Forum della Rete G2 – Seconde Generazioni

Oggi è 21 nov 2024, 21:31

Tutti gli orari sono UTC + 1 ora [ ora legale ]




Apri un nuovo argomento Rispondi all’argomento  [ 24 messaggi ]  Vai alla pagina Precedente  1, 2
Autore Messaggio
MessaggioInviato: 23 gen 2008, 03:36 
G2 con doppia cittadinanza

Iscritto il: 01 lug 2006, 21:34
Messaggi: 873
Località: Roma
Allora mi permetto di dire la mia visto che anch'io sono studente ho fatto esami di sociologia e antropologia e che le tue domande hanno una impostazione marcatamente accademica.

Vorrei partire innanzitutto dalla definizione di immigrazione, dal termine e dal fenomeno.
Questo è ciò che dice wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Immigrazione
come vedi la definizione è si quella che tu hai dato, ma tra le cause non si trova quella che corrisponde alla condizione della maggior parte di noi figli di immigrati, ovvero una migrazione volontaria. Questa parola è un termine che definisce un fenomeno e noi non ci riconosciamo in questo fenomeno ma che alla fine come dici te sono quisquiglie prese dal piano di vista puramente gnoseologico. Però perchè insistiamo su tale punto, perchè G2 è innanzitutto una organizzazione politica(non partitica) nata per delle esigenze, direi impellenti, e con scopi politici e tra questi uno è il riformare l'immaginario collettivo italiano sulla realtà delle seconde generazioni, dei "nuovi"(fuck this parola) italiani, degli italiani. Per fare ciò, dato che studi quello che studi e lo si vede proprio dalle nozioni che hai citato e che quindi capirai, il linguaggio è importante, quindi fondamentalmente noi abbiamo selezionato(?) il nostro linguaggio e lo stiamo adoperando per raggiungere degli obiettivi. Lo abbiamo fatto anche e molto perchè come si fa nella realtà di studio italiana, troppe persone(aggiungerei scimmie, scusatemi) si permettono di affibiarci etichette erronee trattandoci come cavie da studio; il nostro linguaggio, la terminologia è una risposta a ciò e serve a far capire che non siamo cavie, siamo una voce parlante, più forte e più autorevolmente informata di loro (ce credo, trattasi del nostro vissuto). Da qui potrai anche capire le risposte un pò acidine che ti sono pervenute, figurati non c'è cattiveria, ma aggiungerei anche che non sei la prima che passa di qui, che studia quello che studi tu, che fa domande del genere, vuole scrivere una tesi del genere etc... e per questo l'invito a leggerti il forum, tutto o quasi di quello che hai chiesto lo trovi già esistente.

Cita:
Vi lancio una provocazione: non è che cosi facendo c'è il rischio di voler (forse, inconsciamente) rinnegare le vostre origini, cioè di voler sottolineare che la migrazione è qualcosa di distante da voi e che non vi appartiene più ma è solo ascrivibile ai vostri genitori?


a questo ti ha risposto pipit ancor prima della formulazione della domanda :D

Cita:
Si può essere italiani a tutti gli effetti (sia culturalmente che legalmente) e essere figli di immigrati. L'attenzione che poniamo nella definizione di "seconde generazioni" non mira a distanziarci dagli immigrati (cioè i nostri genitori) o dall'immirgazione in generale, ma è necessaria per essere considerati dei pari rispetto ai nostri coetanei figli di italiani, con i quali condividiamo sogni e speranze e rispetto ai quali vorremmo avere gli stessi diritti, primo fra tutti quello alla cittadinanza.


ancora una volta, l'obiettivo.

Cita:
Infine, il punto cardine della vostra battaglia, per quel poco che ho capito, si gioca essenzialmente sul "pezzo di carta" cioè sul fatto di avere o non avere la cittadinanza e/o la nazionalità italiana, e non tanto sul fatto che la gente vi chiami immigrati o figli di immigrati.


Bè per ottenere quel pezzo di carta (leggiti il forum, e da li capirai le ATROCI, SCHIFOSISSIME, PORCHISSIME avversità che dobbiamo affrontare) stiamo lavorando sul fronte politico (la riforma dell'accesso per la cittadinanza) ed anche sul e partendo dal fronte dell'immaginario collettivo, da qui la fondamentale importanza del linguaggio.

scusa la prolissità e la rindondanza, a volte ripetere serve :lol:

in definitiva nn è che siamo particolarmente attaccati a nessuna definizione, anzi vorremmo vivere tutti in pace esser considerati degli eguali e non stare a scartabellarci il back per questi problemi, ma la realtà non ce lo permette, anzi ci rende la vita avversa, da qui la necessità di ciò.

ah, un'altra cosa, ma è un capriccio personale, non usare più la parola multiculturalismo, è veramente una schifezza XP ahuauhaauhua no perchè come come qualcuno diceva (memoria schifosa) il primo passo per parlare del multiculturalismo è delimitare per forza le altre culture, ovvero creare la separazione, è il rovescio della stessa medaglia e come direbbe un freakkettone attempato tutto il mondo è paese (forse nn l'avrebbe detto il freakkettone, mah...) quindi l'importante è starci, lasciamo le troppe definizioni (un pochino ce vole) ai tuttologi citati da ahimsa.

vabbè me sto zitto.

ah, buona tesi cmq ^^

_________________
Cinese fasullo


Top
 Profilo  
 
MessaggioInviato: 23 gen 2008, 13:15 
Extra terrona
Avatar utente

Iscritto il: 03 lug 2006, 13:44
Messaggi: 3014
Località: roma
Sinceramente Giò, nella volontarietà e consapevolezza di un atto c'è tutto un mondo. te lo dice chi non solo ha vissuto 'ste cose sulla pelle ma che ha anche letto, studiato, fatto analisi, confontato più testi e più contesti. mi sembra un po' strano che questa idea non sia emersa nel momento in cui hai messo in piedi una ricerca sulle seconde generazioni, a meno che il tuo sia solo un ragionamento su quello che più fonti accademiche dicono, a parte il capitolo sulle storie di seconde generazioni (che a questo punto potremmo chiedere in base a cosa le hai selezionate, quali i criteri e cosa dicono, potrebbero essere un contributo anche all'analisi della rete G2). credo che lo studio e quello che gli studiosi dicono può evolvere (o almeno dovrebbe essere così) nel contatto con la realtà che si evolve. Così come anche l'analisi dovrebbe evolversi, così come gli strumenti. O no?

Mi sembra poi che tutti noi che ti abbiamo risposto siamo stati chiari nel dirti che non ci vergognamo delle nostre origini. Tan'è che ci chiamamo "figli di immigati". Sarebbe un po' ridicolo chiamarci così e vergognarcene allo stesso tempo. No?

In forma provocatoria e spostando anche l'asse di discorso su un altra realtà storica e sociale profondamente diversa da quella italiana e da quello di cui abbiamo parlato ma che può farci pensare e quindi lo rivolgo non solo a Giò ma lo butto lì così: gli africani portati come schiavi nelle Americhe vanno considerati degli emigranti? Anche loro sarebbero immigrati? In genere l'immigrato è colui che emigra volontariamente per modificare e migliorare le condizioni di vita proprie e della propria famiglia. mi sembra che questo non sia il caso degli schiavi. non so cosa dicono gli studiosi a riguardo e mi riprometto di riparlarne con gli amici statunitensi in particolare, con gli accademici così come con intellettuali afroamericani e con "semplici" cittadini discendenti del periodo dello schiavismo che pure molto avrenno da dire a riguardo. A naso mi verrebbe da dire che non si consederavano degli emigranti.


Top
 Profilo  
 
MessaggioInviato: 23 gen 2008, 15:36 
G2 con doppia cittadinanza
Avatar utente

Iscritto il: 28 giu 2007, 22:16
Messaggi: 1848
Località: provincia di Perugia
Mi viene da pensare ri-esprimere ciò che ho espresso all'inizio di questo dibattito.
Cioè, hai scelto questa (interessante, sicuramente) tematica da portare come tesi.
Hai divorato libri e libri, Da Giddens a Levy Strauss, definizioni su definizioni, tutte belle, autorevoli, illuminanti.
Ed una volta preparata questa gabbia culturale sei arrivata qua, ad applicare questa "gabbia" all'oggetto della tua analisi.

Ancora una volta non è con arroganza che lo dico, ma l'impostazione della ricerca non andrebbe rovesciata?

Ps: criticare, ma per costruire

_________________
Essere umano in divenire


Top
 Profilo  
 
MessaggioInviato: 23 gen 2008, 16:24 
Clandestino

Iscritto il: 22 gen 2008, 14:27
Messaggi: 7
Oggi riflettevo sul perchè la mie nozioni (prettamente accademiche) si scontrano fortemente con le vostre...
E ciò è dovuto perchè:
- io non sono figlia di immigrati e non riesco a immaginare quella che può essere la vostra battaglia. Io non devo lottare per il "pezzo di carta" e francamente non mi ero mai posta il problema di cosa volesse dire avere la "cittadinanza italiana". Era quasi un'ovvietà per me... Come dire che il cielo è blu e il prato è verde :(
- il fatto di aver divorato libri sul tema, effettivamente ha creato in me una sorta di schema (poi potremmo pure dire gabbia, forse il concetto è pressocchè simile :) ) e non riesco a non pensare ad esso. A volte non riesco a non ragionare quasi in maniera dicotomica: sei nato qui, bene allora sei figlio di immigrato. Non sei nato qui, bene allora sei immigrato... E questo, forse, è l'errore che spesso commettono i burocrati o la maggior parte di noi.
- i libri, che sono la base del 95% dei corsi di antropologia sociale e sociologia delle relazioni etniche e che quindi trattano nello specifico di migrazioni e mobilità territoriale oppure dell'immigrazione straniera in Italia, sono scritti da studiosi che non sono nè immigrati e nè figli di immigrati.
Allo stesso modo, io mi trovo a scrivere una tesi su un argomento per me interessante e affascinante ma che non ho vissuto direttamente sulla mia pelle. Durante l'anno di servizio civile per esempio mi sono spesso relazionata con famiglie immigrate e con i loro figli, ma essendo essi bambini di età minore di 10 anni con buona probabilità non avevano ancora avuto modo di rielaborare l’esperienza migratoria e quindi le mie nozioni accademiche si rispecchiavano perfettamente in loro.
Il vero shock (mi si passi il termine) me lo avete dato voi! Io sono giunta su questo sito/forum credendo di parlare con figli di immigrati, punto e basta. Poi invece mi avete aperto la porta su problematiche e su un mondo a me sconosciuto.

Ora più che rovesciare e stravolgere la mia tesi, la cosa più sensata da fare è scrivere un bel capitolo aggiuntivo sulle seconde generazioni e su quanto voi andate affermando al fine di integrare le teorie esistenti che, nolenti o volenti, formano la base stessa della conoscenza accademica. Come a dire... Gli studiosi dicono A, però esistono anche un gruppo di ragazzi che sostengono B. Non so se sono riuscita a esplicitare il mio pensiero. Spero di si :oops:


Top
 Profilo  
 
MessaggioInviato: 23 gen 2008, 16:40 
Lavoratore a nero

Iscritto il: 10 lug 2007, 07:17
Messaggi: 130
Località: roma
essendo antropologo, impegnato su questi terreni da tempo (e su Forum come questo ed ASSOCINA), mi permetto di intervenire e vorrei farlo proprio a partire da Giddens che giò cita.

Giddens sottolinea (1991) che l'intera vita di ciascun individuo é una totalità di "passaggi" (lui esemplifica con: lasciare la casa paterna, cercare un lavoro, fronteggiare l'eventuale inoccupazione, dare inizio ad una relazione sentimentale, fare fronte alla malattia,ecc.) .
Per cui il processo di "identificazione" é correlato con quel che Giddens definisce "costruirsi una biografia", cioé "appropriarsi del proprio passato e tessere la trama della propria apertura verso il futuro". Ed é sempre un processo di riflessione (auto-osservazione) sul senso delle proprie esperienze di vita alla luce dei parametri che il contesto storico-culturale fornisce.

In questo senso, la migrazione credo sia un "passaggio" essenziale, ma del tutto diversa a seconda di come, perché e a quale età la si compie ed hanno ragione Ahimsa ed altri (hanno ragione perfino sulla base di Giddens...) che le categorizzazioni teoriche sono vuote e prive di veridicità, per cui parlare di "migranti" (o peggio di "immigrati", che non é la stessa cosa...) in senso generico e volerci far stare dentro tante realtà diverse, invece che afidarsi alla AUTORAPPESENTAZIONE che i soggetti stessi danno é a mio parere errato.

Già non é giusto mettere assieme fra chi ha "scelto" di migrare i profughi, gli esuli, i rifugiati, chi fugge le guerre e le carestie, chi migra per migliorare la sua condizione, chi lo fa per ricongiungersi con familiari, chi lo fa per commercio, chi lo fa per studio e ricerca, ecc.; tantomeno si possono mettere nella stessa categoria "migranti" adulti, loro figli portati in emigrazione prima o dopo la scolarizzazione, figli nati già in emigrazione, ecc. .

Le generalizzazioni (o come le hiama giustamente cino, le "etichette") servono solo a nascondere la complessità (che piace tanto anche a Giddens...), a banalizzare, a classificare per nascondere diferenze vere e similitudini ere, a prefabbricare un "NOI" ed un "ALTRI".

Del resto, come giò stessa nota, problemi "identitari" ci sono anche per i "migranti interni" (es.: Siciliani nel Nord, Ciociari e Sardi a Roma) ma la cultura italiana (e peggio ancora quella assimilazionista francese) preferisce non notare le similitudini con le questioni che riguardano i migranti stranieri, peché così facendo spezzerebbe la censura sull'"altro che c'é in noi" e sugli intrecci di apporti storicamente determinatisi fra culture ritenute erroneamente "fisse" e "autonome" (le realtà storico-culturali che spezzano gli stereotipi sulla "identità italiana" e magari "cristiana" che sarebbe "minacciata" dagli "immigrati"...).

Quindi, per non essere troppo lungo, l'unica definizione e categorizzazione possibile (naturalmente essa stessa mutevole nel tempo e nello spazio) é l'AUTODEFINIZIONE (anche se sappiamo benissimo che anch'essa non é "veritiera" ed "oggettiva" ma necessariamente tattica e può essere perfino opportunistica) e se si vuole studiare le "seconde generazioni" occorre partire DA ESSA, cioé da quel che LORO decidono di dirsi.

Resta invece un altro problema delicatissimo, che vale per migranti e non-migranti: il ruolo di singole persone o gruppi che, auto-presentandosi come "leaders" o "avanguardie" di comunità e categorie si danno DA SOLI il diritto di autodefinire per tutti coloro che DICONO di rappresentare (come, perché, in che modo, in base a che?) le categorie socialie le loro rivendicazioni e priorità (es.: citadinanza, diritto alla casa, diritto al voto, diritto alla valorizzazione linguistica, diritti religiosi, occupazione, ecc.). E', in sintesi, il problema di capire CHI ha il diritto di "rappresentare" una condizione e quindi di AITODEFINIRLA.

Un problema (anhe sociologicamente ed antropologicamente, oltre che concretamente)enorme, perché molte pseudo-élites (politiche, sindacali, etniche, comunitarie, religiose, criminali, ecc.) si sono formate e si formano tuttora proprio nella "zona grigia" di questa indeterminatezza (spesso in silenziosa sintonia coi colonialisti, assimilazionisti e perfino razzisti), sfruttandola per costruirsi elementi di intermediazione parassitaria fra gruppi sociali e gruppi di potere (economici, culturali, soprattutto istituzionali), sfruttando a proprio uso personalistico certe "appartenenze" reali o inventate o amplificate.
Ma questa stessa problematica, come ho già detto, conferma che ci sono questioni irrisolte che vanno ben al di là dell'"universo migratorio" e che forse richiedono meno il riferimento al nostro comune "padre", giò, Levi-Strauss, e più al buon Antonio Gramsci.

_________________
"nostra patria é il mondo intero, nostra legge la librtà" (Malatesta)


Top
 Profilo  
 
MessaggioInviato: 23 gen 2008, 17:08 
Extra terrona
Avatar utente

Iscritto il: 03 lug 2006, 13:44
Messaggi: 3014
Località: roma
cara Giò in effetti il tutto si sta evolvendo, anche la nostra chiacchierata :)
mi sembra però che ci siano immigrati o figli di immigrati, accademici noti, ricercatori, che hanno studiato la realtà dei figli dell'immigrazione in diversi Sati. A volte concorderanno con l'analisi della nostra rete e a volte no: non è detto che perché si vivono cose simili sulla propria pelle poi si abbia la stessa analisi, anche perché così come dove hai vissuto conta molto (se ad esempio negli stati uniti o in italia) per quello che vivi, contano molto anche gli studi fatti e gli approcci diversi per scuola di analisi. ad esempio mi viene in mente lo statunitense di origini spagnole Alejandro portes, noto professore dell'università di princeton che ha studiato l'emigrazione dei "latinos" e poi cosa è avvenuto ai loro discendenti negli stati uniti. se non ricordo male lui è una prima generazione e non ricordo se nei suoi libri in inglese parla di "immigrati" o "figli di immigrati".

Altra cosa: tieni presente che chi ti ha parlato qui non è un semplice gruppo di ragazzi. a parte che tra di noi ci sono anche sociologi, antropol., economisti, e poi alcuni di noi non sono più neanche "ragazzi" (cominciamo ad avere una certa età :) ) . Quello del forum G2 è uno strumento adatto alle "chiacchiere" e al botta e risposta e quindi lo usiamo per questo ma il tono degli interventi della rete G2 e i luoghi dove interviene sono anche molto "seri" (e a volte siamo intervenuti anche in ambito accademico, ascoltati insieme ad altri "esperti"):
ad esempio la rete G2 - Seconde Generazioni fa parte di due consulte ministeriali, primo caso di organizzazione di figli di immigrati che ha ottenuto un simile riconoscimento, lo puoi leggere su Chi siamo del blog http://www.secondegenerazioni.it/about/ .


Top
 Profilo  
 
MessaggioInviato: 15 apr 2008, 20:40 
Clandestino

Iscritto il: 15 apr 2008, 20:31
Messaggi: 1
Ciao Gio,
mi permetto di darti un piccolo consiglio, anche se un po' in differita rispetto al tuo post...
l'aspetto interessante su cui potresti riflettere non è tanto quello delle extra-definizioni, ma piuttosto delle auto-definizioni. Su queste poche battute di forum ci si può fare già una tesi di dottorato. Il discorso sulle autorappresentazioni divide un po' voi sociologi da "noi" antropologi, ma penso che potresti proficuamente sviluppare l'argomento in un intero capitolo, svecchiando un po' la riflessione sociologica sul discorso migratorio in genere. Non ha senso continuare a definire delle persone in base a cosa c'è scritto in un testo di un prof. universitario muffito, è molto più producente ascoltare come si definiscono le stesse persone.
Su questi temi puoi trovare molta bibliografia nell'ambito dei post colonial, degli studi di diaspora e in genere ti consiglio, se non lo hai già letto, di leggere tutto quello che trovi di Stuart Hall.
Buon lavoro!


Top
 Profilo  
 
MessaggioInviato: 17 apr 2008, 15:55 
Pds in rinnovo

Iscritto il: 26 mar 2008, 19:52
Messaggi: 164
Località: cernusco sul naviglio
è tutto dannatamente interessante :D


se il tutto si concluderà nei migliori dei modi, qualche sunto, qualche conslusione è possibile "leggerla"?

credo che la divulgazione di certi lavori, che hanno al loro interno "difficoltà contrastanti" tra realtà e teoria, possano essere un buon punto di partenza... per molte cose.

per rifarmi ad una tua frase, come tu non ti sei mai posta il problema della cittadinanza, e dei problemi che la riguardano, molti si mettono nei "tuoi" panni, e non capiscono dove stia la mancanza di "comprensione".

auguri per la tesi


Top
 Profilo  
 
MessaggioInviato: 02 mag 2008, 16:31 
Clandestino

Iscritto il: 02 mag 2008, 16:24
Messaggi: 1
Ciao Giò e ciao a tutti gli altri,
anche io sono alle prese con una tesi in cui c'entrate anche voi...
sto però lavorando alla parte etnografica con alcuni ragazzi che fanno il servizio civile e sto impazzendo per la parte teorica ( che purtroppo non si può saltare..)
volevo chiedere a Giò una mano..siccome a quanto pare è più avanti di me...hai voglia di raccontarmi i primi capitoli e come hai gestito la parte teorica?
hai inserito collegamenti a etnografie esistenti?
....ti sarò grata per ogni indicazione e suggerimento....
io se vuoi ti do indicazioni bibliografiche antropologiche!
Cateba


Top
 Profilo  
 
Visualizza ultimi messaggi:  Ordina per  
Apri un nuovo argomento Rispondi all’argomento  [ 24 messaggi ]  Vai alla pagina Precedente  1, 2

Tutti gli orari sono UTC + 1 ora [ ora legale ]


Non puoi aprire nuovi argomenti
Non puoi rispondere negli argomenti
Non puoi modificare i tuoi messaggi
Non puoi cancellare i tuoi messaggi
Non puoi inviare allegati

Cerca per:
Vai a:  
Powered by phpBB® Forum Software © phpBB Group
Traduzione Italiana phpBBItalia.net basata su phpBB.it 2010