Forum della Rete G2 – Seconde Generazioni

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Autore Messaggio
 Oggetto del messaggio: Ostinatamente
MessaggioInviato: 07 lug 2007, 21:11 
Clandestino

Iscritto il: 19 giu 2007, 16:28
Messaggi: 7
Ciao a tutti. Mi chiamo Tommaso, sono un italiano figlio di italiani, ho 24 anni e la cosa che mi riesce meno peggio è scrivere.
Sono autore di un romanzo che, a un anno dalla stesura, ancora scalpita per essere pubblicato. I contatti editoriali sono ancora in alto mare, ma io non perdo la speranza. Il titolo è Ostinatamente, e la protagonista si chiama Hasna: una ragazza genovese nata in Italia da genitori marocchini. Un'italiana "a colori". Una di voi, una di noi. Hasna non esiste all'anagrafe, ma io è come se la conoscessi. L'ho cercata e ricercata, nei vicoli intorno a via della Maddalena, dove la sua famiglia ha casa e dove i suoi genitori gestiscono uno dei tanti phone center del centro storico. Ho viaggiato dietro a lei da Genova a Safi: la città del Marocco da dove proviene e dove la sua famiglia conserva le radici; città che anch'io sono andato a studiare al termine di un fantastico e interminabile viaggio in pullman, insieme agli immigrati di Genova. Ho fatto amicizia con un sacco di ragazzi di cui Hasna sarebbe diventata amica se esistesse davvero. Insomma, ce l'ho messa tutta. E ora che ho scoperto il vostro forum, che un po' sento anche casa mia, mi piacerebbe sottoporvi un assaggio del mio lavoro, per conoscere una vostra opinione severa e spassionata a riguardo.
Il capitolo che vi incollo qui sotto si chiama CARO DIARIO, è uno dei primi, e in teoria dovrebbe riuscire a fare uscire un bel po' dell'anima della mia protagonista. A chi è interessato posso anche spedire per posta elettronica l'intero manoscritto. Nel frattempo spero di interessarvi e vi ringrazio per l'attenzione.

CARO DIARIO (10)

Martedì 6 gennaio 2001
Due settimane fa ho ricevuto in regalo questa agenda. La copertina è blu: semplice, senza scritte. Le pagine sono azzurrine: di carta riciclata, una per ogni giorno dell’anno. Non so come userò questa agenda. Non ne ho mai avuta una. A parte i diari di scuola, vabbè, che quelli sono un’altra cosa. Ci ho messo un po’ di tempo prima di decidermi a scrivere. E’ difficile cominciare, quando le pagine sono così linde e perfette e profumate di nuovo. Che piacere sfogliarle, quando dentro puoi metterci qualsiasi cosa, quando ancora tutto è possibile, e a passarci sopra l’inchiostro sembra di sporcarle. Però alla fine ti rendi conto che questa agenda non serve a niente se resta vuota. Mi è stata regalata per riempirla. Io stessa muoio dalla voglia di riempirla. E allora eccomi qui, per la prima volta, seduta alla scrivania di camera, con la buccia della penna fra le labbra: mentre la mamma fa da mangiare, mentre Hicham canta sotto la doccia, mentre papà è di turno giù in negozio. Eccomi qui, nell’ultimo giorno delle vacanze di Natale. Una ricorrenza che a me e alla mia famiglia non dice niente. Ma in fondo ogni motivo è buono per fare festa. E questo regalo è proprio un bel regalo.
La prima domanda che mi sono fatta al momento di cominciare è stata: scrivo in arabo o in italiano? Ci ho ragionato, poi ho scelto. Vada per l’italiano. Non che l’arabo non sia mio amico. Ho imparato a leggerlo e a scriverlo tanti anni fa: in moschea, al corso di Islam per bambini; e non ho più disimparato. Lo parlo e lo ascolto tutti i giorni in casa: dove la televisione è sempre sintonizzata su Al Jazeera, e dove fra noi quattro non spiccichiamo una parola di italiano. Lo parlo e lo ascolto al phone center sotto casa, con gli amici marocchini della Maddalena. Lo leggo tutti i giorni sul Corano, sugli altri testi sacri che abbiamo in casa, e sulla vagonata di libri che ogni anno i miei portano via dal Marocco. A volte mi sorprendo anche a pensare, in arabo anziché in italiano, quando per esempio mi ripeto nella mente i capitoli di scuola da studiare. Tutto questo per dire che scrivere da destra a sinistra con l’alfabeto dei miei genitori non mi pesa affatto. Anzi, è proprio per via dei genitori che ho pensato bene di usare l’italiano. La lingua che Adnan e Fadwa conoscono meno. Sì, la sanno parlare. Ma a leggerla si impappinano, si incartano, si confondono. Non sono allenati. Scrivendo in italiano sono sicura che se per caso uno di loro due si azzardasse a spulciare fra queste pagine non ci tirerebbe fuori un ragno dal buco. Motivi di privacy. D’altra parte, è o non è un diario segreto?
Questa agenda è un regalo di Lamberto. Lamberto è un mio compagno di classe molto speciale. E’ innamorato di me, purtroppo. Purtroppo perché a me Lamberto non interessa. Non mi batte il cuore quando lo vedo. Non sono emozionata quando gli sono vicino. Non mi trema la voce quando gli parlo. Insomma non sono innamorata di lui. Lamberto è piombato nella mia vita all’improvviso. Dopo un anno di scuola scivolato via senza nessun avvertimento, un bel giorno mi ha fermato in piazza de Ferrari e mi ha detto “ti amo”: con il cuore in mano, con gli occhi in fiamme. E’ stato uno dei giorni più brutti della mia vita. E’ brutto sentirsi dire no, me lo immagino. Ma è brutto anche per chi deve infliggerlo, quel rifiuto. Sai che ti trovi a dare una pugnalata, e che non esistono alternative indolori per attutire il colpo. A me è toccato sbattergli la porta in faccia, per poi nascondermici dietro vergognosamente. In questi mesi con Lamberto sto facendo lo gnorri. Lo evito, faccio finta che non esista, mi tiro indietro. So che lo faccio stare male. Spero almeno che serva a farmi dimenticare. Per guarirlo, per non farlo soffrire all’infinito. Quando ho a che fare con Lamberto non so mai come comportarmi. Sono presa da mille preoccupazioni. Anche questo regalo io non volevo portarlo a casa. La prima volta che me lo ha consegnato, alla fine dell’ora di educazione fisica di un mesetto fa, io gliel’avevo rimesso in mano. Sentivo di non poterlo accettare. Mi sembrava di abusare del suo amore che io non posso ricambiare. Ma lui non si è arreso. Me l’ha nascosto nello zaino l’ultimo giorno di scuola, mentre eravamo tutti fuori per la ricreazione. E ora io non so come ringraziarlo, il giorno che lo rivedrò. Se chiedergli scusa oppure no, per l’altra volta che mi comportai da emerita stronza. Più passa il tempo più sto in ansia. Per me e per lui. Vanessa mi aveva detto di stare tranquilla, che se facevo finta di niente e mi impegnavo per non considerarlo lui l’avrebbe sbollita in fretta. Invece mi sembra che Vanessa l’avesse fatta un po’ troppo facile. Altro che sbollita. Secondo me Lamberto è sempre più innamorato. Lo sento tutte le mattine. Me ne accorgo fin dal momento in cui lui entra in classe, sempre per ultimo, sempre in ritardo: apre la porta trafelato, e subito getta lo sguardo verso di me, per vedere se ci sono, con quegli occhi accesi da paura. Spero che lo strazio finisca presto. Perché io non mi ci sento proprio nella parte di Crudelia. E perché i suoi sentimenti sono troppo belli e troppo veri per andare sprecati.

Giovedì 8 gennaio 2001
“Mamma, ma cosa fanno quelle ragazze sempre in posa in mezzo alla strada?”. Ero una bambina innocente, e le facevo sempre la stessa domanda, nella speranza che prima o poi mamma mi rispondesse. Ma lei tutte le volte si imbarazzava e tagliava corto: “Non ti preoccupare, guarda dall’altra parte”. E io diventavo sempre più curiosa. Finché un giorno Hicham mi spiegò di che si trattava. E la mia curiosità si trasformò in simpatia.
Le prostitute qui alla Maddalena sono sempre state di casa. Mi hanno raccontato che è una tradizione secolare. Via della Maddalena-via del bordello: oggi come ieri. Ma nella nostra strada nessuno si scandalizza. Vanessa e Margherita quando vengono a trovarmi guardano le ragazze di strada con degli occhi che non mi piacciono: un po’ smarrite, un po’ disgustate. Mentre io una via della Maddalena senza puttane nemmeno la saprei immaginare. Io ci sono nata e cresciuta vicino, alle ragazze coi jeans strettissimi e coi tacchi alti: vestite il meno possibile, cariche di trucco, in azione da mattina a sera. Le ragazze con lo sguardo ammiccante e col sorriso pronto, che fanno da paravento a una tristezza nera come la pece. Una ferita invisibile, una voragine aperta dentro il cuore.
Le ragazze di strada sono cambiate. Dieci anni fa erano tutte italiane. Ora sono quasi tutte straniere: nigeriane, marocchine, sudamericane. Prima adescavano i clienti seducendoli lungo la strada. Ora si procurano il lavoro soprattutto col cellulare. Fra una scopata e l’altra non si staccano mai dal telefonino: ragionano di tariffe, di appuntamenti, di prestazioni. Antonella mi ha raccontato che prende cinquantamila lire per una scopata veloce. Di quelle, dice lei, da dieci minuti e via. Mentre per dilungare i preliminari e lavorare anche di bocca il conto sale a centomila.
Antonella è l’unica prostituta italiana rimasta alla Maddalena. Ha ereditato il mestiere dalla mamma; anche lei prostituta, al servizio di un’altra generazione di maschi. Antonella ha i capelli biondi di un colore non suo. Fino alla vita è bella paffuta, con un seno che è la fine del mondo. In basso invece ha poco da mostrare, con le sue gambe magre come due stecchini. La madre, che non so come si chiama, ora che ha smesso di fare la vita campa sulle spalle di sua figlia. La sorveglia, le organizza il lavoro, e anche le passa qualche vecchio cliente dei suoi: nonnetti stagionati, che ormai non hanno più nulla da chiedere alla loro artiglieria in disuso; che si accontentano di una passeggiata a braccetto con una donna ancora giovane, e di una visita guidata dentro le sue mutandine sguarnite. Antonella e la madre abitano insieme in un appartamento striminzito che assomiglia tanto a una topaia, dove tutto è sporco e disordinato. I muri, i mobili, la cucina, i letti, i cinque gatti rachitici che scorazzano per le stanze. Anche oggi sono salita a casa loro. Aiuto Antonella a portare su i sacchi della spesa, dopodiché ci fermiamo a chiacchierare per qualche minuto. Antonella mi fa ridere perché si considera una privilegiata. Fra le ragazze della Maddalena lei è l’unica che non paga il basso dove vende l’amore. E’ proprietà di sua madre. Le altre invece devono cacciare l’affitto, spesso ad altre prostitute come la mamma di Antonella, che dopo aver smesso di lavorare si sono trasformate in affittuarie delle loro ex alcove. Gli scantinati delle prostitute sono dovunque, in tutti i vicoli che collegano via della Maddalena a via Garibaldi. La strada dei musei e il carruggio più malfamato; con le prostitute a metà del guado. E con le nonne affittuarie sedute sulla soglia, appostate, a controllare che tutto fili liscio: dentro i bassi e in mezzo alla strada. Antonella dice che è fortunata anche perché lei non è sfruttata da nessuno. Le straniere spesso sono in mano a qualche banda di connazionali che spillano loro i quattrini. Ogni tre per due le ragazze nigeriane e marocchine finiscono in mezzo a zuffe spaventose: fra di loro, contro o al fianco dei presunti magnaccia. Litigano, sbraitano, si accapigliano: per i soldi, per gli orari, per come dividersi gli spazi, che sono sempre troppo pochi in rapporto alle richieste. E la Maddalena diventa un far-west.
Le ragazze di strada sono di poche parole. Hanno il cuore indurito da una montagna di sofferenze, di aborti forzati, di disperazioni indicibili. Le ragazze di strada pensano solo a fare soldi. Antonella parla di sesso come mio fratello parla di un televisore Siemens da riparare. Antonella mi ha spiegato tutto in materia di scopate e simili. I trucchi per provare piacere e le posizioni buone per non annoiarsi. Come ci si muove con le cosce, come si spinge col bacino, come si allargano le porte del paradiso, cosa succede nella fica, come funziona l’orgasmo, come si soddisfa l’uomo anche senza fare l’amore, come si esce indenni da una pompa andata a buon fine. Antonella ha iniziato a fare marchette alla mia età, ma non ha scelto lei questa vita: non ha scelto lei di annullarsi, di rinunciare all’amore vero, di barattare tutti i suoi affetti con un pugno di palanche. Semplicemente Antonella ci si è trovata dentro, e ha cominciato a ingoiare merda: sulla strada di sua madre, pensando che anche per lei non ci fossero vie di fuga. Tutte le volte che penso ad Antonella e alle altre ragazze della Maddalena mi vengono i brividi. Prego per loro, perché nel loro cuore si riaccenda la speranza.

Sabato 10 gennaio 2001
Stamani hanno messo dentro Rachid. Gli sbirri in borghese della squadra mobile lo hanno beccato con due etti di eroina in tasca. Me lo sentivo che prima o poi sarebbe successo. Rachid è troppo spavaldo. Col fatto che non ha ancora compiuto diciott’anni Rachid non ha paura di niente. Sa che se lo prendono rischia solo una scarica di botte e di offese in questura. Tutt’al più una settimana di gattabuia al carcere minorile, come avverrà stavolta. Fermo un turno, poi di nuovo alla Maddalena, di nuovo a spacciare. Sa che gli sbirri possono prendersi gioco di lui, possono fermarlo, possono rubargli i soldi dei suoi traffici e intascarseli inopinatamente, possono umiliarlo e possono ferirlo con le parole. “Spacciatore marocchino di merda”. Ma non possono rimpatriarlo. Eppure a settembre le cose cambieranno. Quando sarà maggiorenne non gli perdoneranno più nulla. Gli sbirri prenderanno al volo la prima occasione per metterlo dentro. In galera, quella vera. E poi?
Rachid è arrivato a Genova cinque anni fa. L’ho conosciuto al phone center, siamo diventati subito amici. Rachid è arrivato qui da solo. Senza genitori, suo padre è morto; e senza fratelli. E’ entrato in Europa di nascosto, attraversando l’Oceano, passando dalle isole Canarie, su un barcone carico di migranti disperati. Dalla Spagna Rachid è venuto a Genova perché qui lo aspettavano dei ragazzi che conosceva: ragazzi di El Borouj, la città marocchina dove Rachid è vissuto fino al 96. Una regione arida, povera, da dove i ragazzi pensano solo a scappare. Qui a Genova è pieno di ragazzi di El Borouj: i napoletani di casa nostra; si chiamano l’un l’altro, io li riconosco dai denti tutti gialli e rovinati che mostrano quando sorridono; colpa dell’acqua lercia con cui si lavano laggiù.
Rachid ha casa in vico Croce Bianca, il carruggio dietro via del Campo dove è pieno così di transessuali. Abita con altri cinque ragazzi marocchini suoi compaesani, e nessuno di loro ha il permesso di soggiorno. Il padrone dell’appartamento se ne approfitta e li ricatta pretendendo da loro cifre assurde (naturalmente tutte in nero). Rachid dice che prima di arrivare qui vedeva l’Italia come una El Dorado. Sognava il macchinone, i vestiti firmati e le altre sciccherie che la sua famiglia non poteva permettersi. Era convinto che qui si potevano fare tanti soldi e molto in fretta. Che belinata che ha fatto, a smettere di studiare. Dal primo giorno che è arrivato nei vicoli, Rachid si è messo in strada a vendere. Ha cominciato coi fiori: con i mazzi di garofani e di rose rosse, che comprava all’ingrosso per poi rivenderli ai turisti del porto antico. Poi è passato ai libri, che si faceva nei megastore di via Venti per rivenderli alle bancarelle dell’usato di piazza Banchi. Dopo un anno di stenti, di espedienti e di mesi passati senza una palanca, Rachid ha cambiato ancora mestiere, iniziando la sua carriera di spacciatore. Non si è inventato niente di nuovo. Qui nei vicoli è pieno di marocchini che trafficano droga. Prima Rachid vendeva solo il fumo. Poi, quando ha imparato bene le regole del gioco, ha mollato l’hashish per la coca e l’eroina. E i suoi guadagni si sono moltiplicati. Negli ultimi tempi Rachid si è comprato un motorino bellissimo, ha iniziato a collezionare paia di scarpe della Nike, e a portare con sé un coltello a serramanico. Si è fatto la sua clientela, è diventato bravo a spacciare. Ha imparato il linguaggio cifrato che serve per non dire mai eroina quando si è al telefono. Ha imparato i canali attraverso cui rifornirsi, facendo su e giù col treno fra Genova e Milano. Ha imparato a tagliare l’eroina e la cocaina, dividendo i pacchetti da un etto in bustine da un grammo, e ingrossando i quantitativi con degli intrugli malefici che solo lui sa mescolare. Ha imparato a fiutare l’odore degli sbirri, a volatilizzarsi nel labirinto dei carruggi, a farsi prendere sempre più raramente.
Io quando ci parlo gli domando come fa. “Come fai a restare insensibile? Ma non ti fa schifo aiutare quella gente a stare male?”. Lui risponde che “tanto se non ci fossi io troverebbero qualcun altro”. Nel via vai della Maddalena le sagome dei tossici si riconoscono lontano un miglio. Col loro passo da automi, coi loro occhi vuoti, con le loro attese snervanti, col loro chiodo fisso nella testa. Rachid con loro sa essere cattivo: sa alzare la voce, sa minacciarli, sa tenerli sotto scacco. “Bisogna farsi rispettare, se no è finita”, spiega lui. “Piuttosto devo stare attento a non farmi tentare. Io non fumo nemmeno le sigarette, lo sai, ma con tutta questa roba che mi gira per le mani a volte un po’ di curiosità mi viene. Se cominciassi a usarla oltre che a venderla sarebbe la fine. Diventerei malato come loro”. Quando lo vedo spacciare penso a come faccio a volergli così bene: mi sembra un bastardo come tutti gli altri. Quando però siamo insieme a chiacchierare sul divanetto del phone center mi accorgo, per fortuna, di conoscere un altro Rachid. Il Rachid vero. Quello dolce, riflessivo, generoso, timidissimo: che si fa in quattro per esaudirmi, pieno di attenzioni e di buone maniere; quello che bisogna che sia io a salutarlo e a coccolarlo, altrimenti figuriamoci se lui ha il coraggio di sfiorarmi. Ieri sera, prima che lo prendessero gli sbirri, io e Rachid siamo stati a chiacchiera per due ore. A parlare di noi, dei nostri pensieri, della nostra città. Della nostra Genova che anche a lui piace un sacco, perché gli ricorda tanto la Fez, la sua città preferita, una delle più antiche e affascinanti del Marocco. “Quando cammino nei vicoli rivedo quei posti, riassaporo i miei odori - mi diceva con occhi sognanti - quando cammino in questo centro storico mi sento a casa”. E io con lui.

Lunedì 12 gennaio 2001
Oggi ho accompagnato Margherita a fare merenda nel mio negozio preferito. Un forno-pasticceria italo marocchino, uno dei tanti negozi multietnici di via della Maddalena. E’ un negozio speciale con un nome speciale: La Gioia. Ci lavorano due fratelli, Rafed e Amin, insieme alle loro mogli. Il forno-pasticceria La Gioia è l’epicentro dei miei peccati di gola. Il negozio di Rafed è un incrocio bellissimo fra due diverse culture culinarie. Italia e Marocco uniti sotto il segno dei dolci. Sugli scaffali e sul bancone della Gioia non ci sono confini di filo spinato. Al contrario, guardando e assaggiando quel ben di dio di bigné, biscotti e pasticcini non si capisce proprio dove iniziano le specialità marocchine e dove finiscono quelle italiane. I sapori della pasticceria si contaminano: il miele, la cannella, i datteri e le mandorle dei dolci marocchini; insieme al cioccolato, al caramello, alla crema e alla pasta frolla di quelli italiani. Così come i prodotti a base di farina: la pizza e la focaccia genovese mischiati ai croccanti e al pane arabo. Questa contaminazione mi fa sballare. Di più, mi fa emozionare. Dentro ci ritrovo lo specchio della mia carta d’identità. La mia storia, la mia famiglia, la mia vita.
Per me ogni ora è buona per passare dalla Gioia. A cominciare dalla mattina. Per me la mattina non è mattina se prima di andare a scuola non passo dal forno a prendere la merenda. Alle sette, quando il mio venti sta per transitare da piazza Fontane Marose, le saracinesche della Gioia sono ancora mezze abbassate. Rafed deve ancora arrivare col furgone, per aprire al pubblico e mettersi a servire. Al lavoro di prima mattina trovo sempre le due ragazze, impegnate nella stanza magica del retrobottega. Le mani di Fatima e Zhara sono le vere artefici di questo miracolo. Il mestiere di Fatima e Zhara mi affascina da morire. Mi affascinano le loro ricette e i loro impasti, capaci di trasformare sacchi di farina e di lievito senz’anima in prelibatezze che rimettono al mondo. Fatima e Zhara sono due angeli della notte: cominciano a lavorare dopo cena e finiscono in piena mattina, quando sbaraccano e ripuliscono la stanza magica in vista della notte seguente. Fatima e Zhara lavorano sempre e solo dietro le quinte. Non stanno mai al banco. Devono averglielo imposto Rafed e Amin (la gelosia dei ragazzi marocchini non ha limite). Fatima e Zhara mi vogliono bene come due zie. Quando passo da loro mi fanno scegliere cosa mi pare: posso prendere tutto quello che voglio, senza pagare.
Amin, Fatima, Rafed e Zhara hanno aperto la Gioia meno di un anno fa. Hanno aperto anche grazie a un finanziamento del comune di Genova, che vuole incentivare la rinascita delle attività commerciali nel centro storico. Grazie ai soldi del comune i negozi della Maddalena stanno rifiorendo a vista d’occhio. Cinque anni fa la nostra strada si era ridotta a un supermarket della droga. Sull’onda della paura molti negozi avevano deciso di chiudere, dirottando altrove i loro clienti, e trasformando la Maddalena in una terra di nessuno. Nel buio degli anni novanta gli unici negozi che hanno resistito, oltre al phone center dei miei genitori, sono stati la gastronomia La Maddalena, l’edicola all’inizio della strada, un negozio di intimo davanti all’edicola, e il fruttivendolo Luca al centro della via. Quelli che hanno resistito ora si godono meritatamente la fama di negozi gloriosi e inossidabili. La gastronomia è uno dei negozi più ricercati dei carruggi: nata come una semplice rosticceria, ora attrae clienti anche da fuori il centro storico. E vende di tutto: dai salumi ai formaggi, dalla pasta fatta in casa ai piatti tipici genovesi. La famiglia che la gestisce è provvista di un bancone chilometrico, su cui lavora al gran completo (genitori, fratelli, suocere, cognate) per smaltire la coda servendo anche tre persone in simultanea. Ma anche Luca il fruttivendolo non è da meno, nella hit parade dei negozi più affollati. Un sacco di gente, evidentemente, continua a preferire la sua frutta e verdura alla convenienza grigia dei supermercati. Anche mia madre lo preferisce. Il segreto di Luca è la simpatia. Luca è giovane, affabile, sorridente, ciarliero: sulla nostra strada sa tutto di tutti, perché tutti si fermano a parlare con lui. Il suo negozio è molto grande e molto luminoso, con un finestrone interminabile al posto della facciata. Così i colori e gli odori delle sue primizie risaltano subito, senza interferenze, nel bel mezzo di via della Maddalena.
Accanto ai negozi storici negli ultimi anni sono nate tante attività stile La Gioia. Tanti negozi gestiti da stranieri: come la manciata di phone center (tre solo in via della Maddalena!) che fanno concorrenza al nostro; come la pizzeria marocchina dietro la chiesa, come il kebab, gli alimentari e i negozi di abbigliamento maghrebini, turchi, cinesi e sudamericani. Ma anche negozi italiani: come i due laboratori artigiani che decorano la ceramica e lavorano il legno; come il caffè La Madaleine, che negli ultimi tempi si è imposto fra i locali più di tendenza dei carruggi. La sera dopo cena mentre servono da bere organizzano concerti hard rock e spettacoli teatrali. E i punk genovesi accorrono numerosi, mischiandosi agli stranieri radunati intorno ai nostri phone center. Così la Maddalena non va mai a dormire.
Margherita ogni volta che viene a casa mia a fare la lezione mi ripete sempre la solita tiritera. “Ma com’è possibile che nella stessa strada ci siano tutti questi negozi carini insieme alle puttane e agli spacciatori?”. In effetti via della Maddalena è una strada molto originale. Il segreto di questa convivenza penso sia da ricercare nel profondo senso di discrezione che accomuna tutti noi abitanti. Gli spacciatori come Rachid e le prostitute come Antonella non danno nessuna noia ai negozi; anzi, fanno parte anche loro della clientela. Così la parte legale di via della Maddalena si guarda bene da mettere bocca sui movimenti della parte illegale. Siamo tutti sulla stessa barca, siamo tutti della Maddalena. Il detto “vivi e lascia vivere” sembra tagliato su misura per questo carruggio scalcinato ma vivo. Magari l’ha inventato qualcuno dei nostri, tanti anni fa.

Mercoledì 14 gennaio 2001
Oggi a Villa Gentile ero sola a farmi la doccia. Prima di rivestirmi sono rimasta mezzora a guardarmi allo specchio.
Perché le tette non mi crescono? In classe mia stanno tutte meglio di me, chi più chi meno. Come invidio Margherita quando si carezza le sue sventolone: sono così belle che si vedono anche da sopra la maglia. Dio mio come la invidio. Le invidio tutte, quelle con le tette grosse. Tanto lo so che i ragazzi guardano sempre lì. Contano più le tette delle gambe. E io ancora sto inchiodata alla prima misura. Sono un caso disperato, non c’è niente da fare. Tutti i giorni ci guardo, ma non cresce nulla. Ho perso la speranza, ormai. Avrò per sempre il seno piatto come un tavolino. Che tristezza.


Venerdì 16 gennaio 2001
Mio padre ieri sera è tornato alla carica. Belin, non ne posso più di questa storia di Anouar. Mio padre si sta già dando da fare per il mio matrimonio. E’ terribile. Nell’ultimo viaggio a Safi ha individuato tre ragazzi del quartiere che farebbero tanto al caso mio. Dio mio come non lo sopporto, quando si mette a fare l’agente matrimoniale. Adesso si è fossilizzato su questo Anouar. Addirittura ha già parlato con lui e con la sua famiglia. Dice che loro sarebbero felicissimi se io e Anouar decidessimo di fidanzarci. Mio padre mi sfida: dice che è sicurissimo di convincermi. Mio padre non mi conosce per niente. Una volta alla settimana torna a pregarmi di telefonare ad Anouar: sempre con le stesse invocazioni, sempre con le stesse formulette; come se non sapesse come la penso io su questa storia. E io sempre a rispondere picche. E giù con le litigate. Quando parliamo di Anouar io e mio padre ci arrabbiamo come bestie. Lui per riprendermi in queste circostanze alza la voce come non mai. La prende per mancanza di rispetto nei suoi confronti: “Perché non dai ascolto a tuo padre su una cosa così importante?”. Io per certi versi posso anche capirlo, questo suo risentimento. Ma a me le tradizioni islamiche in tema di matrimonio non stanno bene. Se ne dovrà pur fare una ragione. E pensare che io non ho nulla contro Anouar, anzi, per quel poco che lo conosco mi resta anche simpatico. Quando vado in vacanza a Safi a volte capita che passiamo qualche ora insieme. Ma io dei fidanzamenti pilotati dai familiari non ne voglio sapere. Non mi importa niente se Anouar è un musulmano esemplare. Cosa c’entra tutto questo con l’amore? Niente, c’entra.

Domenica 18 gennaio 2001
Michelangelo è il ragazzo più figo del liceo. Ha due anni più di me, fa la II F, ci conosciamo di vista. Anche alle medie eravamo a scuola insieme. Anche lui abita nel centro storico: in via Lomellini, a due passi dalla Maddalena. Ci incontriamo spesso e volentieri. La mattina al D’Oria, il pomeriggio per strada. Ogni volta che ci incrociamo lui mi saluta sorridendo. Mi dice sempre: “Ciao bella!”. Quando lo vedo e quando lo penso, fra le gambe sento il desiderio che avvampa. Perdo il controllo, stacco il cervello, mi chiudo nel bagno. Ascolto il richiamo e lascio salire le vertigini. Per cinque minuti divento preda di quel calore. Mi viene voglia di toccarmi, di chiudere gli occhi, di spingere dentro le dita, di cavalcare il piacere. Vado avanti fino alla fine: quando dentro sono bagnata, e la piccola libidine si è tramutata in sollievo. In quei cinque minuti mi rimbalzano nella mente tutte le acrobazie erotiche raccontate da Antonella. E penso a come sarà bello il giorno in cui accadrà per davvero.

Martedì 20 gennaio 2001
Il D’Oria è una scuola di merda, piena di professori di merda e di studenti di merda. Più passano i mesi più me ne rendo conto. In questo liceo di perbenisti spocchiosi se sei un figlio di buona famiglia hai la strada spianata. Mentre per il resto del mondo che non ha il papà avvocato (o politico o costruttore) l’anno scolastico è una serie ininterrotta di umiliazioni. Per me poi, che sono figlia di marocchini, che abito alla Maddalena e che di cognome faccio Ramzi, beh… per me a volte è come essere all’inferno.
Stamani a latino ero interrogata con la Puccinelli, figlia dell’ingegner Puccinelli. Quello che dà i soldi al preside per il giornalino di propaganda del D’Oria, quello che viene a prendere sua figlia con la Maserati, quello ha il villone a Nervi, quello che si crede dio in terra. Ebbene, la Puccinelli stamani non sapeva un **** né dell’Eneide né di Ovidio. Tanto per cambiare. Tutti lo sanno, che lei e le altre della sua compagnia non studiano un belino. La Puccinelli e quelle come lei possono fare anche due settimane di fila di assenza e nessuno gli dice niente. Alle interrogazioni di latino e greco basta che parlino, basta che aprano bocca. La Puccinelli stamani ha sparato una caterva di sfondoni. Sbagliava le date, confondeva un’opera con un’altra. E quella bastarda della Marzocco faceva di sì con la testa, faceva finta di distrarsi. Otto, le ha dato, quella troia. Mentre a me che mi ero fatta un mazzo così mi ha rifilato di malavoglia un 7 che grida allo scandalo: dopo aver spezzato il capello in quattro, dopo avermi seppellito di domande assurde, dopo avermi interrotto nella maniera più sistematica e pervicace; roba che con la Puccinelli nemmeno si sarebbe sognata. Complimenti vivissimi, dunque, alla scuola più prestigiosa della città, il liceo classico che fa della discriminazione classista la sua bandiera occulta. Hai i soldi e la faccia tosta per andare a ripetizione di greco dalla mia amica laureata in lettere? Brava, allora ti regalo l’impossibile. Altrimenti ti tocca penare e studiare il triplo degli altri, contando solo sulle tue forze.
Questa delle ripetizioni è una mafia bella e buona: uno scandalo, lo sanno tutti che è uno scandalo. La claque delle figlie di papà se ne vanta anche. Se dai i soldi alla tipa in combutta con la Sacchi, questa a lezione privata ti fa esercitare sulla versione che guarda caso il giorno dopo ti ritroverai pari pari nel testo del compito scritto. Facile poi prendere otto o nove, eh, Puccinelli e compagnia… Che schifo. E il bello, bello per modo di dire, è che questo sistema alla fine va bene a tutti. Figli di papà e poveri cristi, insegnanti, preside, bidelli e genitori. Tutti si adeguano, tutti si corrompono, tutti allargano le braccia. E alla fine si compiacciono.
Non è vero che il razzismo a Genova non esiste. Io me la sento addosso, al D’Oria, l’etichetta di sporca extracomunitaria di serie B. Anche se in realtà sono italiana né più né meno degli altri. Non dimenticherò mai quella cattiveria vomitata dal banco davanti al mio mentre la professoressa di matematica leggeva per la prima volta l’appello della IV C. “Mamma mia che squallore, abbiamo in classe una marocchina vu cumprà”. In questa scuola non esistono vie di mezzo. Chi è aiutato in tutto e per tutto, e chi è biasimato ai limiti dell’impossibile. Mi ricordo ancora a maggio di un anno fa, quando la Cantini non mi volle giustificare perché la motivazione era la gara di atletica che avevo corso il giorno prima. E nessuno dei miei compagni disse niente. Come se l’atletica fosse la via della perdizione, l’onta del liceale modello, accidenti a loro. Fra parentesi quella gara l’avevo pure vinta.
A volte, come in questo momento, all’indomani dell’ennesimo torto subito, accumulo così tanta rabbia che mi sentirei pronta a cambiare scuola da un giorno all’altro. Sento che la misura è colma. Poi però penso che qualcosa a cui aggrapparsi resta: che i professori non sono tutti così schiavi del sistema; e che anche fra i miei compagni di classe, oltre a Vanessa e Margherita, ce n’è una manciata con cui poter stringere alleanze. E soprattutto penso che andarmene sarebbe un sinonimo di resa. Penso che prima di averla vinta dovranno faticare ancora tanto. Dovranno passare sul mio corpo, dovranno mozzare la mia ostinazione. Coraggio Hasna, non smettere di correre, non smettere di lottare. Forza bella, dai che hai la pelle dura.


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MessaggioInviato: 09 ott 2007, 12:26 
Extra terrona
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Iscritto il: 03 lug 2006, 13:44
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Località: roma
ciao tommaso
grazie mille per sottoporre alla nostra curiosità parte del tuo lobro.
appena posso me lo leggo così ti faccio un commentino :)


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 Oggetto del messaggio: Re: Ostinatamente
MessaggioInviato: 31 mar 2008, 00:05 
Clandestino

Iscritto il: 19 giu 2007, 16:28
Messaggi: 7
Con gioia vi scrivo per ufficializzare che il mio romanzo è diventato un libro: "Ostinatamente. Sogno d'amore nella Genova multietnica", edito da Fratelli Frilli, pagg. 350, euro 12.
La scorsa settimana a Genova ho dato vita alla prima presentazione, insieme a don Andrea Gallo (mio "nonno adottivo" e coordinatore della Comunità San Benedetto, di cui faccio parte e a cui andranno devoluti i diritti d'autore) e al capitano del Genoa, Marco Rossi.
Visto che la protagonista della storia, Hasna, genovese con radici marocchine, è a tutti gli effetti una G2, penso che il romanzo abbia una carta in più per interessarvi. Non a caso alla presentazione è venuta a trovarmi Domè, una delle voci genovesi di questo forum, che saluto e ringrazio ancora.
Insomma, se qualcuno di voi decidesse di comprare il malloppo e di leggerlo mi faccia sapere. Sarò felicissimo di rispondere. Magari potremmo organizzare qualcosa insieme. Intanto incollo qui sotto le mie note biografiche e la patella del libro.

Tommaso Giani è nato a Pontedera 25 anni fa. Giornalista pubblicista e laureato in scienze politiche, ha collaborato per cinque anni con il quotidiano Il Tirreno, e da due fa parte della comunità San Benedetto al porto. Da grande vorrebbe insegnare diritto ed economia in una scuola superiore.
----------------------------------------------------------------
Ostinatamente è una storia d'amore genovese. I protagonisti sono due ragazzi, di estrazione sociale agli antipodi, che si incontrano e si conoscono il primo giorno di liceo.
Lei si chiama Hasna ed è una immigrata di seconda generazione. Nata in Italia da genitori marocchini, cresciuta nella babele di via della Maddalena: la strada più multietnica del centro storico, piena di vivacità, di degrado e di stridenti contraddizioni. Hasna che si trova perennemente alle prese con l'incontro-scontro fra culture: quella africana & islamica che riceve nell'ambito del contesto familiare; e quella occidentale & disinibita che contraddistingue le sue amiche compagne di scuola. Hasna che in casa parla arabo ma fuori ha l'accento zeneise. Hasna che si dibatte nei sensi di colpa, presa fra due nazionalità e due stili di vita; Hasna che combatte contro i pregiudizi e il razzismo strisciante, Hasna riservata ma anche generosa, Hasna che corre veloce fino a scoprirsi campionessa di atletica.
Lui invece si chiama Lamberto ed è inguaribilmente romantico. Proviene da una famiglia benestante, vive ad Albaro (il quartiere più rinomato della città) ma la sua personalità spiccata lo porta fin dall'adolescenza a distaccarsi dal solco ideologico-culturale tracciato dai suoi genitori. Grazie alle sue amicizie fuori dagli schemi e al suo modo "francescano" di interpretare la religione cattolica, Lamberto si scopre di sinistra. Lamberto che intraprende il percorso scout vivendolo in profondità, Lamberto innamorato di Genova e di De André, Lamberto stravagante e determinato, Lamberto genoano nell'anima.
C'è Hasna e c'è Lamberto. Ma dietro loro c'è tutta una Genova da scoprire. La Genova contemporanea, in perenne e vorticosa trasformazione. Il romanzo prova a scandagliarla a fondo, tramite i percorsi dei due ragazzi, disvelandone i suoi tratti meno appariscenti e gli avvenimenti che ne hanno fatto la storia nell'ultimo decennio: i vicoli e le periferie, i panorami e le contaminazioni arabe, la movida e il mare, il G8 e lo stadio di Marassi. E' proprio la città, alla fine, il grande contenitore che tutto racchiude. Molto più di uno sfondo. Una storia nella storia.


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 Oggetto del messaggio: Re: Ostinatamente
MessaggioInviato: 03 apr 2008, 10:35 
Clandestino

Iscritto il: 03 apr 2008, 09:43
Messaggi: 2
Ciao Tommaso, mi permetto di risponderti dato che sono arrivata qui cercando proprio notizie tue e del tuo libro..Ero in libreria Frilli il giorno prima di Pasqua e mi sono fermata a leggere alcune pagine, mi ha colpito subito il tuo stile e non ho esitato a comprarlo. E ne sono contenta ora che ho quasi terminato di leggerlo (è un romanzo che si divora e l'avrei già finito se non fosse per la mancanza materiale di tempo...). Purtoppo non ero a Genova quando c'è stata la presentazione e ne sono dispiaciuta.. Ci tenevo a dirti queste due parole - anche per consigliare chi ancora non avesse comprato il tuo "Ostinatamente" a farlo - e spero ti abbiano fatto piacere. Potrò esprimermi compiutamente soltanto quando sarò giunta all'ultima pagina, all'ultima parola... e, come sempre, compiaciuta dalla lettura ed un pò malinconica per non avere altre pagine da girare... sentirò cosa mi è rimasto dentro...
Ti faccio i miei complimenti, spero a presto.
asilex :D


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 Oggetto del messaggio: Re: Ostinatamente
MessaggioInviato: 03 apr 2008, 16:16 
Clandestino

Iscritto il: 19 giu 2007, 16:28
Messaggi: 7
Grazie mille degli apprezzamenti, dunque aspetto le impressioni a caldo... A presto


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 Oggetto del messaggio: Re: Ostinatamente
MessaggioInviato: 03 apr 2008, 22:06 
Clandestino

Iscritto il: 23 gen 2008, 18:55
Messaggi: 8
ho letto le pagine che hai messo...ho gia' prenotato il libro in olibreria. appena lo finisco ti dico che ne penso!
per ora complimenti! :D


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 Oggetto del messaggio: Re: Ostinatamente
MessaggioInviato: 10 apr 2008, 10:54 
Clandestino

Iscritto il: 03 apr 2008, 09:43
Messaggi: 2
Ciao Tommaso! ho finito di leggere il libro domenica sera mentre tornavo in treno da Genova... Quasi divoravo le ultime pagine leggendole tutte d'un fiato.. Volevo riproporti i miei complimenti e ringraziarti per avermi regalato queste emozioni facendomi entrare nella vita di due giovani in cui riconoscerti, due anime diverse ma in fondo simili, due culture lontane ed in realtà molto vicine l'una all'altra... Descrivendo poi così intimamente l'altra Genova che io amo, e che in fondo è mamma e culla di tanti figli del mondo.. Grande Tommaso! Se ti va di scambiare due chiacchiere con me ti lascio il mio contatto msn. A presto un abbraccio. :D


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 Oggetto del messaggio: Re: Ostinatamente
MessaggioInviato: 28 apr 2008, 14:48 
Clandestino

Iscritto il: 28 apr 2008, 12:58
Messaggi: 2
L'ho letto in 2 giorni.Un record per un lettore tendente a distrarsi dalla lettura
come il sottoscritto.In giardino,sotto il primo sole,a troppi km di distanza dalla
mia amatissima Zena e dall'altrettanto amato Grifone.Si,ho acquistato il tuo libro
quasi esclusivamente per inebriarmi un po' dei luoghi a me cari,più che per la storia
d'amore a cui questi luoghi dovevano solo fare da sfondo.E invece,in un'età di mezzo,
e non portato particolarmente verso le storie d'amore,ho subìto un vero e proprio
ribaltamento.Ho invidiato Lamberto anche nella sua sofferenza e nel rincorrere il suo
fiore africano.Invidio tramite lui ogni genovese che ha nella Genova del terzo millennio
la possibilità di incontrare,vuoi per curiosità o appunto per amore,ogni cultura,voci,suoni
e profumi che nella Genova in cui io ho vissuto fino ai primi anni '80 erano solo in embrione.Torno raramente a Genova,ma ogni volta la trovo più bella proprio li,"dove dal
letame nascono i fior"...se poi i fiori che un genovese attuale incontra profumano di
Maghreb,Ecuador,Cina etc....beh...la mia Zena contaminata merita di essere vissuta
ora più che mai...e protetta da chi tenterà di dividerla o di ergere muri seppure soltanto
etnici e culturali.Grazie Tommaso.

Loris


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 Oggetto del messaggio: Re: Ostinatamente
MessaggioInviato: 28 apr 2008, 16:03 
Clandestino

Iscritto il: 19 giu 2007, 16:28
Messaggi: 7
Grazie a te, davvero. E' un onore ricevere complimenti così belli e così profondi.
E visto che hai accennato al calcio, ti confesserò che sono un sampdoriano sfegatato (abbonato in gradinata, trasfertista assiduo) eppure - come ho verificato mettendomi sulla scia di Lamberto - con un debole per il Genoa... miracoli del mio cuore strampalato. Ciao!


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 Oggetto del messaggio: Re: Ostinatamente
MessaggioInviato: 29 apr 2008, 08:49 
Clandestino

Iscritto il: 28 apr 2008, 12:58
Messaggi: 2
Ah...quindi avrai condiviso più di un coro con don Mosciarelli...stento a crederlo 8)


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