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G2 Seconde Generazioni e l'Azione Collettiva http://www.secondegenerazioni.it/forum/viewtopic.php?f=22&t=1841 |
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Autore: | ahimsa [ 10 feb 2009, 22:35 ] |
Oggetto del messaggio: | G2 Seconde Generazioni e l'Azione Collettiva |
L'Azione Collettiva, G2 Seconde Generazioni e il contingentamento delle importazioni di zucchero Qual'è il nesso tra gli argomenti del titolo? Io un nesso riesco ad individuarlo, e voi? Qualche giorno fa, durante un intervento in una scuola superiore di Arezzo contestualmente al progetto ("Seconde generazioni. Figli di immigrati ieri, cittadini oggi") cui sto lavorando come membro G2 Seconde Generazioni, un professore ci ha rivolto una domanda volutamente provocatoria: "Perchè i ragazzi "italiani" (autoctoni, indigeni) dovrebbero interessarsi dei problemi delle seconde generazioni?". Le risposte da dare a questa domanda possono essere infinite. Ad esempio avremmo potuto replicare con controdomande altrettanto provocatorie del tipo "Perchè l'uguaglianza è un principio sancito dai più importanti documenti internazionali sui diritti umani?", "Perchè la solidarietà è un valore riscontrabile ad ogni latitudine?", "Perchè l'amicizia?", "Perchè la famiglia?", "Perchè lo Stato?", "Perchè gli stati moderni hanno una Costituzione? Non è proprio per tutelare i diritti di tutti, senza distinzioni alcune? Le Costituzioni non servono proprio a tutelare indistintamente ma in particolare coloro che hanno meno strumenti per autotulerasi?". Un altro tipo di risposta l'ho trovato nel mio manuale di Economia e Politica Internazionale; una risposta che vale per una Azione Collettiva a scopo di politica economica, ma a parer mio può valere per ogni tipo di pressione politica motivata da una causa non individuale-corporativa-elitaria, come io ritengo che sia la battaglia per i diritti intrapresa da gruppi come G2 Seconde Generazioni. Pertanto vi invito alla lettura di questo paragrafo: "In un libro ormai famoso, l'economista Mancur Olson ha argomentato che l'attività politica di un gruppo è un bene pubblico: i benefici di tale attività vanno a tutti i membri del gruppo, non solo agli individui che svolgono effettivamente tale attività. Supponiamo che un consumatore americano scriva una lettera al suo rappresentante al Congresso chiedendo un dazio inferiore sul suo bene preferito, e che questa lettera contribuisca a determinare il voto del rappresentante al Congresso, cosicchè il minor dazio viene approvato. In questo caso tutti i consumatori che acquistano quel bene ne beneficeranno, anche se non hanno scritto alcuna lettera. Il carattere di bene pubblico dell'attività politica significa che le politiche economiche che infliggono grosse perdite totali, ma perdite limitate sui singoli individui, possono non incontrare alcuna opposizione. Prendiamo ancora una volta l'esempio del contingentamento delle importazioni di zucchero. Questa politica impone alla famiglia americana media un costo di circa 30 dollari all'anno. Dovrebbe forse un consumatore fare pressioni sul suo rappresentante al Congresso per rimuovere il contingentamento? Dal punto di vista del singolo consumatore, certamente no. Poichè la singola lettera ha un effetto solo marginale su quella particolare politica, il beneficio individuale della lettera vale meno addirittura della carta su cui è scritta, senza contare il francobollo (in realtà, non vale nemmeno la pena informarsi circa l'esistenza di tale politica commerciale, a meno che non si sia personalmente interessati a simili tematiche). Eppure, se un milione di elettori dovesse scrivere una lettera chiedendo l'abolizione del contingentamento, sarebbe certamente influente, e porterebbe benefici a un alto numero di consumatori, benefici che eccederebbero sicuramente il costo della lettera. Per dirla con le parole di Olson, c'è un problema di azione collettiva: pur essendo nell'interesse del gruppo nel suo insieme fare pressioni politiche per ottenere politiche favorevoli, nessun individuo ha un interesse a farlo. Il problema dell'azione collettiva può essere superato nel migliore dei modi quando il gruppo di riferimento è piccolo (cosicchè ogni individuo ottiene una quota rilevante dei benefici di politiche favorevoli) e/o ben organizzato (cosicchè i membri del gruppo si possono mobilitare nell'interesse collettivo). La ragione per cui una politica come quella relativa alle importazioni di zucchero può esistere è che i produttori di zucchero costituiscono un gruppo piccolo, ma ben organizzato, che è ben consapevole del valore del sussidio implicto che riceve. Al contrario, i consumatori di zucchero sono un gruppo numerosissimo che non si identifica nemmeno in un gruppo di pressione. Il problema dell'azione collettiva può dunque spiegare perchè politiche che non solo producono più costi che benefici, ma che danneggiano molti più elettori di quanti non ne avvantaggino, possano comunque essere adottate." Tratto da "Economia Internazionale - Teoria e politica del commercio internazionale" di Paul R. Krugman - Maurice Obstfeld. |
Autore: | clandestino [ 11 feb 2009, 22:02 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: G2 Seconde Generazioni e l'Azione Collettiva |
Il problema delle seconde generazioni, nate o cresciute in Italia, sta proprio nel fatto che sono privi dei diritti che concede la tanto voluta cittadinanza italiana. L'economista in questione infatti cita il cittadino, inteso nel pieno delle sue funzioni, ovvero anche in quella che è la massima espressione; il voto. Attraverso questo strumento, ignorato spesso da chi lo possiede, voluto da chi non lo ha, usato da chi ha capito i meccanismo, si può pensare ad azioni collettive. È proprio li che dobbiamo arrivare, a poter decidere se ci vogliamo occupare di zucchero e smettere di essere solamente canna da zucchero. |
Autore: | ahimsa [ 13 feb 2009, 01:37 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: G2 Seconde Generazioni e l'Azione Collettiva |
Cita: ...il voto. Attraverso questo strumento, ignorato spesso da chi lo possiede, voluto da chi non lo ha, usato da chi ha capito i meccanismo, si può pensare ad azioni collettive. io aggiungerei anche usato male da chi lo possiede, perchè non s'informa o non ha modo di informarsi, e quindi è disinformato. Mi vengono in mente anche le parole di Martin Niemöller, che abbiamo sentito spesso negli ultimi tempi: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perchè rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perchè mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perchè non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare.” Ogni italiano dovrebbe leggersi queste righe prima di andare a dormire e la mattina appena alzato. Ciò che distingue uno Stato da una corporazione è che il secondo si avvantaggia con l'esclusione, sull'autoconservazione, mentre il primo ha tutto da guadagnare da una inclusione, perchè permette a tutti di aiutare tutti e a tutti di ricevere aiuto da tutti. Lo Stato-Liberale è questo. I paesi con la democrazia hanno guadagnato in civiltà, con la riduzione della conflittualità interna e il suo spostamento sul foro politico, con una più equa distribuzione del potere e della ricchezza (con i dovuti cheques and balances). Ma per avere una democrazia dobbiamo avere il demos, il popolo, non solo una parte, ma tutto il popolo. Se l'Italia vuole essere una vera democrazia, deve smettere di essere una - o un insieme di - corporazione/i (cui somiglia sempre di più). |
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