Posso rispondervi con una lettera che ho mandato venerdì un po' in giro, anche se non confido in una risposta lesta. Il succo è che tra 2 mesi mi scade il permesso x studenti, la mia pratica per la cittadinanza è bloccata a Roma da un anno circa e rischio di essere espulsa per niente...l'unica mia alternativa è cercarmi un lavoro full-time, ma chi si prende la briga di assumere qualcuno con un permesso in scadenza?
PRIGIONIERA DEL MIO STESSO PAESE Premetto che il mio intento non vuole in alcun modo scatenare polemiche né provocare alcun senso di (auto)commiserazione. Premetto anche che con la presente non pretendo né tantomeno mi aspetto l’aiuto di nessuno. Mi chiamo M. Samantha Diaz, sono nata a Roma il 16 Settembre 1983 e da allora risiedo regolarmente in Italia con mia madre; emigrata in Italia dalle Filippine nel dicembre del 1979, dopo aver conosciuto mio padre (anch’egli cittadino filippino) si è trovata con una figlia a carico in un Paese nuovo senza l’aiuto di amici o parenti.
Il fenomeno immigrazione in Italia ha avuto inizio con le ondate provenienti dall’Albania agli inizi degli anni ’90. All’epoca avevo 8-9 anni ed ho il ricordo vivido delle immagini trasmesse dai principali telegiornali, ed avrò per sempre impresse nella mente i visi dei miei coetanei schiacciati ai parapetti delle navi. In quei momenti provavo un senso di tristezza ed insieme di impotenza e desideravo fortemente che potessero trovare una vita migliore in quella che pensavo fosse la mia isola felice. “Isola felice”, appunto. Più penso all’immagine che avevo del MIO Paese da piccola e più mi viene da sorridere, anche se in questo momento il sorriso mi serve per coprire la rabbia e l’indignazione. Mia madre per poter mantenere se stessa e potermi garantire una vita dignitosa ed un’istruzione che potesse farmi arrivare in alto, si è trovata anche a dover svolgere 2-3 mansioni diverse e per questo motivo ho sviluppato un certo senso di indipendenza sin da quando ero piccola. Le mie vicissitudini burocratiche hanno avuto inizio all’età di 13 anni, quando mi è stata negata la possibilità di partecipare ad un breve scambio culturale con la Francia organizzato dalle scuole medie; l’impiegata dell’agenzia di viaggi strappò sotto gli occhi di mia madre il tanto sospirato biglietto aereo dopo aver saputo che non ero cittadina italiana. Disse: “Mi dispiace, Sua figlia deve chiedere il visto all’Ambasciata Francese”. Fortunatamente mia madre non mi ha mai negato la possibilità di viaggiare, ed esclusa la sopra citata circostanza, ho sempre potuto viaggiare ‘liberamente’ – Stati Uniti, Irlanda, Paesi Bassi, Rep. Ceca – anche se ho sempre avuto uno status particolare: essendo cittadina straniera, ho sempre avuto a che fare con Ambasciate e Consolati per ottenere i visti per l’estero. Pertanto fino ai 18 anni ho avuto una vita più o meno normale. Normale, finchè quando ho compiuto 18 anni non ho fatto domanda per ottenere la cittadinanza; cittadinanza che mi spetterebbe di diritto in base alla legge per cui tutti i figli degli immigrati che nascono in Italia e risiedono legalmente nel Paese fino al compimento del 18° anno di età possono fare richiesta di ottenimento della cittadinanza italiana. Da allora per me è stato un vero e proprio Calvario, dovuto ad una minuscola clausola (la residenza): mia madre ha fatto la residenza solo nel 1987, quando cioè avevo quasi 4 anni, questo perché ancora non masticava un buon italiano. Sta di fatto che negli anni precedenti il 1987 sono sempre rimasta in Italia, e questo è provato dalle vaccinazioni e dalle certificazioni dell’asilo nido. Dato che secondo lo Stato Italiano non avevo tutte le carte in regola per poter ottenere la cittadinanza per nascita, a quel punto ho iniziato una lunga causa contro il Ministero dell’Interno, causa tra l’altro persa presso il Tribunale di Bologna nel 2003 nonostante il P.M. avesse dato voto favorevole. Nel 2004 ho deciso di fare appello al TAR dell’Emilia-Romagna e tuttora non ho avuto alcuna risposta, visto che la sentenza è prevista per il 10 giugno del 2010. Contestualmente all’appello ho anche fatto richiesta di cittadinanza per motivi di residenza (ciò necessita di almeno 10 anni di residenza costante nel Paese), ma a quanto pare la pratica è bloccata a Roma dal marzo del 2008.
È da quando ho 18 anni che vivo con un permesso di soggiorno per studenti, permesso che ha sempre avuto una durata decrescente: prima 2 anni, poi 1 anno, ora può durare anche 6 mesi; basta dimostrare di essere iscritti ad un’università e la durata del permesso corrisponde alla durata degli studi. Ciò che sto per raccontarvi è una vicenda assurda legata alla famigerata legge Bossi-Fini che per quanto mi riguarda non ha fatto altro che rovinarmi la vita, la mia salute psico-fisica ed anche le mie relazioni personali. Nel 2004 ho fatto domanda per poter svolgere un anno all’estero come studentessa Erasmus, e in quell’occasione vinsi addirittura 2 borse di studio per poter andare nei Paesi Bassi. La mia trafila burocratica è durata 9 mesi, durante i quali nessuno, tantomento l’Università, si è mai offerta di aiutarmi. Solo l’Università di Utrecht, quella che scelsi di frequentare temporaneamente, è stata l’unica istituzione che ha sempre mantenuto i contatti con la sottoscritta e se non fosse stato per loro, probabilmente non sarei nemmeno potuta partire (perché anche nei Paesi Bassi ho dovuto fare richiesta di un permesso di soggiorno temporaneo per studenti). Pur avendo consegnato la documentazione universitaria in Questura, quest’ultima mi ha consegnato il permesso di soggiorno nuovo solo nel Novembre del 2004, facendomi così saltare il primo semestre all’estero. Finalmente nel gennaio del 2005 sono riuscita a partire ed indovinate un po’, in un giorno mi hanno consegnato il permesso temporaneo e in 2 settimane mi è arrivato a casa il PES (permesso di soggiorno europeo), alla modica cifra di 500 euro con TBC annessa – perché, signori miei, nei Paesi Bassi la vaccinazione per la tubercolosi è obbligatoria per i non Europei che intendono stabilirsi lì. I veri problemi sono iniziati l’anno successivo al mio periodo Erasmus ad Utrecht. Il mio permesso è scaduto nel marzo del 2006 e le procedure per il rinnovo con il famoso pacchetto amico delle Poste Italiane è stato mandato a Roma nel giugno dello stesso anno. Da allora non ho ancora avuto notizie del mio permesso di soggiorno, nonostante vada regolarmente a chiedere alla Questura dove nessuno, ovviamente, è in grado di darmi informazioni a riguardo. Dal 2006 al 2008 vivo pertanto con una ricevuta delle Poste Italiane che vale meno di 0; per me ha significato rinunciare a tutto quello di cui una ragazza della mia età ha il sacrosanto diritto: viaggiare, studiare all’estero, lavorare all’estero. Sono prigioniera del mio stesso Paese ed in questi mesi non posso che pensare al perché il Ministero dell’Interno e la Presidenza della Repubblica si prodighino a regalare la cittadinanza a destra e a manca senza alcun criterio, quando ci sono persone come me che se la meritano più di altre. Ho conosciuto un sacco di ragazzi della mia età che non sono nemmeno nate in Italia, una di queste è una mia collega di università che è qui da poco più di 10 anni e per darle la cittadinanza ci hanno messo 3 anni. Un paio di mesi fa ho visto un servizio al TG dove il Presidente Napolitano parlava in occasione di una cerimonia al Quirinale che celebrava la concessione della cittadinanza a stranieri. Qualche nome? KLEDI, il ballerino della De Filippi che ha sempre impietosito le masse con la storia del gommone e della bottiglia di Coca-Cola; ANDREW HOWE, atleta olimpico; OKAKA, calciatore dell’AS Roma. E gli esempi precedenti a questo sono decine.
Vedendo questa scena e un recente documentario della RAI dove ho sentito un nordafricano cittadino italiano da qualche anno non sapere pronunciare bene nemmeno una parola, io mi chiedo dove sono finiti i diritti delle VERE seconde generazioni. Perché noi non siamo nessuno? Dobbiamo essere dei ballerini che lavorano in Mediaset o degli sportivi dai contratti milionari per avere i nostri diritti riconosciuti? Io sono NATA, CRESCIUTA, VISSUTA in Italia sin dal mio primo vagito, sono italiana a tutti gli effetti perché QUI c’è tutta la mia vita e tutto mio mondo, perché l’italiano è la mia prima ed unica lingua, e perché all’Italia sono legati TUTTI i miei ricordi. Ogni mattina mi sveglio e vorrei poter fare la valigia e partire per un weekend ad Oslo senza dover andare in nessuna Ambasciata; vorrei partecipare al programma MAE-CRUI promosso dal Ministero degli Esteri per gli studenti meritevoli, ma ovviamente non posso perché è riservato agli studenti ITALIANI; vorrei poter partecipare all’elezione del mio sindaco, del mio Parlamento e del mio Governo, ma questo non è possibile; vorrei poter essere assunta full-time e potermi guadagnare da vivere da sola, ma questo mi è negato perché nessuno si prende la briga di dover assumere una studentessa ‘straniera’. E’ di due settimane fa la notizia che a quanto pare non posso iscrivermi a nessuna facoltà o corso singolo a Bologna (dove vivo e risiedo dal 1989) fino a Settembre. ‘Regolamento interno’, dicono. E senza l’iscrizione ad un corso non mi rinnoveranno il permesso di soggiorno; e per il motivo sopra citato, non potrei nemmeno lavorare come full-time. Rischio quindi di dover essere “mandata a casa” da Aprile in poi, in un posto che non conosco nemmeno, la cui lingua è a me totalmente sconosciuta, dove non conosco nessuno e dove non ho nemmeno una famiglia. Sapete, io sono sempre andata fiera della mia italianità, tutte le volte che andavo all’estero raccontavo sempre tutto sulla cultura, sulla gastronomia, sulla lingua, sugli italiani. Ho esultato con tutti voi nel 2006 quando abbiamo vinto i Mondiali di calcio. In ogni viaggio che ho avuto la fortuna di effettuare ho sempre cucinato volentieri qualcosa di italiano. Quando all’estero mi chiedono di dove sono, io rispondo ITALIA; mentre qui quando la gente mi chiede di dove sono e rispondo così, mi dicono ‘No, ma si vede che non sei italiana, di dove sei esattamente?’. Oggi nell’era di Facebook scopro che molti dei miei ex compagni di classe e di corso se ne sono scappati dall’Italia per andare a cercare fortuna. Molti di loro ce l’hanno fatta. E perché io sono relegata qui, prigioniera di un Paese che ha sempre dimostrato di non accettarmi e che probabilmente non mi accetterà mai? Dire che sono indignata è un eufemismo, signori miei. E in queste righe ho cercato anche di non essere troppo arrogante ma se dovessi raccontare tutto quello che ho subito e di tutti i soldi inutili che ho speso per poter avere una vita come quella dei miei coetanei, probabilmente scriverei un elaborato di laurea. Vi lascio con una domanda a cui io non so davvero più come rispondere: che Italia è questa, signori?
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