"abito in italia da quasi 9 anni e voglio dire che ci sono stati TANTI MOMENTI in cui mi sono sentito proprio diverso dai miei amici......e il bello è che sono proprio loro a farti sentire diverso. e li nn ci puoi fare niente......"
Invece no. Secondo me è proprio qui che
possiamo fare qualcosa.
Una cosa comune a molti figli di immigrati è lo sforzo costante e quasi disperato di voler dimostrare di essere come gli altri italiani, per lo meno quando siamo in mezzo a loro. Ciò si manifesta nel parlare, usando le stesse parole anche se dentro di noi sappiamo di non gradirle (ad esempio perchè sappiamo che nella cultura dei nostri genitori certe parole sono tabù); si manifesta nel vestire, nei gusti musicali, negli sport praticati e seguiti, ecc.
Però tutto questo è uni-direzionale. Noi stiamo facendo di tutto per smettere di essere quello che siamo fra le mura di casa, per diventare qualcos'altro fuori di casa.
Io mi chiedo, ma questo in un certo senso non sta esonerando i nostri amici/compagni italiani da un cambiamento che
anche loro devono affrontare? Non devono anche loro sapere che in urdu certe parole non si dicono e perchè non si dicono? Non devono sapere perchè i musulmani non mangiano carne di maiale e perchè gli induisti non mangiano carne di mucca? Non devono anche loro sentire e forse apprezzare la musica sufi, i ghazal, i raga come noi sentiamo e apprezziamo Guccini, De Andrè, Vasco Rossi (io questo no!
) o il heavy metal?
Un nazi-leghista a questo punto obietterebbe: "Siete voi che siete venuti qui, siete voi che dovete integrarvi e non noi", ed io sarei anche un po' d'accordo. Noi dobbiamo "integrarci", e lo stiamo facendo. Ma noi non siamo solo braccia, siamo anche testa, siamo anche intelligenza, cultura, tradizioni, gusti, emozioni, sentimenti.
Una lingua si traduce in un'altra con tecniche di conversione logica e grammaticale. Ma quando traduciamo una parola lo facciamo in due direzioni, ed alla fine il risultato che otteniamo sono parole e concetti nuovi per le stesse parole di partenza, perchè nel risalire ai rispettivi significati esse si sono modificate e probabilmente reciprocamente "contaminate".
Nella sostanza ciò che voglio dire è che i nostri amici italiani autoctoni hanno il diritto/dovere di interessarsi della nostra storia proprio come noi ci interessiamo della loro (che poi è anche la nostra...), e noi, noi figli di immigrati, figli dell'immigrazione, dobbiamo avere il diritto/dovere di raccontarci e di raccontare le nostre storie, o quelle dei nostri genitori.
Quando la diversità umana sarà riconosciuta da sempre più persone come una ricchezza, "sentirsi diversi" non sarà più un problema e non ci sarà più bisogno di additare l'altro come diverso.