“Gli altri ora sono fratelli” “Ho letto una volta un racconto molto bello: un rabbino chiede ai suoi scolari quando, secondo loro, finisce la notte e comincia il giorno. Gli scolari cercano di indovinare[...]. Alla fine gli scolari, curiosi, chiedono la risposta al rabbino e lui risponde così: “È quando, guardando il volto di una persona qualunque, tu riconosci un fratello o una sorella. Fino a quel momento è notte nel tuo cuore”. A me è piaciuto molto questo racconto perché mi sembra di aver vissuto la notte quando ho dovuto lasciare il Marocco con la mia famiglia. Mio padre ha trovato qui a Montespertoli un lavoro, ma, quando sono arrivato, nel mio cuore c’era tanto buio: non avevo amici, non avevo parenti, non conoscevo nessuno e non capivo come parlavano. Volevo far vedere agli altri, che stavano in compagnia tra loro, che c’ero anch’io e che volevo giocare con loro. Facevo tante cose per farmi notare: passavo accanto a un compagno e gli davo uno spintone, prendevo il quaderno di un altro, ridevo molto forte se qualcuno parlava, per far vedere che avevo capito. Anche se non era vero. Sono diventato per tanti compagni un bambino da evitare perché davo noia. La mia notte è finita quando sono entrato in questa classe: i miei compagni mi hanno accolto bene e io mi sono sentito subito come a casa mia. Ora non do più spintoni, non prendo niente a nessuno e non mi vergogno a chiedere spiegazioni se non ho capito. I compagni mi chiedono consigli e mi hanno nominato capitano della squadra di calcio. Sto bene a scuola e ho tanti amici [...]. Ricorderò sempre il nome di tutti, i loro visi e i loro sguardi e [...] che hanno visto in me un loro fratello. La professoressa dice che questa si chiama solidarietà: è una parola che non ti fa sentire solo”.
“Gli stranieri a scuola ci insegnano il mondo” Maria giovanna guarnieri è stata l’insegnante di italiano di Mohammed (l’autore del tema riportato qui sopra) a Montespertoli. Ci racconta cosa vuol dire avere in classe alunni di origine diversa.
Professoressa Guarnieri, è lo stessa cosa insegnare a bimbi solo italiani o ad alunni di nazionalità diverse?
Cambia molto, soprattutto se i bambini non sanno parlare bene l’italiano! Noi abbiamo dovuto rivoluzionare l’insegnamento.
Montespertoli è un comune della provincia fiorentina, non una grande città. Quanti stranieri per classe avete?
Almeno quattro. E sono sempre più numerosi. A volte arrivano in prima media che non sanno una parola d’italiano.
E voi cosa fate?
Abbiamo attivato dei laboratori misti. Nelle ore “operative”, disegno, ginnastica, musica, cerchiamo di lasciarli in classe. Quando ci sono italiano, storia, tutte quelle materie che non possono seguire se non sanno la nostra lingua, li portiamo a fare i corsi L2. Per un’ora al giorno.
Cosa significa corsi L2?
Per l’apprendimento della seconda lingua, che nel caso di una ragazzina cinese, per esempio, è proprio l’italiano. Il metodo di insegnamento è diverso: i bimbi sanno già parlare e scrivere, ma in arabo, in polacco o in filippino. Noi, allora, insegniamo loro l’italiano trasversale.
Italiano trasversale? Cos’è?
Una lingua che si impara “facendola”. Iniziamo, ad esempio, facendo misurare loro un quadrato: mostriamo cosa significa “più lungo” o “più corto”. Da lì i bimbi capiscono anche cos’è un piano. Dal piano si passa ad “aeroplano”, un mezzo che vola sul piano...
Andate per associazioni, insomma.
Sì, è così i ragazzi imparano a farlo anche da soli con le parole nuove. Che so: plani-sfero.
Non sarebbe più semplice metterli in classe separate di inserimento, come dice la Lega? No, guardi. Intanto i bimbi polacchi, cinesi o marocchini hanno problemi diversi con la lingua. E poi i laboratori funzionano perché sono misti e il resto del tempo i bimbi lo passano in classe. Imparano dai loro compagni, con cui devono parlare quotidianamente.
Quanto tempo ci vuole perché possano interagire normalmente con gli altri?
Se partono da zero, con il metodo che abbiamo sviluppato in 10 anni di sperimentazione e aggiornamento, ci vuole il primo quadrimestre. È chiaro che ci aiuta tantissimo l’inserimento nella classe: è la classe che insegna al bambino.
Per i bambini stranieri è meglio così. Ma gli italiani non imparerebbero di più da soli?
La convivenza è un’opportunità anche per i bimbi italiani. Diventano più umani, tolleranti e collaborativi. È uno scambio alla pari. E viaggiano stando fermi: i ragazzi che vengono qui ci danno la possibilità di conoscere il mondo. È un modo per abbattere le frontiere.
Ok, è una crescita dal un punto di vista umano. E le nozioni? Non solo: anche per i contenuti. Ho cambiato completamente il modo di insegnare la geografia, per esempio. Adesso, in prima, partiamo dal mondo: non dall’Italia. E i bimbo stranieri raccontano il loro Paese.
Funziona meglio?
Sì, perché è apprendimento vissuto. Mohammed, per esempio, spiegò che Gibilterra in arabo significa il promontorio di Tariq, dal nome di un condottiero. Un ragazzino commentò: “Siamo fortunati ad averlo in classe, ci spiega quello che sui libri non c’è: così la geografia è ganza!”.
Cosa fate quando i bimbi si portano dietro concezioni sbagliate?
Li educhiamo, come con gli altri. C’era un bimbo albanese che diceva alla sorella: “Schiava, portami la cartella”, perché era femmina. Abbiamo lavorato con tutti e due sulla parità, il senso dei diritti e dei doveri.
Nessuno sconto, quindi?
No, il pietismo fa male. Dobbiamo educare i ragazzi, non insegnare loro ad avere tutto senza dare niente.
Secondo lei di cosa ha bisogno la scuola per funzionare meglio?
Di meno discorsi e di più soldi. Ora i laboratori li facciamo perché li finanziano gli enti locali e l’istitutoo. E il materiale didattico spesso lo pago io. Non è giusto.
( tratto dalle interviste di City)
Nel clima caldo delle riforme per quanto riguarda l-istruzione e l'istituzione delle cosiddette classi ponte per agevolare l'inserimento scolastico degli stranieri è interessante conoscere come i soggetti in questione sono riusciti a superare la barriera della lingua, pochè su questo preme in modo massiccio la legge. Si è parlato di esclusione al fine di una integrazione migliore, si è disquisito su tanti e troppi punti senza mai chiedersi veramente se è dannoso oppure no separare gli italiani dagli non italiani. Hanno parlato come al solito persone senza una minima esperienza diretta, non professori, non maestre, non collaboratrici, che hanno la presunzione di offrire il meglio, almeno da quanto sostengono, senza scendere in campo. Il tema di questo ragazzo abbraccia la storia di molti bambini che sono riusciti a diventare parte integrante stando in classe con tutti gli altri, aiutato dalle maestre.
_________________ L'indifferenza è la peggior malattia dell'UOMO.
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