"II silenzio dei poliglotti"...ancora un pezzo della Kristeva:
Cita:
Non parlare la propria lingua materna. Abitare sonorità logiche separate dalla memoria notturna del corpo, dal sonno agrodolce dell'infanzia. Portare dentro di sé come una cripta segreta, o come un bambino handicappato – amato e inutile – quel linguaggio di un tempo che sbiadisce e non si decide a lasciarvi mai. Vi perfezionate in un altro strumento, come ci si esprime con l'algebra o il violino. Potete divenire virtuosi in quel nuovo artificio che vi procura del resto un nuovo corpo, altrettanto artificiale, sublimato – alcuni dicono sublime. Avete l'impressione che la nuova lingua sia la vostra resurrezione: nuova pelle, nuovo sesso. Ma l'illusione si squarcia quando vi riascoltate, su un nastro registrato per esempio, e la melodia della vostra voce vi ritorna bizzarra, da nessuna parte, più vicina al borbottio di un tempo che al codice di oggi. Le vostre goffaggini hanno un certo fascino, vi dicono, sono persino erotiche, rincarano i seduttori. Nessuno vi fa notare i vostri errori, per non ferirvi, e poi non sarebbe mai finita, e poi alla fin fine chi se ne frega. Però vi fanno comunque capire che è seccante: a volte, l'alzarsi di un sopracciglio o un "Prego?" elegante vi fanno capire che "non sarete mai dei loro", che "non ne vale la pena", che "su quel punto almeno non ci cascano". Quanto a cascarci, neppure voi lo fate. Tuttalpiù siete credenti, pronti ad apprendere tutto, a tutte le età, per raggiungere – in quella parola degli altri che immaginate di poter perfettamente assimilare un giorno – Dio sa quale ideale, al di là della confessione implicita di una delusione dovuta aquell'origine che non ha mantenuto la sua promessa.
Così, fra due lingue, il vostro elemento è il silenzio.
Ahimè, questo è anche vero per molte seconde generazioni.