Lo sport negato agli "under 10" quando l'immigrato è fuori gioco
Per i ragazzi stranieri che vivono in Italia è praticamente impossibile fare attività agonistica: l'associazione "Rete G2- Seconde Generazione" prova a trovare con il Coni una soluzione al problema
di STEFANO SCACCHI
MILANO - Ci sono ragazzi stranieri che vivono in Italia, ma faticano a fare una delle cose più belle soprattutto quando si è piccoli: praticare sport a livello amatoriale e agonistico insieme ai propri coetanei che hanno la cittadinanza del nostro Paese. E non si tratta dei professionisti, fermati dalle norme che limitano l'afflusso di extracomunitari nelle formazioni dei club di vertice. Il problema riguarda bambini e giovani che chiedono solo di potersi iscrivere senza troppi ostacoli alla squadra del quartiere o alla società sportiva più vicina a casa.
Per questo motivo, la "Rete G2 - Seconde Generazioni", associazione che riunisce i figli di immigrati e rifugiati politici cresciuti in Italia, ha lanciato una proposta che, una volta definita con precisione, sarà girata al Coni e alle Federazioni sportive: permettere ai ragazzi, arrivati nel nostro Paese a meno di 10 anni, di tesserarsi a società o associazioni sportive seguendo le stesse procedure di un giovane italiano. Ne ha parlato una rappresentante della Rete G2, l'italo-palestinese Noura Tafeche, ai recenti Stati Generali dello Sport che si sono tenuti a Milano presso la Fabbrica del Vapore.
In questa giornata, organizzata proprio per stimolare un confronto sulle esigenze dell'attività sportiva di base, Noura ha parlato della sua idea che è stata recepita nella sintesi finale della giornata alla quale ha partecipato l'Assessore allo Sport di Palazzo Marino, Chiara Bisconti. Nei prossimi giorni la bozza sarà limata e diventerà un documento ufficiale (la Rete G2 sta anche cercando di fare il possibile per organizzare un secondo derby tra ragazzi di seconde generazioni con maglie di Inter e Milan a San Siro, bissando la partita disputata nei mesi scorsi). Questa riforma permetterebbe a tanti ragazzi di liberarsi dal piccolo grande incubo di dover rinunciare per qualche mese o anno alla propria attività sportiva. Le norme di alcune federazione impongono ai giovani stranieri di presentare una documentazione supplementare per fare sport a livello agonistico: talvolta servono certificati da richiedere al Paese d'origine dei genitori. Immaginabili le lentezze burocratiche per avere un'autorizzazione dall'altra parte del mondo, in Africa o Sud America.
La situazione attuale rappresenta giù un passo avanti rispetto a quanto accadeva fino a metà dello scorso decennio, quando i ragazzi dovevano aspettare due anni dopo il loro arrivo in Italia per potersi iscrivere a una squadra sportiva in molte federazione. Alcuni rappresentanti del Coni fanno notare che adesso le cose vanno molto meglio e il problema in realtà riguarderebbe solo poche federazioni. Mentre i dirigenti di alcune discipline, ad esempio la pallanuoto, iniziano a favorire l'inserimento degli extracomunitari minorenni residenti in Italia nelle formazioni dei massimi campionati.
Le norme di contrasto sono nate per limitare la tratta di giovanissimi talenti da parte dei club professionistici per esigenze di tutela della dignità umana (facile che questi ragazzi si perdano se non riescono a sfondare) e dello sviluppo di atleti italiani. Ma queste prescrizioni regolamentari finiscono per danneggiare ragazzi che vogliono semplicemente praticare il loro sport, allenandosi e gareggiando con i coetanei italiani. In questo modo si rischia di depotenziare uno degli strumenti più formidabili di integrazione: lo sport. Le cronache recenti hanno raccontato dei casi di Balotelli, Okaka od Ogbonna, costretti ad aspettare il 18° anno di età per acquistare la cittadinanza e giocane in Nazionale. Oppure del caso di giovani atleti stranieri, residenti in Italia, che gareggiano nei campionati di atletica ma non possono essere premiati se arrivano tra i primi tre perché non hanno la nostra nazionalità. Questa è la punta di un iceberg più diffuso. Due ministre del governo Letta, Cecile Kyenge e Josefa Idem, hanno fatto proposte molto interessanti per fare un passo avanti: l'introduzione dello ius soli (sebbene temperato da alcune contromisure come accade in quasi tutt'Europa quando è previsto) e la concessione della cittadinanza per meriti sportivi.
L'idea della Rete G2 si inserisce in questo dibattito: un nuovo tesseramento che aiuterebbe tanti bambini arrivati in Italia in un'età che rende insospettabile la ricerca del campione in erba. Una cittadinanza sportiva a tutti gli effetti che permetterebbe di attendere con minore impazienza quella vera. E sarebbe un bellissimo antidoto alla malinconia, più facile da dimenticare dopo un gol segnato con la maglietta della squadra del quartiere.
24 giugno 2013
http://www.repubblica.it/rubriche/la-st ... -61762322/