vi posto un piccolo articolo scritto da Randa Ghazy sulla rivista Mondo e Missione,anch'io sono ormai 10 anni che praticoil Ramadan, e diciamo che in questo articolo mi ci sono proprio ritrovata.Aid Mubarak a tutti.
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Ramadan all’ombra della Madunina Digiunare in un Paese che non digiuna. Tra rinunce e nostalgie, la riscoperta del senso profondo della preghiera e del sacrificio in nome di Allah
Randa Ghazy
Una delle prime cose da chiarire riguardo il Ramadan è il suo significato più ampio. Almeno un migliaio, un milione di volte mi è stata posta la stessa domanda: «Ma perché non mangiate?». Che, poi, è l’aspetto più materiale e in qualche modo elementare di questo mese sacro, che quest’anno inizia il primo settembre. Ramadan significa, certamente, astenersi dal mangiare, bere, fumare, avere rapporti sessuali… E questi sono indubbiamente gli aspetti più concreti che lo caratterizzano. Ma l’origine stessa del Ramadan dovrebbe spiegare da sé quale sia lo spirito che lo caratterizza: questo mese, che è il nono del calendario lunare (su cui si basa l’anno islamico), è quello in cui è discesa la rivelazione sul profeta Maometto. E quindi l’idea di fondo è: prega, leggi il Corano, astieniti dai pensieri impuri e dalle cattiverie, non parlare male di nessuno e fai tanta beneficenza. Insomma, una vita da monaco che comporta il fatto di lavorare di meno e di pregare di più, ma che, a livello pratico, implica anche di trascorrere le notti in modo festoso e vitale, facendo visita a parenti e amici. L’importante è che ci sia il senso della collettività, di una comunità che condivide questo sacrificio. Tutti sono utili e importanti: durante il Ramadan si trova lavoro persino allo stonato, che viene incaricato di girare per le strade di notte, cantando e urlando per svegliare la gente di quartiere in quartiere, in modo che mangi qualcosa per prepararsi alla lunga giornata di digiuno. Le moschee imbandiscono banchetti per le strade per nutrire gli indigenti, le donne devono vestirsi sobriamente e truccarsi il meno possibile, per non indurre in pensieri impuri gli uomini… In diversi Paesi musulmani, il senso di solidarietà è tale che persino i cristiani evitano di cucinare cibi elaborati, per non diffondere troppi aromi intorno. Ma… C’è un ma. Se, cioè, non vivi in un Paese musulmano, ma in uno dove quasi non ci si ricorda neppure di cosa sia il venerdì di magro, ecco, allora si è costretti a spiegare in continuazione, a tutte le persone che si incontrano, perché si sta digiunando e che non si può neppure bere, ma che non ci si sente male, perché dopo un po’ ci si fa l’abitudine, declinando l’invito di chi insiste: «Sei proprio sicuro? Non vuoi niente da bere? Sei a posto così?». E infine, occorre sopportare una serie di piccole privazioni che in un Paese come l’Italia diventano un handicap grave. Pensiamo al piacere del caffè. Svegliarsi la mattina, girovagare intontito annusando dappertutto l’aroma di caffè e brioche ad ogni bar, non potendo ricorrere a questa «botta di vita», è qualcosa di molto simile a una autentica sofferenza. Arriva l’ora di pranzo, la gente ti mangia proprio in faccia, continuando a chiederti perché mai non puoi mangiare anche tu, mentre ti passano davanti pizze, panini, torte e così via… Quando poi al tramonto puoi rompere il digiuno e l’unica cosa che desideri è una tavola imbandita con tutta la tua famiglia riunita chiassosamente a condividere questo momento speciale, hai un appuntamento di lavoro, di studio, una partita di calcio e chissà cos’altro che ti obbliga a protrarre il digiuno fino a tarda sera.
La notte, poi, ci si sente un po’ un vampiri: ci si sveglia mentre tutti intorno dormono e si mangia con la palpebra dormiente e la faccia che a momenti casca sul piatto. Sapendo che l’indomani ti aspetta una lunga giornata, in cui arriverai anche a dare testate al muro pur di resistere al bisogno dell’agognata tazzina di caffè. Digiunare in un Paese che non digiuna con te significa triplicare lo sforzo normalmente richiesto: e questo, ti dici, non può che dare ancora più valore al tuo sacrificio. La disciplina, l’autocontrollo, la solidarietà verso chi non può mangiare tutto l’anno, verso i mendicanti e i derelitti, crescono esponenzialmente. Dovrebbe essere una forma di consolazione. In realtà, talvolta, aggiunge un che di malinconico perché non puoi gustarti gli aspetti più ludici e spensierati di questo mese, come il fatto che la prima parte della giornata è vissuta come in uno stato di torpore (uffici e scuole osservano orari speciali). All’ora del fetar, la rottura del digiuno, le strade sono deserte e silenziose, mentre dopo si riempiono di luci, colori, odori, musica e chiasso folcloristico. I lungomare di città grandi e piccole sono inondati di venditori di pannocchie, zucchero filato, semi di girasole, palloncini colorati; vengono montate giostre dappertutto, i caffè, zeppi di uomini e ragazzi, invadono le strade di tavolini e narghilè, venditori di cassette pedalano diffondendo musica popolare dappertutto… Insomma, si sta svegli fin quasi al mattino. Oltretutto il Ramadan è un periodo molto atteso dalle signore (ma in realtà anche dagli uomini), perché vengono trasmesse soap opera create ad hoc, che durano proprio trenta puntate, e soprattutto dai bambini, perché ricevono regali, dolciumi, e paghette alla fine del mese. Insomma, sapere che digiunare qui è più dura basta a rattristarti, ma la consapevolezza che ti stai perdendo anche tutti gli altri aspetti è quasi una beffa.
Tuttavia, ti senti importante. Anche se perdi le pannocchie, la musica e tutto il resto, anche se ci si alza di notte con la sveglia, anche se rinunciare al caffè sfianca, puoi cogliere comunque l’atmosfera semplice e genuina del Ramadan, il senso della famiglia che ne è proprio, la cura e la solidarietà per il prossimo, l’amore per la vita, il sacrificio per Dio. Perché solo per lui ne vale la pena; che sia Casablanca, il Cairo o Milano, si può pregare dovunque perché, siamo soliti dire, Dio è dentro di te, e si può digiunare dovunque per lo stesso motivo.
23/07/2008 Agosto Settembre 2008 n.7 ©Mondo e Missione
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