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MessaggioInviato: 01 dic 2008, 14:55 
Extra terrona
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Non è punibile lo straniero che tenta di fare entrare in Italia la figlia minorenne, in violazione della legge sull’immigrazione, per non lasciarla sola in patria. La Cassazione conferma l’assoluzione di un immigrato macedone che non era riuscito ad ottenere il ricongiungimento familiare anche per la seconda figlia.


Procurare o favorire l’ingresso illegale di uno straniero in Italia costituisce reato punito, nelle ipotesi meno gravi, con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa fino a 15.000 euro per ogni persona. Però, se a commettere il reato è un padre che porta con sé la figlia minorenne per evitare di abbandonarla in patria al suo destino, sulla norma incriminatrice prevale lo “stato di necessità”.
In questo senso si è pronunciata nei giorni scorsi la Cassazione che con la sentenza n. 44048 ha confermato l’assoluzione da parte del Tribunale di Trieste di un immigrato macedone regolarmente soggiornante in Italia che, non essendo riuscito ad ottenere il nulla osta al ricongiungimento familiare anche per la seconda figlia dodicenne, l’unica della famiglia a non avere ottenuto il visto d’ingresso, aveva tentato di farle attraversare comunque la frontiera per non lasciarla da sola in patria.
La Cassazione infatti non ha condiviso la tesi del pubblico ministero secondo il quale il padre avrebbe potuto evitare il «danno psichico alla minore» semplicemente con «la decisione di rimanere in Macedonia oppure di lasciare moglie e figlio nel paese di origine in attesa di una nuova domanda di ricongiungimento». Per la Corte suprema questa ipotesi contiene «considerazioni meramente congetturali afferenti improbabili o evanescenti scelte alternative» del padre come «abbandonare il lavoro in Italia e cogliere l'opportunità dell'espansione dell'economia macedone o attivarsi per reperire un nuovo alloggio in Italia».


Fonte: Immigrazione oggi


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MessaggioInviato: 02 dic 2008, 11:21 
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«Non ridere, non piangere, non giocare»
I 30 mila piccoli italiani illegali in Svizzera
Quando Berna ostacolava i ricongiungimenti familiari dei nostri emigranti. E i mariti assumevano le mogli come domestiche per farle arrivare

Le mogli e i bambini degli immigrati? «Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d'una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello». Chi l'ha detto: qualche xenofobo nostrano contro marocchini o albanesi? No: quel razzista svizzero di James Schwarzenbach. Contro gli italiani che portavano di nascosto decine di migliaia di figlioletti in Svizzera. E non nell' 800 dei dagherrotipi: negli anni Settanta e Ottanta del '900.

La casa del fanciullo a Domodossola. Foto del 1974
La casa del fanciullo a Domodossola. Foto del 1974
Quando Berlusconi aveva già le tivù e Gianfranco Fini era già in pista per diventare il leader del Msi. Per questo è stupefacente la rivolta di un pezzo della destra contro la sentenza della Cassazione, firmata da Edoardo Fazzioli, che ha assolto l'immigrato macedone Ilco Ristoc, denunciato e processato perché non si era accontentato di portare in Italia con tutte le carte in regola (permesso di soggiorno, lavoro regolare, abitazione decorosa) solo la moglie e il bambino più piccolo ma anche la figlioletta Silvana, che aveva 12 anni. Cosa avrebbe dovuto fare: aspettare di avere un giorno o l'altro l'autorizzazione ulteriore e intanto lasciare la piccola in Macedonia? A dodici anni? Rischiando addirittura, al di là del trauma, il reato di abbandono di minore? Macché. Il leghista Paolo Grimoldi, indignato, si è chiesto «se la magistratura sia ancora un baluardo della legalità oppure il fortino dell'eversione».

E la forzista Isabella Bertolini ha bollato il verdetto come «un'altra mazzata alla legalità» e censurato la «legittimazione di un comportamento palesemente illegale». Lo «stato di necessità» previsto dalla legge e richiamato dalla suprema Corte, a loro avviso, non è in linea con le scelte del Parlamento. L'uno e l'altra, come quelli che fanno loro da sponda, non conoscono niente della grande emigrazione italiana. Niente. Non sanno che larga parte dei nostri emigrati, almeno quattro milioni di persone, è stata clandestina. Lo ricordano molte copertine della Domenica del Corriere, il capolavoro di Pietro Germi «Il cammino della speranza», decine di studi ricchi di dettagli (tra cui quello di Simonetta Tombaccini dell'Università di Nizza o quello di Sandro Rinauro sulla rivista «Altreitalie» della Fondazione Agnelli) o lo strepitoso reportage in cui Egisto Corradi raccontò sul Corriere d'Informazione del 1947 come aveva attraversato il Piccolo San Bernardo sui sentieri dei «passeur» e degli illegali. Non conoscono storie come quella di Paolo Iannillo, che fu costretto ad assumere sua moglie come domestica per portarla a vivere con lui a Zurigo. Ma ignorano in particolare, come dicevamo, che la Svizzera ospitò per decenni decine di migliaia di bambini italiani clandestini. Portati a Berna o Basilea dai loro genitori siciliani e veneti, calabresi e lombardi, a dispetto delle leggi elvetiche contro i ricongiungimenti familiari.

Leggi durissime che Schwarzenbach, il leader razzista che scatenò tre referendum contro i nostri emigrati, voleva ancora più infami: «Dobbiamo respingere dalla nostra comunità quegli immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di pochi anni, o di una generazione, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale. Scalano i posti più comodi, studiano, s'ingegnano: mettono addirittura in crisi la tranquillità dell'operaio svizzero medio, che resta inchiodato al suo sgabello con davanti, magari in poltrona, l'ex guitto italiano». Marina Frigerio e Simone Burgherr, due studiosi elvetici, hanno scritto un libro in tedesco intitolato «Versteckte Kinder» (Bambini nascosti) per raccontare la storia di quei nostri figlioletti. Costretti a vivere come Anna Frank. Sepolti vivi, per anni, nei loro bugigattoli alle periferie delle città industriali. Coi genitori che, terrorizzati dalle denunce dei vicini, raccomandavano loro: non fare rumore, non ridere, non giocare, non piangere. Lucia, raccontano Burgherr e la Frigerio, fu chiusa a chiave nella stanza di un appartamento affittato in comune con altre famiglie, per una vita intera: «Uscì fuori per la prima volta quando aveva tredici anni». Un'altra, dopo essere caduta, restò per ore ad aspettare la mamma con due costole rotte. Senza un lamento. Trentamila erano, a metà degli anni Settanta, i bambini italiani clandestini in Svizzera: trentamila. Al punto che l'ambasciata e i consolati organizzavano attraverso le parrocchie e certe organizzazioni umanitarie addirittura delle scuole clandestine. E i nostri orfanotrofi di frontiera erano pieni di piccoli che, denunciati dalla delazione di qualche zelante vicino di casa, erano stati portati dai genitori appena al di qua dei nostri confini e affidati al buon cuore degli assistenti: «Tenete mio figlio, vi prego, non faccio in tempo a riportarlo a casa in Italia, è troppo lontana, perderei il lavoro: vi prego, tenetelo». Una foto del settimanale Tempo illustrato n. 7 del 1971 mostra dietro una grata alcuni figli di emigranti alla Casa del fanciullo di Domodossola: di 120 ospiti una novantina erano «orfani di frontiera». Bimbi clandestini espulsi. Figli nostri. Che oggi hanno l'età di Grimoldi e della Bertolini.

Dicono: la legge è legge. Giusto. Ma qui il principio dei due pesi e delle due misure nella Costituzione non c'è. E la realtà dice che almeno un milione di italiani vivono oggi in condizioni di sovraffollamento nelle sole case popolari senza essere, come è ovvio, colpiti da alcuna sanzione: non si ammanettano i poveri perché sono poveri. A un immigrato regolare e a posto con tutti i documenti che sogna di farsi raggiungere dalla moglie e dai figli esattamente come sognavano i nostri emigrati, la nuova legge chiede invece non solo di dimostrare un reddito di 5.142 euro più altri 2.571 per la moglie e ciascuno dei figli ma di avere a disposizione una casa di un certo tipo. E qui la faccenda varia da regione a regione. In Liguria ad esempio, denuncia l'avvocato Alessandra Ballerini, in prima linea sui diritti degli immigrati, occorre avere una stanza per ogni membro della famiglia con più di 14 anni più un vano supplementare libero (esempio: il salotto) più la cucina e più i servizi igienici. Il che significa che una famiglia composta da padre, madre e quattro figli adolescenti dovrebbe avere una casa con almeno sei stanze. Quanti italiani hanno la possibilità di vivere così? Quando vinse la Coppa dei Campioni, coi soldi dell'ingaggio e del premio per la coppa, Gianni Rivera comprò un appartamento a San Siro. Il papà e la mamma dormivano nella camera matrimoniale, il fratello nella cameretta e lui in un divano letto in salotto. Se invece che di Alessandria fosse stato di Belgrado, sarebbe stato fuorilegge. Ed era Gianni Rivera. Il campione più amato da un'Italia certo più povera. Ma anche più serena di adesso.

http://www.corriere.it/cronache/08_dice ... aabc.shtml

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MessaggioInviato: 02 dic 2008, 11:53 
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mazza che bell'articolo.

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Grande 123! l'ho appena letto sul giornale e volevo linkarlo anche io! :P

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Complimenti al giudice che ha emesso la sentenza, qualche lume di speranza in questo buoi infinito non guasta mai.

Bellissimo l'articolo del Corriere. Se gli italiani valorizzasserò di più la memoria, capirebberò che Domodossola non è solamente famosa per la D dei quiz...


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MessaggioInviato: 03 dic 2008, 15:52 
Extra terrona
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la tutela di un minore è un principio fondamentale di una democrazia moderna! se non la assicuri non sei una democrazia come si deve


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MessaggioInviato: 10 dic 2008, 14:52 
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lco Ristoc portò in Italia la bimba senza avere il permesso. Il sottosegretario: giusto riconoscergli lo stato di necessità

Violò la legge per la figlia, oggi va a Palazzo Chigi

Giovanardi sfida la Lega e riceve il macedone assolto in Cassazione: «Avrei agito come lui»


La signora Carmela Cimini, che da bambina passò due anni di incubo vivendo nascosta da clandestina in una casetta vicino a Zurigo, è oggi un po' più fiera d'essere italiana: il papà della bimba macedone appena assolto in Cassazione per aver portato la figlioletta nel nostro Paese senza permesso, viene ricevuto stamattina a Palazzo Chigi. Dove il sottosegretario Carlo Giovanardi gli dirà: «Avrei fatto la stessa cosa anch'io». Un piccolo gesto storico. Che sfida le ire degli xenofobi.

Piccolo riassunto delle puntate precedenti. Immigrato in Piemonte, il macedone Ilco Ristoc, 38 anni, di Stip, riesce anno dopo anno a inserirsi, a guadagnarsi la stima di chi lo conosce, a trovare un lavoro fisso e ottenere l'agognato permesso di soggiorno. Trovata una casa in affitto, la arreda e avvia finalmente le pratiche per portare in Italia la moglie e i due figlioletti. Il più piccolo ha otto anni, la grandicella dodici. Macché: niente da fare. Sulla base di una legge del 20 giugno 1896 (l'anno in cui scatta la corsa all'oro nel Klondike e i fratelli Lumière inventano il cinema proiettando per la prima volta l'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat), legge rivista e aggiornata ma di fatto ancora buona nel suo impianto generale, esistono regole rigidissime per i «requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione». Dicono queste norme, parzialmente riviste trentatré anni fa, che «per ogni abitante deve essere assicurata una superficie abitabile non inferiore a mq 14, per i primi 4 abitanti, ed a mq 10, per ciascuno dei successivi. Le stanze da letto debbono avere una superficie minima di mq 9, se per una persona, e di mq 14, se per due persone. Ogni alloggio deve essere dotato di una stanza di soggiorno di almeno mq 14. Le stanze da letto, il soggiorno e la cucina debbono essere provvisti di finestra apribile». E chi non sta dentro questi parametri? Niente abitabilità.

Certo, come ammette lo stesso Giovanardi, nessuno si è mai ottusamente impuntato a far rispettare queste regole per le famiglie italiane sennò sarebbero state fuorilegge a centinaia di migliaia. Ma la legge è legge. Ed è a quella che nel '98 si agganciarono le nuove norme per consentire agli immigrati il ricongiungimento familiare. Norme che, oltre a pretendere che lo straniero dimostri «un reddito annuo derivante da fonti lecite non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale (oggi pari a 5.142 euro) se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari, al triplo dell'importo annuo dell'assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di quattro o più familiari», gli chiedono di avere un certo tipo di casa. Anzi: non bastano più i parametri della legge del 1975. Devono avere, loro, gli stranieri, «la disponibilità di un alloggio che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico sanitaria accertati dall'Azienda unità sanitaria locale competente per territorio».

Leggi regionali che a volte sono più restrittive. Morale: quando va a farsi dare il documento di idoneità, il comune cuneese di Rocca de' Baldi, dove Ilco Ristoc risiede, scrive nero su bianco che l'alloggio «rientra nei parametri minimi richiesti » ma solo «per un nucleo di tre persone». Un disastro: i figli sono due. Come fare? Rientrato in Macedonia, come metterà a verbale davanti al magistrato, l'immigrato cerca col cuore a pezzi di convincere la bambina più grande a restare lì, a Stip, con i nonni: «Possiamo andare in Italia solo in tre». Ma la piccola, che si chiama Silvana, scoppia in un pianto inconsolabile. Finché il papà non cede, carica in macchina anche lei e partono tutti insieme. Attraversano senza problemi il confine a Trieste, raggiungono Rocca de' Baldi, parcheggiano. Dopo di che l'uomo, che evidentemente ha un senso della legalità più forte di tanti italiani, va dritto dai carabinieri a raccontare tutto: «Non me la sentivo di lasciare mia figlia là. Ha solo dodici anni. L'avrei fatta morire di dolore. Non lo si può chiedere a un padre ». Detto fatto, l'autodenuncia viene girata alla magistratura. La quale porta avanti il suo processo contro Ilco Ristoc in assise, in appello e pure in Cassazione. Dove il presidente Edoardo Fazzioli chiude finalmente la faccenda con l'assoluzione.

Causa di forza maggiore. Una sentenza sacrosanta. Obbligata dalla legge stessa. Ma che solleva le proteste di leghisti come Paolo Grimoldi («Mi chiedo se la magistratura sia ancora un baluardo della legalità oppure il fortino dell'eversione ») o forzisti come Isabella Bertolini, che bolla il verdetto come «un'altra mazzata alla legalità». E' lì che Carlo Giovanardi, sottosegretario con la delega alla famiglia, ha deciso di fare quel passo sorprendente: «È mio compito specifico difendere i principi fondamentali che attengono alla famiglia. Al primo posto c'è l'unità familiare. Tanto più se i figli sono minorenni. Ho letto questa storia e mi sono immedesimato nel dramma di quel genitore di dover abbandonare un bambino a migliaia di chilometri per un intoppo burocratico. Era una cosa insensata. Con gli stessi criteri non avrebbero l'abitabilità moltissime famiglie italiane. E non solo nei bassi napoletani. Allora ho chiamato quel padre e gli ho chiesto di venire a Roma, a Palazzo Chigi. Perché voglio dirgli che l'Italia vuole distinguere i buoni e i cattivi. Certo, ha violato una legge. Ma forse è una legge da rivedere. E voglio dirgli che, al posto suo, io avrei fatto la stessa cosa». Quanto agli eventuali strepiti della Lega, fa spallucce: «Sono sicuro che non ce ne saranno. Siamo d'accordo o no che vanno colpiti gli spacciatori e i delinquenti ma vanno aiutati quelli che vogliono inserirsi?». Lassù in Svizzera, vicino a Zurigo, la signora Carmela Cimini che visse una storia uguale a quella oggi di Silvana Ristoc e ieri di decine di migliaia di bambini italiani clandestini in Svizzera, dice che oggi «è proprio un giorno bello». Restò due anni senza uscire di casa, lei: «Vivevamo in tre in una stanza, ci facevamo da mangiare con un fornelletto nascosto nell'armadio. Non avevo il permesso di giocare, di ridere, di far rumore. Avevo il terrore di essere scoperta. Il giorno che finalmente mi fu permesso di uscire non lo dimenticherò mai. Era l'aprile del 1963. Una domenica di primavera. Andammo insieme a messa e poi a mangiare un gelato. Mai mangiato, da allora, un gelato più buono».

Gian Antonio Stella
10 dicembre 2008

Dal corriere della Sera: http://www.corriere.it/politica/08_dice ... aabc.shtml

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il senno ogni tanto torna a far inaspettata visita ai politici italiani...

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