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MessaggioInviato: 23 nov 2009, 18:52 
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IMMIGRAZIONE - LE SCUOLE MULTIETNICHE
Nessun italiano nella classe dei piccoli sikh
Luzzara, i genitori vogliono i corsi separati “Ma i bambini chiedono di stare insieme”
L’esperimento nell’Emilia di centrosinistra


LA PREOCCUPAZIONE - «Con oltre il 40% di immigrati le classi vanno in tilt»
LA SETTIMANA - Corsi differenziati di lingua italiana, il resto è in comune

ISTITUTI MODELLO: Roma, «Di Donato» - All’Esquilino, uno dei quartieri più multietnici di
Roma, i genitori d’accordo con il preside hanno organizzato negli ultimi anni corsi diversi, dalla danza classica alla Capoeira brasiliana, dal calcio agli sport «stranieri» come il cricket, per far dialogare concretamente le culture. L’integrazione pare essere riuscita, trasformando la scuola in un modello. Il lavoro comune dei figli riesce a unire anche le famiglie, al di fuori della scuola.

Padova, «Giovanni XXIII» - La scuola elementare sorge vicino a via Anelli, la zona di Padova
famosa per il «muro» chiesto dai residenti italiani intorno alle residenze, poi sgomberate, di decine di famiglie di stranieri. Nelle classi la percentuale degli stranieri è intorno al 50%. Ma i comitati spontanei dei genitori insieme agli insegnanti hanno sviluppato esperimenti, laboratori, lavori per facilitare l’integrazione. E l’esperienza ha funzionato.

BRUNO VENTAVOLI - INVIATO A LUZZARA (Reggio Emilia)
IMMIGRAZIONE - LE SCUOLE MULTIETNICHE
Nessun italiano nella classe dei piccoli sikh


Luzzara, i genitori vogliono i corsi separati “Ma i bambini chiedono di stare insieme”
L’esperimento nell’Emilia di centrosinistra

Se non fosse per quella pianura che s’imbeve di nebbia, la scuola colorata potrebbe stare in India. Tutti i bambini di 3-4 anni sono sikh. In mezzo c’è una maestra biondissima, che spiega cos’è il sole, il verde, e magari anche la gioia, quel calore che ci si sente dentro quando ridi, e che ha tante lingue per dirla. Nella classe vicina, accanto ad altri stranieri, si torna ai più abituali Paolo, Maria, Antonio. Siamo in un asilo per l’infanzia, a Luzzara (Reggio Emilia), dove gli scolaretti reggiani sono in netta minoranza. Quattordici su ventinove. E proprio per questo sono finiti in una classe a parte su richiesta specifica dei genitori smarriti,
minoranza. Come in un apartheid all’incontrario. Poi si sono infuriati gli stranieri, e hanno organizzato una manifestazione davanti ai cancelli, con uno sciopero della frequenza scolastica durata una settimana, perché si sono sentiti loro i diversi, gli esclusi. Ma in questa zona d’antica civiltà, governata da sempre dal centrosinistra (anche se incalza la Lega), stona parlare di muri etnici. Siamo semplicemente in un avamposto, un esperimento vivente della nuova Italia che muta. E che cerca di affrontare pragmaticamente l’aumento
esponenziale degli scolari extracomunitari.
«Gli italiani mi hanno chiesto di mettere i figli tutti insieme in una classe altrimenti li avrebbero spostati in un asilo privato. Non avevo scelta. Dovevo garantire i loro diritti, quelli degli stranieri, e la qualità dell’insegnamento». Spiega Roberto Ferrari, dirigente scolastico, quasi quattro decenni di esperienza. Ma ora nessuno teme più razzismi. Padri col turbante, mamme con sari colorati, cinesi, vengono a prelevare i figli a mezzogiorno (non li lasciano alla mensa perché preferiscono risparmiare sul ticket) e non dicono che bene.
«Ottime maestre». «Bella scuola». «Bambini contenti». Lo stesso pensano la famiglie italiane, che prelevano i pargoletti qualche ora dopo.
Il paventato «ghetto», visto da vicino, è solo parziale, fittizio. L’italiano si studia separatamente qualche ora, per colmare le lacune. Ma quando c’è da giocare, cantare, disegnare, i bambini si mescolano. Assurdo sarebbe insegnare a impiastricciare i colori sulla carta e poi separarli sulla pelle. Ma insensato sarebbe anche non prevedere binari parzialmente diversi per l’insegnamento primario. I figli degli immigrati, pur essendo
nati quasi tutti in Italia, hanno una conoscenza quasi nulla della lingua. Persino i cartoni, continuano a guardarli, con la parabola, nella lingua degli avi.
«Con un 10% di stranieri in classe tutto funziona. Al 20% i problemi si contengono. Oltre il 40% si rischia la crisi, la paralisi del sistema. A pochi chilometri da qui in una scuola si è all’80%». Continua Ferrari. Cita dati, sfoglia tabelle con i test degli allievi. E spiega che ormai questa situazione è sempre più diffusa nel nostro Paese. Nelle grandi città le percentuali si diluiscono, ma nei piccoli centri della provincia operosa, come Luzzara che pullula di industrie e di stalle per il parmigiano, i figli di stranieri sono in netta maggioranza, con il loro bagaglio di cultura, di tradizione, con la loro babele di lingue. A Luzzara, un po’ separati e un po’ uniti, si studia a stare insieme. E’ uno dei tanti laboratori sul campo, dove s’inventano protocolli provando, sparigliando come nello scopone, guardando alla realtà con l’occhio sghembo di Zavattini che da queste parti c’era nato. Insieme i piccoli imparano a giocare, a parlarsi in una lingua comune, a riconoscere gli odori dell’altro («un bambino proveniente dal Pakistan - ricorda una maestra - diceva che gli italiani sapevano di morte perché non avevano odori, mentre gli oli, le essenze che usano le sue compagne sono forti e inusuali»), a chiamarsi per nome, a capire come funziona il Paese nel quale cresceranno entrambi («nelle scuole elementari è fondamentale l’insegnamento dell’educazione civica,
della costituzione italiana», continua Ferrari). Dal risultato di esperimenti come questo dipende il futuro del nostro Paese multietnico. Lo sanno bene le maestre. Vedendo il loro fervore, persino Brunetta si placherebbe. Sono arrivate dall’università studiando Propp o Rodari. Si trovano in una scuola che rischia di sbandare e certe volte non sanno nemmeno come si legge correttamente il nome dei loro allievi. Chiedono formazione, docenti di sostegno, mediatori, idee, per l’insegnamento che ormai è multiculturale. Non si lamentano, e vanno avanti, colorando fogli e inventando filastrocche, e nemmeno troppo pagate. «Martiri no, ma in trincea sì. E se nessuno interviene rischiamo di perdere molti bambini promettenti».

3 domande a Vinicio Ongini
«Chi è nato qui non va trattato da straniero»

Vinicio Ongini lavora presso l’Ufficio integrazione del Ministero dell’Istruzione. Ha inventato le biblioteche multiculturali e pubblicato con Claudia Nosenghi il libro «Una classe a colori» (Edito da Vallardi), un «manuale per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri.
Senza accorgercene siamo diventati un Paese multiculturale? «Quest’anno scolastico abbiamo 700 mila alunni di origine straniera. Provengono da 180 paesi e parlano un
centinaio di lingue diverse. C’è il mondo intero seduto sui banchi di scuola. In altri paesi come Francia e Inghilterra, la situazione è identica. Ma noi ci siamo arrivati troppo in fretta rispetto agli altri». Qual è la percentuale degli stranieri nelle scuole? «In 15 mila scuole su 58000 la percentuale degli stranieri supera il 10%, in 500 il 50%». E dalle percentuali nasce il disagio. «Le classi composite creano ansie, timori, allarmi. Negli genitori italiani. Ma anche in quelli immigrati, che magari vorrebbero una scuola diversa e più severa. C’è una psicosi diffusa dell’invasione. E non ha senso che i politici parlino di “ponti” o di “tetti” astratti, per ridurre il presunto impatto negativo degli stranieri». Ci sono differenze nella galassia «alunni stranieri». «La differenza fondamentale, soprattutto nelle elementari, è tra i ragazzini nati in Italia, gli stranieri di seconda generazione, che sono la maggioranza, e chi è appena arrivato dai Paesi d’origine. I primi padroneggiano quasi perfettamente la nostra lingua, inserendosi senza problemi nelle scuole, conseguendo anche ottimi risultati». È ottimista, nonostante tutto? «A Luzzara, come a Torino, o in decine di altri paesi, la scuola a colori s’è dimostrata laboratorio di buona integrazione e nuova cittadinanza. Ma l’integrazione è una strada tutta in salita, faticosa. Non abbiamo formule magiche, ma non ci servono nemmeno astratte parole d’ordine».


Fonte: La Stampa 22-11-09 p. 9 (1 di 3)
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplr ... zione=News

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