In Europa in cambiamenti avvengono a scoppio ritardato, e quasi sempre sono l'eco di quelli avvenuti negli Stati Uniti 50 o 100 anni prima.
In questo caso mi riferisco ai gruppi di interesse o di pressione (o "lobby", termine che stranamente in italia assume un significato dispregiativo tout-court).
Il linea di principio anch'io sono contrario alle rappresentanze particolari,
ma se si tiene conto del fatto che nelle liberaldemocrazie consolidate il potere di vertice è sempre più distante dai cittadini (malgrado grandi sforzi in senso contrario), ogni forma di rappresentanza che possa avvicinarlo alla base, che sia particolare o generale, serve in un certo senso ad avvicinarlo alla realtà del popolo "sovrano", ad informarlo delle richieste e dei stimoli provenienti da questo.
Sbagliato è invece trasportare questi "interessi particolari" ai vertici istituzionali che per loro definizione dovrebbero essere sopra le parti, in quanto chiamati a governare per lo Stato nella sua totalità.
Il multipartitismo/campanilismo estremo portano necessariamente al non governo, quindi alla non-rappresentanza, e/o alla rappresentanza dei soli interessi più forti, che non sempre sono "generali". Proprio come accade oggi in Italia.
Purtroppo in Italia è più facile fare un partito (con tutti i vantaggi economici che ciò [credo] comporta) che associarsi in un gruppo di interesse/lobby. Il Partito dei nuovi italiani è partorito dal conformarsi alla forma mentis dominante.
Presso le istituzioni comunitarie, che sono ovviamente distanti dalle realtà locali, le lobbies vengono ascoltate (in misura minore e meno consolidata di quanto accade negli Usa) perchè portano informazioni, expertise, trasmettono interessi, e le lobby più ascoltate sono quelle a respiro europeo, ossia quelle che rappresentano interessi più ampi e sovranazionali.
Pertanto avrei preferito una maggiore apertura delle grandi famiglie partitiche verso i "nuovi italiani", abbinatamente all'attività di gruppi interesse (preferibilmente sovranazionali).
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