove vi erano i luoghi, trionfano i non luoghi. La campagna non esiste più, sommersa da capannoni industriali e giganteschi centri commerciali; lastricata da strade divenute labirinti. Dai quali, per uscire, occorre sacrificare il bene divenuto ormai più prezioso: il tempo. Una trasformazione urbana che ha spezzato antichi vincoli, senza sostituirli con nuovi. In questa enorme città orizzontale, impensata imitazione di una Los Angeles senza le sue miserie e i suoi splendori, cova un malessere profondo: che spesso diventa rancore. Certo, molti non sembrano avere rimpianti. Nel Nordest il passato è passato davvero. La nostalgia del "come eravamo" viene liquidata dai più, come "cosa da ricchi"! Soprattutto da parte di chi ricco lo è diventato da poco, ma non si sente ancora tale. Rivelando un´identità incerta, che la raggiunta ricchezza non può assicurare. E che pare comunque messa in discussione dal timore, reale, che "l´età dell´oro" iniziata negli anni Ottanta sia finita; che l´economia di mercato divenuta mondo abbia, troppo presto per chi ha avuto a disposizione solo tre decenni, trovato altrove condizioni più favorevoli per crescere. È dunque il futuro a suscitare timori. L´economia, gli stili di vita, il consumo che si sostituisce alla produzione, e una produzione che rischia di non poter più competere puntando sul costo del lavoro e non sull´innovazione, i vuoti lasciati in un paese di anziani da quel simulacro di stato sociale all´italiana chiamato welfare, richiedono sempre più forza lavoro. E questo significa immigrazione. Per almeno un decennio il Nordest ha fatto finta che questa sorta di schizofrenia sociale non creasse troppi problemi: anche perché avrebbe significato mettere in discussione la stessa natura del capitalismo molecolare. L´imprenditore diffuso è il simbolo del riscatto sociale di una popolazione che nell´arco di mezzo secolo è stata prima contadina, poi operaia, ma anche questo e quello, ovvero "metalmezzadra". Per farsi, in seguito, finalmente "padrone di sé stessa". Il prometeico intraprendere trasforma però, oggi, l´imprenditore da protagonista del mutamento a parte del problema. Continua a produrre ricchezza e a ridistribuirla ma la società locale non riesce più a goderne senza che i costi sociali di questo modello intacchino i benefici. Gli immigrati hanno seguito il lavoro. Concentrandosi non solo nei centri urbani ma anche nei piccoli paesi. La loro disseminazione nel territorio ha scongiurato l´effetto banlieue ma ha reso più uniforme la sensazione di diffidenza. Luoghi da sempre culturalmente omogenei, hanno visto mutare il proprio orizzonte. Lo spazio sociale è diventato oggetto di conflitto etnocomunitario. Nelle campagne non più tali, urbanizzate ma non ancora permeate dalla cultura urbana, abitudini e costumi sono improvvisamente sembrati stravolti. Un mutamento percepito come perdita della comunità locale: reale o immaginaria che fosse dopo gli sconvolgimenti degli ultimi decenni. Quando a seguito della ricchezza è arrivata non solo la manodopera necessaria ma anche la criminalità violenta; ed efferati episodi di cronaca hanno dilatato il malessere per lo stillicidio di reati commessi da irregolari o clandestini, tanto poco "micro" da generare effetti macro, il vaso è parso colmo. Da qui alla xenofobia il passo è stato breve. "Padroni in casa propria!" è il grido salito da pezzi di una società insicura, che si sente minacciata dall´identità altrui, significativamente percepita come più forte della propria. O quel "stranieri siamo noi!" che rivela la sensazione dell´"estraniamento da straniero" che prende forma davanti alla massiccia, e ritenuta "irrispettosa", presenza degli immigrati. Estraniamento sfociato nei, vani, tentativi di ricostituire una "comunità impossibile", non più cementata da legami sociali irreversibilmente spezzati dalla grande trasformazione economica e sociale, ma dalla nuova figura del Nemico costituita dallo straniero. Radicato nel territorio, e perciò "legittimato" a parlare, uno spezzone del ceto politico ha infatti occupato saldamente il mercato della paura, rompendo "tabù linguistici" e rendendo senso comune discorsi prima impronunciabili. Protesta dilatata dall´impossibilità delle politiche pubbliche di governare efficacemente il fenomeno migratorio ma, più in genere, di regolare gli effetti della globalizzazione. La natura delle tensioni sollevate dalla presenza degli immigrati appaiono, dunque, un tipico caso di trasferimento su un capro espiatorio collettivo delle frustrazioni provocate dal sommarsi di altri problemi. Sintetizzabili nella sensazione di sicurezza insicura e del tracollo dei meccanismi di fiducia che agitano la società italiana. Naturalmente questo non significa sottovalutare i difficili problemi connessi all´immigrazione di massa, comuni a tutti i paesi europei. Ma nelle forme emerse nel Nordest, il fenomeno è non solo spia della crisi della politica ma anche del
precario stato di salute del capitale sociale del paese: ovvero di quell´orizzonte di valori condiviso che facilita la cooperazione tra i cittadini in nome di obiettivi comuni e lo stesso funzionamento delle istituzioni. Capitale che urge ricostituire.


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MessaggioInviato: 15 dic 2007, 13:45 
Lavoratore a nero

Iscritto il: 10 lug 2007, 07:17
Messaggi: 130
Località: roma
credo sia ora di smetterla di porsi psicologicamente, emotivamente, culturalmente sulla difensiva di fronte ai lucidi deliri razisti.

Ritengo indispensabile iniziare una serie di azioni capillari (di G2, di Associna, di GMI, assieme ad associazioni come l'ARCI, a ruppi localim, ecc.) ma non episodiche, bensì "a rete", per ATTACCARE i capisaldi concettuali del nuovo razzismo, in particolare quello "padanista" e "neoceltico" leghista, che ispura una sistematica campagna di costruzione di nuovi apartheid in Italia, specie (ma non solo) del Nord.

I terreni su cui agire sono a mio parere 5:
1) smontare la falsificazione sulle "identità" care ai razzisti: la "padania", il "celtismo", l'"identità bianca e cristiana d'Europa", sul piano stoico, culturale, scientifico, anche in forme capaci di deridere quei deliri e spezzare così il mito della "superiorità" di chi li diffonde;
2) favorire la presa di coscienza sull'inesistenza di "identità pure" e sul fatto che quel che crediamo sia "nostro" culturalmene ed identitariamente in realtà deriva lagamente da apporti "stranieri" (perfino in simboli aotati dai razzisti!), per arrivare a superare i muri fra "noi" e gli "altri";
3) favorire la conoscenza storica degli orrori coloniali italiani e dei sistemi di genocidio e rapina praticatio dal'Occidente dal tempo di Giulio Cesare a quelli di Hitler, per riflettere sulle cause e sulle strategie di censura che hanno mitizzato il ruolo occidentale (e gli "Italiani brava gente");
4) valorizzare le culture locali vere (non quelle "contenitore" come la falsa "padanicità") in termini gastronomici, musicali, artistici, linguistici, ecc., non come "microculture chiuse", ma al contrario sottolineando i loro legami con culture di altre aree geografiche (mediterranee, balcaniche, iberiche, franco-germaniche, slave, ecc.) a riprova del punto 2;
5) valorizzare le similitudini non solo fra le esperienze attuali di immigrazione (e seconde generazioni) dall'estero in Italia e quelle di emigrazione italiana all'estero, ma anche fra le prime e quelle di migrazione interna in Italia.


Le forme con cui agire sono tante, ma vanno raccordate a rete, con una circuitazione di progetti, documenti, proposte, valutazioni, ecc.:
- mostre, produzione di video, produzione di testi scritti (schede, depliants, articoli, opuscoli, ecc.) e scritto-grafici (fumetti, vinette satiriche, posters), spetacoli, performances, ec.;
- ricerche-azione nella scuola e nel territorio, con il coinvolgimento anche di categorie economiche (ristoratori, pasticceri, artigiani, commercianti, operatori della moda, ecc.);
- dibattiti, seminari corsi, conferenze;
- carnevali, feste, rassegne, concorsi, tornei di gioco, ecc..

Ripeto, l'importante é passare dalla DIFESA all'ATTACCO.

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