Ecco cosa ha pubblicato il quotidiano Liberazione sull'incontro a Genova, così vi fate un po' un'idea. Un lancio dell'articolo era già in prima pagina. la Rete G2 è citata nell'articolo. Da sapere anche che il video "Urla G2: Forte e Chiaro" è piaciuto molto a tutti. Anche ai giovani latinos.
Non siamo migranti, siamo i loro figli Parlano le seconde generazioni Assemblea a Genova con il ministro Ferrero
Non siamo migranti, siamo i loro figli Parlano le seconde generazioni
Checchino Antonini Genova nostro inviato Un ministro che propone ai migranti di scendere in piazza. Che storia è questa? E' una storia che parte da lontano. E ieri a Genova ha visto un confronto serrato tra studiosi, il ministro Ferrero e quelli che sbagliando chiamiamo spesso migranti di seconda generazione. Loro dicono di essere i figli dei migranti, l'unica migrazione spesso è quella compiuta nella pancia delle madri. Potremmo fare iniziare questa storia da New York, a metà degli anni 90, come suggerisce Luca Queirolo Palmas, sociologo delle migrazioni, organizzatore del convegno, quando le organizzazioni della strada dei giovani latinos hanno incontrato la teologia della liberazione e il movimento per i diritti civili. E si sono scontrate con la polizia di Rudolph Giuliani. Oppure potrebbe essere iniziata a Barcellona, non più di un paio di anni fa. Lì, i giovani latinos con bande (pandillas) dai nomi pittoreschi incontrano una municipalità illuminata che favorisce la loro piena legalizzazione. Se fosse successo lì quello che è accaduto da noi alla vigilia del convegno, le organizaciones de la calle avrebbero potuto difendersi per vie legali da quello che definiscono «banditismo giornalistico». Accade infatti che un noto freepress torni a sbattere in prima pagina poche decine di righe, spacciate per inchiesta, che ricalcano le fandonie di un dossier fatto trapelare molti mesi fa da ambienti vicini a qualche questura. Si fa cenno alle presunte attività di estorsione dei pandilleros e a riti orrendi e perfino stupri per le donne che tradiscono. I giovani latinos si chiedono, rubando le parole a un sociologo algerino a sua volta migrante, se abbia avuto senso rinunciare a quella forma di saggezza popolare che è la chiusura in sé stessi. «La rottura dello spazio chiuso - segnala Palmas - ha generato un nuovo assedio». Ancora una volta devono spiegare che non sono delinquenti. E tantomeno stupratori delle future madri dei loro figli, dice Andy, rey milanese, attivo nella Nacion dei Latin kings. Lui è uno di quelli che raccoglie storie di vita per la ricerca-azione (spiega la sociologa Francesca Lagomarsino che è un tipo di ricerca che coinvolge l'oggetto di ricerca e con esso produce cambiamenti sociali) decollata assieme alla Carta di Genova, la dichiarazione di pace tra alcune pandillas che compie un anno. Da allora l'esperienza genovese, supportata dall'università e - solo simbolicamente - da alcune istituzioni ha contagiato un centro sociale, ha esportato il modello verso Milano, e ha incontrato pubblicamente per ben tre volte il ministro Ferrero. L'ultima volta ieri mattina assieme a studiosi e rappresentanti delle seconde generazioni di altre nazionalità. Un percorso reso difficile dai «tempi stretti di chi si barcamena tra lavori al nero, processi, espulsioni, assenza di spazi, mancanza di case», avverte il ricercatore milanese Massimo Conte. Il titolo dato alla giornata non lascia dubbi sulla volontà di andare avanti: "Gridalo forte", ossia partire dal primo meccanismo utile a costruire dignità. Al mattino, in tre ore di assemblea, hanno formulato decine di domande precise al ministro chiedendo soprattutto cittadinanza, accesso allo spazio pubblico, rinforzo al diritto allo studio, accesso al servizio civile, a concorsi, e anche a gare sportive, rimozione delle barriere linguistiche. «Chiedono una cittadinanza che non serve all'assimilazione - commenta Enzo Colombo, sociologo della Statale». «La nostra è un'identità globalizzata, non definibile», spiega Laura Ghebreghiorges, 28 anni, origini etiopi, a nome della rete G2. «La cittadinanza serve a strapparci l'etichetta di straniero», dice Simohammed, mediatore culturale di 25 anni, denunciando come sia difficile anche il rapporto con le tradizioni visto che sono negati luoghi di culto. Nessuno in sala crede allo scontro di civiltà. Anzi, Jiany Lin, per tutti Gianni, dell'AssoCina, smentisce la versione dei fatti di Via Sarpi data da Amato: «Non è uno scontro di culture, noi la chiamiamo la guerra dei carrelli, su cui si accaniscono i vigili con le multr. E' un problema commerciale». Ferrero ascolta e prende appunti. Poi, quando è il suo turno spiega con dovizia di particolari la complessità del percorso delle leggi, aggravata dai numeri risicati. Poi spiega che fine faranno i 50 milioni del fondo per l'inclusione: serviranno allo smontaggio dei ghetti, a corsi di lingua, a centri interculturali. Più che «gesti eclatanti», lui crede che serva una «dannata determinazione» per far andare in porto le leggi avviate ma anche una presa di parola della soggettività: Per questo chiede partecipazione. «Non deve esserci solo il ping-pong tra il ceto politico, servirebbe in autunno una grande manifestazione dei migranti». Qualcuno dirà che parla come se stesse all'opposizione, altri
percepiscono di avere avuto per la prima volta un'interazione con lo Stato.
Da Liberazione del 24/06/2007, pag. 7
|