Un bell'articolo di una giornalista-blogger-viaggiatrice che ho trovato sull'ultimo numero di Internazionale. Parla di cose molto familiari a noi 2g.
Ho radici in tutto il mondo
Uno dei suoi bisnonni era di Canton, l'altro di Londra. Il primo si trasferì ad Haiti, l'altro in Argentina. Jennifer Bréa racconta la storia improbabile della sua famiglia.
Un articolo di Jennifer BréaSono cresciuta a New York, nel Queens. Da piccola inventavo storie come tutte le bambine della mia età, ma le mie non erano mai ambientate negli Stati Uniti: ero una contadina russa che lavorava la terra nella regione del Volga durante la carestia, una bambina del Sudan che lavava i panni sulla riva del Nilo, un'imperatrice della dinastia Qing o una regina egiziana al comando di un esercito.
Quando immaginavo di essere una schiava che lottava per la libertà, potevo scappare da una piantagione della Georgia o dalla casa di un ricco mercante di Istanbul, ai tempi in cui la città era ancora il cuore dell'impero ottomano. Tutto questo era il sintomo di un amore per i viaggi così intenso da avere per forza un'origine genetica.
Fong Sam, il mio bisnonno da parte di padre, vendeva elisir a base di erbe e olio di serpente a Canton. Un giorno si imbarcò su una nave a vapore per Londra, proseguì per Kingston e decise di fermarsi a Port-au-Prince. Aprì una lavanderia e un ristorante cinese e sopravvisse alla moglie haitiana di nome Coradin Saladin.
Ernest, il mio bisnonno da parte di madre, lasciò Londra per l'Argentina, dove lavorò come dirigente delle ferrovie. Sposò un'irlandese di nome Emmy che gli diede tre figli. Viaggiarono tra Londra, Buenos Aires e Brooklyn ma, a giudicare dalle loro foto color seppia, condussero una vita borghese piuttosto tranquilla. Finché la mia bisnonna finì in un appartamento che puzzava di chiuso nella zona di Spanish Harlem a New York, l'unica bianca in tutto il quartiere.
Lo spirito e l'acqua santa
I miei nonni non parlavano mai del motivo per cui erano fuggiti da Haiti, alla fine degli anni cinquanta. Si mormorava di omicidi e avvelenamenti, e in seguito ho saputo che il padre di mio nonno era stato assassinato. I nonni erano troppo impegnati in politica per restare nel paese quando François Duvalier salì al potere. Non parlavano neanche delle nostre radici africane, forse a causa del razzismo che trovarono negli Stati Uniti.
Mia nonna esaltava il nostro cattolicesimo e mio nonno, un uomo grosso e scuro di pelle, si vantava di lontane origini europee. Tenendomi in braccio, mi raccontava storie sulla nostra discendenza da re Filippo III di Spagna, per concludere che in realtà i Bréa erano italiani e francesi.
Mi raccontava anche di uno spirito vudù particolarmente malevolo che li aveva seguiti da Haiti, e che faceva sbattere le porte senza alcun motivo. Mia nonna si convinse che qualcuno le aveva fatto il malocchio e non ebbe pace finché non chiamò un prete irlandese a spruzzare acqua santa in casa.
Da bambina mi sforzavo in tutti i modi di inquadrare le storie della mia famiglia in rigide categorie razziali: è un atteggiamento che ho ereditato con la cittadinanza statunitense. Avevo la pelle bianca, ma i bambini nel parco mi chiamavano negra. Per strada mi sentivo al sicuro in compagnia della mia mamma bianca, ma ero molto più a mio agio in compagnia dei neri.
Mio padre spesso mi leggeva brani di Martin Luther King e Cheikh Anta Diop. Immagino che volesse trasmettermi l'orgoglio dell'essere neri, ma io non mi sentivo afroamericana. Birazziale, forse, anche se non ero a cavallo tra due tradizioni e due colori: piuttosto tra cinque o dieci. Sempre a metà strada, ed eternamente irrequieta, ero un'emigrante nel mio stesso paese.
Gli Stati Uniti erano troppo nuovi, distanti dal resto della storia, come se fossimo tutti piombati giù dal cielo solo trecento anni prima. Volevo tornare nei luoghi dove i miei antenati si erano innamorati ed erano morti per generazioni, per capire non solo la mia famiglia, ma anche quella che Barack Obama chiama "la storia improbabile che è l'America".
E così a ventitré anni ho comprato un biglietto di sola andata per Pechino. Due anni e molti paesi dopo non ho ancora trovato il luogo mitico dove tutto è cominciato ma sto raccogliendo molte storie: sul mondo che diventa globalizzato, come ha sempre fatto da quando le prime tribù emigrarono dal corno d'Africa per arrivare, sessantamila anni dopo, a popolare la terra. E sulle miriadi di modi di essere neri, o più o meno scuri, da un capo all'altro del pianeta.
JENNIFER BRÉA è una giornalista e fotografa freelance. È editor di Global Voices e ha un blog di politica africana, Africanbeat (
http://jenbrea.typepad.com/africabeat/). Questo articolo è uscito su Ebony Jet con il titolo The new world.
Fonte: Internazionale