Vedi Paula, sul piano formale per quanto concerne il discorso della nascita sul suolo italiano ho ben compreso che è chiaro e pacifico che se sei nato in Italia non puoi che essere
figlio di immigrati e non
migrante, poichè non si è compiuto nessun processo migratorio... Faccio tuttavia fatica a comprendere la sottigliezza che sta alla base dei ricongiungimenti famigliari. Se un bambino è nato per esempio in Perù (cito un Paese a caso, non me ne vogliano i peruviani) e poi grazie al ricongiungimento famigliare questo bambino vive in Italia, si sottende che è immigrato: ossia ha lasciato il proprio paese per abitare e vivere in un altro. Che poi ci sia o meno un progetto migratorio voluto dallo stesso bambino, francemente non vedo come possa fare la differenza. Da un punto di vista formale, è un immigrato. E' un
immigrato di seconda generazione, posto che la prima generazione è attribuibile ai genitori.
Forse il problema che si sottende alle vostre battaglie politiche, non è tanto per la disquisizione di essere chiamati erroneamente "immigrati di seconda generazione" quanto più il fatto che in Italia purtroppo non siamo ancora predisposti ad accettare il multiculturalismo. La diversità spaventa e molto; spesso durante l'approccio di conoscenza con l'Altro ci si ferma troppo all'estetica di una persona senza scendere in profondità. Ecco quindi la necessità di mettere i paletti e di affermare che un conto è essere "immigrato" e un conto è essere "figlio di immigrato", come a sottolineare che il bambino non è peruviano ma di origine peruviana.
Citando Levy-Strauss, è sempre più noto come specialmente in Italia vengano impiegate ciclicamente due strategie alternative ma anche tra loro talvolta complementari. La prima è
antropofagica: cioè annullare gli stranieri divorandoli per poi metabolizzarli rendendoli una copia perfetta di sè stessi. Questa è la strategia dell'
assimilazione: rendere simile il dissimile; soffocare le distinzioni culturali o linguistiche ed è molto visibile per esempio nelle campagne cattoliche vs le altre religioni; ...la seconda strategia è
antropoemica: cioè espellere gli stranieri, esiliare dai limiti del mondo ordinato e impedire loro ogni comunicazione con chi sta dentro. Questa è la strategia dell'
esclusione: confinare gli stranieri all'interno delle mura ben visibili del ghetto o dietro gli invisibili ma non meno tangibili, divieti di condivisione. Questa strategia è assai visibile all'interno delle politiche estremiste, come per esempio della Lega Nord.
Nessuno, però, forse ha ancora capito che la fobia della eterogeneità e il piacere per la promiscuità combattono una battaglia che non può avere vincitori. Giddens dice che si pensa all'identità quando non si è sicuri della propria appartenenza; e cioè quando non si sa come inserirsi nell'evidente varietà di stili e moduli comportamentali, e come assicurarsi che le persone intorno accettino questo posizionamento come giusto e appropriato, in modo che da entrambe le parti sappiano come andare avanti l'una in presenza dell'altra. Identità è il nome dato al tentativo di sfuggire a questa incertezza.
Vi lancio una provocazione: non è che cosi facendo c'è il rischio di voler (forse, inconsciamente) rinnegare le vostre origini, cioè di voler sottolineare che la migrazione è qualcosa di distante da voi e che non vi appartiene più ma è solo ascrivibile ai vostri genitori?
Ne parlavo giusto l'altro giorno con una mia carissima amica che ogni volta ci tiene a sottolineare che lei non è "terrona" perchè i suoi genitori sono siciliani ma lei è rigorosamente nata al nord, a Milano. E io ogni volta le sorrido dicendo che francamente non capisco qual è il problema... Come se essere figlia di siciliani implichi automaticamente essere terrona, mafiosa o chissà quale altra caratteristica dispregiativa. La verità è che lei stessa rinnega ai suoi occhi le sue origini sottolineando e marcando il fatto di essere nata a Milano e quindi di aver cancellato ogni qualsiasi traccia di sicilianità.
Infine, il punto cardine della vostra battaglia, per quel poco che ho capito, si gioca essenzialmente sul "pezzo di carta" cioè sul fatto di avere o non avere la cittadinanza e/o la nazionalità italiana, e non tanto sul fatto che la gente vi chiami immigrati o figli di immigrati.
Quello che è sempre più chiaro è che al giorno d'oggi ci sono due tensioni dicotomiche, entrambe generata dalla globalizzazione: da un lato il voler mantenere salda la propria identità culturale e dall'altra il voler cancellare le differenze, le proprie radici culturali in nome di un finto multiculturalismo egualitario...come se il diverso non è più bello ma implichi necessariamente una vergogna da estirpare.
Disponibile a un didattito, Giò